Carissimi,
da metà dicembre il numero di accessi al blog ha mostrato una leggerissima flessione verso il basso. Da una quarantina di accessi il 15 dicembre, giù giù fino allo zero (si, zero, "0") di oggi.
Sono le feste del Santo Natale o sono io che scrivo peggio? Mah... Aspetto con ansia la (Santa) Befana per vedere se gli accessi si ripigliano...
Comunque.
È con questi profondissimi dubbi e intricati interrogativi che vi auguro un buon anno.
sabato 31 dicembre 2011
giovedì 29 dicembre 2011
Terminal 6: Aeroporto di Parigi - Beauvais Tille
Sarò breve.
L'aeroporto di Parigi - Beauvais fa cagare. È uno dei posti più brutti del mondo. Ci vuole un secolo per raggiungerlo, è veramente in mezzo al nulla e tipicamente i voli che si prendono da lì ti portano in aeroporti che sono in mezzo al nulla e per raggiungere i quali ci si mette un secolo.
E smettiamola con queste stupidaggini del tipo "Eh si, ma da lì ci sono i voli low-cost e vai ovunque con pochi euri!" perché: 1) nonostante questo l'aeroporto di Parigi Beauvais resta uno dei posti più brutti del mondo, e 2) la navetta che ti ci porta costa così tanto che ho sentito gente che per pagarla ha aperto un mutuo a tasso variabile.
Basta.
Ho finito.
Zero stelline.
domenica 25 dicembre 2011
Che coss'è il Natal...?
Carissimi/e (o forse dovrei dire Carissime/i, ho come la vaga impressione che mi leggano più donne che uomini),
è da qualche giorno che non scrivo sul blog. Tutta colpa del Santo Natale. Il Santo Natale rischia ogni anno di diventare uno stress. Tutte le cose da finire prima di partire per tornare in Italie, la shopping matto e disperatissimo del 24 pomeriggio per comprare i regali a tutte le zie ecc ecc ecc, le mangiate apocalittiche, le bevute con gli amici e compagnia bella.
Insomma, il Santo Natale è una roba che porta via un sacco di tempo.
Comunque, vi racconto una cosa piccola piccola che è ormai diventata, per me, una routine natalizia. Una cosa di cui mi dimentico, puntualmente, ogni anno, e poi quando, puntualmente, ogni anno, inesorabile, accade, mi ritrovo a sorridere e ha pensare: "Eh, già, è proprio arrivato il Santo Natale...".
Allora, la prendo un po' larga. Ho iniziato a fare il lavoro che faccio nel 2001, circa 10 anni fa. Nel 2001, no forse nel 2002, mi son ritrovato per motivi di lavoro confinato per un mese in un posto assurdo sulle alpi al confine tra italia e francia. Lì ho conosciuto un collega australiano, che di nome fa Donald. Un tizio simpatico, di Melbourne. Era uno di quelli con cui la sera mi facevo un paio di birrette e un sacco di chiacchiere nel mio inglese primitivo e stentato (ah... i bei vecchi tempi andati...).
Circa un anno dopo, nel 2003 quindi, Donald passò per motivi di lavoro da Firenze, dove io vivevo all'epoca, e lo ospitai per un paio di giorni chez moi. Poi lui partì, seguì un breve scambio di email, poi sapete come vanno le cose, le mail si diradarono e piano piano finirono del tutto.
Bene.
Succede. Anche con la gente simpatica. E' impossibile tenere i contatti con tutti ecc ecc ecc. Poi Donald ha cambiato lavoro e quindi anche le occasioni lavorative per incontrarsi non ci sono più state ecc ecc ecc.
Succede.
Però da allora, ogni anno, nel giorno del Santo Natale, io ricevo un mail da Donald intitolato sempre allo stesso modo: "Seasons Greetings". E' l'unico mail che ricevo da Donald durante l'anno ed ha una struttura che è rimasta assolutamente invariata negli anni.
Inizia sempre con: "Hello [Nome]!" (sospetto sia un mail che mandi in serie a più persone...), poi segue una domanda retorica, sempre leggermente diversa, me che significa invariabilmente qualcosa del tipo: "riflettiamo sull'anno 20XX e chiediamoci: cosa ci ha portato di buono?".
Poi segue il cuore dell mail, ovvero un elenco dei punti salienti professionali dell'anno appena passato. Siccome Donald ora lavora nel settore dell'energia geotermica di solito questa parte del mail comprende:
1) elenco di incarichi ricoperti in aziende o agenzie governative che operano nel settore del geotermico,
2) lista dei viaggi (di solito divisi in nazionali e internazionali) che Donald ha intrapreso per andare a visitare centrali geotermiche in giro per il mondo e/o per discutere con altri esperti del geotermico ecc ecc ecc,
3) commenti sull'importanza del geotermico per tutti noi,
4) prospettive future per lo sviluppo dell'energia geotermica, con note e commenti su quanto sia bella e utile, quest'energia geotermica.
Dopo questo elenco segue un breve paragrafetto (un paio di frasi, tre al massimo) sulla sua vita privata. Per esempio, quest'anno ho imparato che Donald si è "engaged" con una dolcissima e "davvero compatibile" (sto citando testualmente) ragazza che sposerà in febbraio. Se ho voglia di farmi un viaggio down-under (a Donald piace da matti definire l'Australia così, usa questa espressione ogni anno) sono chiaramente invitato.
La mail finisce con gli auguri di un sereno 20XX e un invito a scrivergli per raccontagli un po' come me la passo.
Ora. Magari vi sembrerà una roba un po' stucchevole ricevere ogni anno a Natale, e solo a Natale, una mail dove si parla sostanzialmente di energia geotermica. Però questa cosa per me è diventata ormai un'abitudine. E il fatto che me ne dimentichi puntualmente ogni anno, il fatto che ogni anno la mail geotermica di Donald mi prenda assolutamente alla sprovvista, è una cosa che mi mette sempre di buonumore.
"Ah! Ecco il vecchio Donald che mi scrive!" penso quando vedo nella inbox una mail intitolata Seasons Greetings, "Vediamo come se l'è passata quest'anno!" e capisco che l'anno è davvero finito e che magari Donald ha proprio ragione ed è il caso di fare qualche bilancio.
Gli rispondo sempre, a Donald. Non subito. Me la prendo un po' comoda. Di solito lo faccio qualche giorno dopo aver ricevuto la sua mail. E gli dico se ho cambiato casa, o posto dove vivo. Gli dico se sono single o accoppiato. Gli dico dove son stato in vacanza, e se mi son divertito o no.
Insomma, gli dico cose così.
è da qualche giorno che non scrivo sul blog. Tutta colpa del Santo Natale. Il Santo Natale rischia ogni anno di diventare uno stress. Tutte le cose da finire prima di partire per tornare in Italie, la shopping matto e disperatissimo del 24 pomeriggio per comprare i regali a tutte le zie ecc ecc ecc, le mangiate apocalittiche, le bevute con gli amici e compagnia bella.
Insomma, il Santo Natale è una roba che porta via un sacco di tempo.
Comunque, vi racconto una cosa piccola piccola che è ormai diventata, per me, una routine natalizia. Una cosa di cui mi dimentico, puntualmente, ogni anno, e poi quando, puntualmente, ogni anno, inesorabile, accade, mi ritrovo a sorridere e ha pensare: "Eh, già, è proprio arrivato il Santo Natale...".
Allora, la prendo un po' larga. Ho iniziato a fare il lavoro che faccio nel 2001, circa 10 anni fa. Nel 2001, no forse nel 2002, mi son ritrovato per motivi di lavoro confinato per un mese in un posto assurdo sulle alpi al confine tra italia e francia. Lì ho conosciuto un collega australiano, che di nome fa Donald. Un tizio simpatico, di Melbourne. Era uno di quelli con cui la sera mi facevo un paio di birrette e un sacco di chiacchiere nel mio inglese primitivo e stentato (ah... i bei vecchi tempi andati...).
Circa un anno dopo, nel 2003 quindi, Donald passò per motivi di lavoro da Firenze, dove io vivevo all'epoca, e lo ospitai per un paio di giorni chez moi. Poi lui partì, seguì un breve scambio di email, poi sapete come vanno le cose, le mail si diradarono e piano piano finirono del tutto.
Bene.
Succede. Anche con la gente simpatica. E' impossibile tenere i contatti con tutti ecc ecc ecc. Poi Donald ha cambiato lavoro e quindi anche le occasioni lavorative per incontrarsi non ci sono più state ecc ecc ecc.
Succede.
Però da allora, ogni anno, nel giorno del Santo Natale, io ricevo un mail da Donald intitolato sempre allo stesso modo: "Seasons Greetings". E' l'unico mail che ricevo da Donald durante l'anno ed ha una struttura che è rimasta assolutamente invariata negli anni.
Inizia sempre con: "Hello [Nome]!" (sospetto sia un mail che mandi in serie a più persone...), poi segue una domanda retorica, sempre leggermente diversa, me che significa invariabilmente qualcosa del tipo: "riflettiamo sull'anno 20XX e chiediamoci: cosa ci ha portato di buono?".
Poi segue il cuore dell mail, ovvero un elenco dei punti salienti professionali dell'anno appena passato. Siccome Donald ora lavora nel settore dell'energia geotermica di solito questa parte del mail comprende:
1) elenco di incarichi ricoperti in aziende o agenzie governative che operano nel settore del geotermico,
2) lista dei viaggi (di solito divisi in nazionali e internazionali) che Donald ha intrapreso per andare a visitare centrali geotermiche in giro per il mondo e/o per discutere con altri esperti del geotermico ecc ecc ecc,
3) commenti sull'importanza del geotermico per tutti noi,
4) prospettive future per lo sviluppo dell'energia geotermica, con note e commenti su quanto sia bella e utile, quest'energia geotermica.
Dopo questo elenco segue un breve paragrafetto (un paio di frasi, tre al massimo) sulla sua vita privata. Per esempio, quest'anno ho imparato che Donald si è "engaged" con una dolcissima e "davvero compatibile" (sto citando testualmente) ragazza che sposerà in febbraio. Se ho voglia di farmi un viaggio down-under (a Donald piace da matti definire l'Australia così, usa questa espressione ogni anno) sono chiaramente invitato.
La mail finisce con gli auguri di un sereno 20XX e un invito a scrivergli per raccontagli un po' come me la passo.
Ora. Magari vi sembrerà una roba un po' stucchevole ricevere ogni anno a Natale, e solo a Natale, una mail dove si parla sostanzialmente di energia geotermica. Però questa cosa per me è diventata ormai un'abitudine. E il fatto che me ne dimentichi puntualmente ogni anno, il fatto che ogni anno la mail geotermica di Donald mi prenda assolutamente alla sprovvista, è una cosa che mi mette sempre di buonumore.
"Ah! Ecco il vecchio Donald che mi scrive!" penso quando vedo nella inbox una mail intitolata Seasons Greetings, "Vediamo come se l'è passata quest'anno!" e capisco che l'anno è davvero finito e che magari Donald ha proprio ragione ed è il caso di fare qualche bilancio.
Gli rispondo sempre, a Donald. Non subito. Me la prendo un po' comoda. Di solito lo faccio qualche giorno dopo aver ricevuto la sua mail. E gli dico se ho cambiato casa, o posto dove vivo. Gli dico se sono single o accoppiato. Gli dico dove son stato in vacanza, e se mi son divertito o no.
Insomma, gli dico cose così.
mercoledì 21 dicembre 2011
Quanti siamo?
Ci sono alcuni dei post di questo blog che potrebbero benissimo far parte della rubrica sugli aeroporti, ma non ne fanno parte. Quello che sto per scrivere è uno di questi. Il fatto è che ho già recensito l'aeroporto di Parigi Orly, terminal Ouest, e non mi va di fare dei doppioni. Quindi eccovi un post su aeroporti, viaggi, pensieri, intitolato "Quanti siamo?".
Per amore della sintesi, l'espressione "Quello Schianto Di Donna Che È La Mia Donna" sarà abbreviata in quanto segue con: QSDDCÈLMD.
__________
Venerdì è arrivata a Parigi QSDDCÈLMD. Ecco com'è andata. È uscita di casa alle 6.45 di mattina, si è recata all'aeroporto X (che ancora non ho recensito), dopodiché tutto è andato male. Causa maltempo, volo in ritardo di un'ora abbondante. E mentre lei smadonna senza ritegno in aeroporto io entro in ansia (Oddio, arriverà? Ma quando arriverà?) e inizio una delle giornate lavorative meno produttive del millennio.
Il problema è che QSDDCÈLMD sarebbe dovuta partire dall'aeroporto X, fare scalo all'aeroporto Y, e atterrare alle 14 circa a Parigi Orly (terminal Ouest). Solo che il ritardo causa maltempo a X le ha fatto perdere la coincidenza a Y. Cazzo, cazzo, e cazzo. Mi tengo in contatto telefonico fittissimo, sia per capire la situazione, sia perché sono innamoratissimo (dio, che imbarazzo...). È in fila al desk della compagnia aerea per vedere se la mettono in un altro volo. Davanti a lei, trecento persone.
Insomma. Cancellano il volo successivo da Y a Paris. Scene di panico. Mille telefonate e sms. Poi finalmente l'annuncio. QSDDCÈLMD verrà imbarcata sul volo successivo-successivo (due voli dopo) a quello che avrebbe dovuto prendere. E arriverà a Paris con un ritardo di 5 ore.
Bene.
Un'ora prima del suo arrivo previsto esco dal lavoro per andare a prenderla in aeroporto. Decido di andare a prenderla in aeroporto sia perché mi sembra un gesto carino dopo un viaggio (suo) così assurdo, sia perché sono innamoratissimo (ulteriore imbarazzo...). Scendo giù sottoterra alla stazione della RER C, direzione Orly. C'è un sacco di gente sul marciapiede, un sacco di gente seduta per terra, gente seduta sui gradini che portano al marciapiede, gente che chiacchiera, gente incazzata, insomma gente dappertutto, più un po' di gente a testa in sù che guarda gli schermi sui binari che annunciano che tutti i treni (si, tutti) sono retardé.
Merda.
Chiedo. Mi dicono che a causa di un bagaglio sospetto abbandonato nella stazione Dio-solo-sa-quale hanno bloccato la circolazione sulla RER C. Però tranquillo, mi fa una signorina con la casacca della RATP che spande ottimismo sul marciapiede, tra poco si riparte.
Aspetto 10 minuti e non riparte niente.
Dopo 12 minuti una vocina annuncia che tutti i treni sono soppressi per un'altra mezz'ora.
Cazzo, cazzo, e cazzo.
Prendo la metro 14, direzione Chatelet. L'idea è cambiare lì per prendere la RER B che porta pure lei a Orly. Alla 14 c'è chiaramente un oceano di folla. Il marciapiede è stipato di corpi accalcati. La metro arriva e inizia il ritmico rito della gente che si apre a ventaglio sul marciapiede di fronte a ogni porta, lasciando spazio alla gente che scende dal vagone a scatti e sbuffi, come un getto d'acqua che esce da un tubo strozzato, poi il ventaglio si richiude disordinatamente, è tutto uno spingere e premere di corpi su corpi finché il vagone si riempie, la sirena fischia, le porte si chiudono, e qualcuno là fuori interrompe la sua corsa ormai inutile e rimane fermo sul marciapiede che pian piano si sta riempiendo di nuovo e guarda le facce senza espressione dentro ai finestrini del treno che se ne va. E poi tutto ricomincia da capo.
Sono stipato in un vagone della 14, sento i corpi delle persone attorno a me premere sul mio. Braccia e pancie e spalle. Sulla RER B è la stessa cosa. Gente dappertutto. Vagoni stipati. Corpi e facce e occhi nel vuoto e nasi che respirano aria già respirata mille volte.
E mentre me ne sto li a sperare di arrivare in tempo penso - ma quanti siamo?
E penso a come sarebbe vederci tutti quanti da lontano, vederci dall'alto, muoverci frenetici su e giù per strade e scale e ascensori. Infilarci dentro macchine e bus e vagoni del metro. Muoverci in sgangherata raggiere verso o via da Chatelet, che è l'impero della folla.
E penso che lo so come sarebbe vederci tutti quanti dall'alto. Lo so perché l'ho visto.
Era notte ed ero a Tokyo. Uno di quei weekend sospesi tra due viaggi di lavoro e uno si ritrova a fare il turista solitario. Insomma giravo per Tokyo e la sera mi son ritrovato a Roppongi, un quartiere modernissimo con questo grattacielo enorme e ci son salito in cima, al grattacielo enorme.
Sono rimasto letteralmente senza fiato. Stordito dentro alla enorme vasca da pesci rossi dalla quale decine di persone guardavano giù, col naso appiccicato al vetro.
Mi son seduto a un bar, mi sono messo a un tavolino che guardava fuori. E non riuscivo a smettere di guardare tutta quella luce. Quei palazzi di fiamme giallo biancastre e quel groviglio di macchine in file indiane ordinate e bipedi, una serie infinita di coppie di occhietti illuminati che scivolavano sulle strade, e si fondevano con altre processioni, e si diramavano e congiungevano, un fiume di luce che avvolgeva i palazzi come se fossero sassi in un ruscello. Luce fluida. Luce liquida.
Sono rimasto immobile per più di un'ora a guardare la luce di Tokyo vista da sù. Non riuscivo a smettere. Davvero, non riuscivo a smettere. C'era un silenzio surreale dentro alla vasca da pesci rossi, lassù sulla torre di osservazione, c'era un silenzio surreale e io pensavo a quanto fosse bello tutto quanto. E pensavo - ma quanti siamo?
E non capivo, e non capisco nemmeno ora, come possa tutto questo funzionare. Come possano tutte queste cose incastrarsi tra loro, e funzionare.
Quando sono sceso dal grattacielo di Roppongi ero tranquillo. Era ancora notte, ma le notti viste dal basso sono diverse. Sono palazzi con finestre illuminata. Sono persone che camminano in silenzio in strade semivuote. Sono semafori che cambiano colore inutilmente. Sono insegne di bar che stanno sopra a porte illuminate. Porte di vetro appannato che illuminano un pezzetto di marciapiede, e che parlano mille voci e rumori mescolati assieme quando qualcuno le apre.
Non so perché, ma quando sono sceso dal grattacielo di Roppongi e camminavo in silenzio verso il metro ero davvero tranquillo.
Per amore della sintesi, l'espressione "Quello Schianto Di Donna Che È La Mia Donna" sarà abbreviata in quanto segue con: QSDDCÈLMD.
__________
Venerdì è arrivata a Parigi QSDDCÈLMD. Ecco com'è andata. È uscita di casa alle 6.45 di mattina, si è recata all'aeroporto X (che ancora non ho recensito), dopodiché tutto è andato male. Causa maltempo, volo in ritardo di un'ora abbondante. E mentre lei smadonna senza ritegno in aeroporto io entro in ansia (Oddio, arriverà? Ma quando arriverà?) e inizio una delle giornate lavorative meno produttive del millennio.
Il problema è che QSDDCÈLMD sarebbe dovuta partire dall'aeroporto X, fare scalo all'aeroporto Y, e atterrare alle 14 circa a Parigi Orly (terminal Ouest). Solo che il ritardo causa maltempo a X le ha fatto perdere la coincidenza a Y. Cazzo, cazzo, e cazzo. Mi tengo in contatto telefonico fittissimo, sia per capire la situazione, sia perché sono innamoratissimo (dio, che imbarazzo...). È in fila al desk della compagnia aerea per vedere se la mettono in un altro volo. Davanti a lei, trecento persone.
Insomma. Cancellano il volo successivo da Y a Paris. Scene di panico. Mille telefonate e sms. Poi finalmente l'annuncio. QSDDCÈLMD verrà imbarcata sul volo successivo-successivo (due voli dopo) a quello che avrebbe dovuto prendere. E arriverà a Paris con un ritardo di 5 ore.
Bene.
Un'ora prima del suo arrivo previsto esco dal lavoro per andare a prenderla in aeroporto. Decido di andare a prenderla in aeroporto sia perché mi sembra un gesto carino dopo un viaggio (suo) così assurdo, sia perché sono innamoratissimo (ulteriore imbarazzo...). Scendo giù sottoterra alla stazione della RER C, direzione Orly. C'è un sacco di gente sul marciapiede, un sacco di gente seduta per terra, gente seduta sui gradini che portano al marciapiede, gente che chiacchiera, gente incazzata, insomma gente dappertutto, più un po' di gente a testa in sù che guarda gli schermi sui binari che annunciano che tutti i treni (si, tutti) sono retardé.
Merda.
Chiedo. Mi dicono che a causa di un bagaglio sospetto abbandonato nella stazione Dio-solo-sa-quale hanno bloccato la circolazione sulla RER C. Però tranquillo, mi fa una signorina con la casacca della RATP che spande ottimismo sul marciapiede, tra poco si riparte.
Aspetto 10 minuti e non riparte niente.
Dopo 12 minuti una vocina annuncia che tutti i treni sono soppressi per un'altra mezz'ora.
Cazzo, cazzo, e cazzo.
Prendo la metro 14, direzione Chatelet. L'idea è cambiare lì per prendere la RER B che porta pure lei a Orly. Alla 14 c'è chiaramente un oceano di folla. Il marciapiede è stipato di corpi accalcati. La metro arriva e inizia il ritmico rito della gente che si apre a ventaglio sul marciapiede di fronte a ogni porta, lasciando spazio alla gente che scende dal vagone a scatti e sbuffi, come un getto d'acqua che esce da un tubo strozzato, poi il ventaglio si richiude disordinatamente, è tutto uno spingere e premere di corpi su corpi finché il vagone si riempie, la sirena fischia, le porte si chiudono, e qualcuno là fuori interrompe la sua corsa ormai inutile e rimane fermo sul marciapiede che pian piano si sta riempiendo di nuovo e guarda le facce senza espressione dentro ai finestrini del treno che se ne va. E poi tutto ricomincia da capo.
Sono stipato in un vagone della 14, sento i corpi delle persone attorno a me premere sul mio. Braccia e pancie e spalle. Sulla RER B è la stessa cosa. Gente dappertutto. Vagoni stipati. Corpi e facce e occhi nel vuoto e nasi che respirano aria già respirata mille volte.
E mentre me ne sto li a sperare di arrivare in tempo penso - ma quanti siamo?
E penso a come sarebbe vederci tutti quanti da lontano, vederci dall'alto, muoverci frenetici su e giù per strade e scale e ascensori. Infilarci dentro macchine e bus e vagoni del metro. Muoverci in sgangherata raggiere verso o via da Chatelet, che è l'impero della folla.
E penso che lo so come sarebbe vederci tutti quanti dall'alto. Lo so perché l'ho visto.
Era notte ed ero a Tokyo. Uno di quei weekend sospesi tra due viaggi di lavoro e uno si ritrova a fare il turista solitario. Insomma giravo per Tokyo e la sera mi son ritrovato a Roppongi, un quartiere modernissimo con questo grattacielo enorme e ci son salito in cima, al grattacielo enorme.
Sono rimasto letteralmente senza fiato. Stordito dentro alla enorme vasca da pesci rossi dalla quale decine di persone guardavano giù, col naso appiccicato al vetro.
Mi son seduto a un bar, mi sono messo a un tavolino che guardava fuori. E non riuscivo a smettere di guardare tutta quella luce. Quei palazzi di fiamme giallo biancastre e quel groviglio di macchine in file indiane ordinate e bipedi, una serie infinita di coppie di occhietti illuminati che scivolavano sulle strade, e si fondevano con altre processioni, e si diramavano e congiungevano, un fiume di luce che avvolgeva i palazzi come se fossero sassi in un ruscello. Luce fluida. Luce liquida.
Sono rimasto immobile per più di un'ora a guardare la luce di Tokyo vista da sù. Non riuscivo a smettere. Davvero, non riuscivo a smettere. C'era un silenzio surreale dentro alla vasca da pesci rossi, lassù sulla torre di osservazione, c'era un silenzio surreale e io pensavo a quanto fosse bello tutto quanto. E pensavo - ma quanti siamo?
E non capivo, e non capisco nemmeno ora, come possa tutto questo funzionare. Come possano tutte queste cose incastrarsi tra loro, e funzionare.
Quando sono sceso dal grattacielo di Roppongi ero tranquillo. Era ancora notte, ma le notti viste dal basso sono diverse. Sono palazzi con finestre illuminata. Sono persone che camminano in silenzio in strade semivuote. Sono semafori che cambiano colore inutilmente. Sono insegne di bar che stanno sopra a porte illuminate. Porte di vetro appannato che illuminano un pezzetto di marciapiede, e che parlano mille voci e rumori mescolati assieme quando qualcuno le apre.
Non so perché, ma quando sono sceso dal grattacielo di Roppongi e camminavo in silenzio verso il metro ero davvero tranquillo.
martedì 20 dicembre 2011
Buoni propositi
Carissimi,
sono già quattro o cinque giorni che non posto nulla. Non è facile mantenere un ritmo costante di posting, specialmente quando c'è un weekend di mezzo, specialmente quando ci sono mille cose da finire prima del santo natale ecc ecc.
Ho ripensato alla rubrica sui libri presentata nell'ultimo post (e ancora ferma ai blocchi di partenza). Ho deciso di impormi un numero minimo di post per quella rubrica: uno al mese. Però ci sono anche dei mesi in cui io un libro intero non lo leggo (tipo questo mese sto lottando con un tomo da 900 pagine, e non è detto che riesca a leggerlo tutto prima del 31). Quindi ho deciso di affiancare alla rubrica "Books I read" una seconda rubrica, uguale per struttura e contenuti, che si intitolerà "Lo scaffale".
Nella rubrica "Lo scaffale" recensirò i libri essenziali, i libri fondamentali che ho letto nella trentina di anni di vita da lettore che ho vissuto. La rubrica si chiama così perché a casa mia, chez moi, c'è uno scaffale apposta per questi libri.
Bene. Però dovete aiutarmi a mantenere il ritmo regolare e costante. Quindi cazziatemi se non recensisco un libro al mese.
Inizio a gennaio con Underworld di De Lillo (sempre che riesca a finirlo...) oppure con Slaughterhouse 5 di Vonnegut (che sta sullo scaffale).
Ecco. Visto che bravo? Vi dò pure le anticipazioni...
Questo è il mio buon proposito (un altro!) per il 2012.
sono già quattro o cinque giorni che non posto nulla. Non è facile mantenere un ritmo costante di posting, specialmente quando c'è un weekend di mezzo, specialmente quando ci sono mille cose da finire prima del santo natale ecc ecc.
Ho ripensato alla rubrica sui libri presentata nell'ultimo post (e ancora ferma ai blocchi di partenza). Ho deciso di impormi un numero minimo di post per quella rubrica: uno al mese. Però ci sono anche dei mesi in cui io un libro intero non lo leggo (tipo questo mese sto lottando con un tomo da 900 pagine, e non è detto che riesca a leggerlo tutto prima del 31). Quindi ho deciso di affiancare alla rubrica "Books I read" una seconda rubrica, uguale per struttura e contenuti, che si intitolerà "Lo scaffale".
Nella rubrica "Lo scaffale" recensirò i libri essenziali, i libri fondamentali che ho letto nella trentina di anni di vita da lettore che ho vissuto. La rubrica si chiama così perché a casa mia, chez moi, c'è uno scaffale apposta per questi libri.
Bene. Però dovete aiutarmi a mantenere il ritmo regolare e costante. Quindi cazziatemi se non recensisco un libro al mese.
Inizio a gennaio con Underworld di De Lillo (sempre che riesca a finirlo...) oppure con Slaughterhouse 5 di Vonnegut (che sta sullo scaffale).
Ecco. Visto che bravo? Vi dò pure le anticipazioni...
Questo è il mio buon proposito (un altro!) per il 2012.
giovedì 15 dicembre 2011
Nuova rubrica: Books I read
Cari,
ho deciso che da questo momento un'altra rubrica affiancherà quella sugli aeroporti (qui).
La rubrica si intitolerà "Books I read". Seguirà il solito numero progressivo (esempio: Books I read 1, Books I read 2, ecc ecc). Il titolo della rubrica è in inglese e il motivo dell'inglese è piuttosto semplice: ho voglia di menarmela un po'. Ho voglia di far l'ammmericano.
Vi dico questo (il fatto che me la meno) perché sia chiaro a tutti che sono uno che se la mena un po' che però sa di menarsela, il che rende la situazione del tutto diversa da quella in cui uno se la mena e basta.
Comunque.
La rubrica verrà scritta ogni volta che finirò di leggere un libro e conterrà una breve recensione soggettiva (ma insindacabile!) del libro stesso.
La struttura del post/recensione sarà all'incirca così.
_____________
Autore: Nome Autore
Titolo: Titolo libro
Pagine: Numero pagine
La frase: Una frase bella presa dal libro
Breve recensione del libro.
Scaffale? [ ] si [ ] no [ ] ci devo pensare un po'
_____________
Come vedete, niente stelline o classifiche. Troppo difficile per i libri. Vi dirò solo, alla fine del post, se il libro merita o meno di essere esposto sullo scaffale-dei-libri-essenziali che ho da qualche parte a casa mia.
Vi anticipo che ora sto leggendo Underworld di Don DeLillo che ha quasi 900 pagine. Sono a buon punto ma mi ci vorrà ancora un po'.
Abbiate pazienza.
ho deciso che da questo momento un'altra rubrica affiancherà quella sugli aeroporti (qui).
La rubrica si intitolerà "Books I read". Seguirà il solito numero progressivo (esempio: Books I read 1, Books I read 2, ecc ecc). Il titolo della rubrica è in inglese e il motivo dell'inglese è piuttosto semplice: ho voglia di menarmela un po'. Ho voglia di far l'ammmericano.
Vi dico questo (il fatto che me la meno) perché sia chiaro a tutti che sono uno che se la mena un po' che però sa di menarsela, il che rende la situazione del tutto diversa da quella in cui uno se la mena e basta.
Comunque.
La rubrica verrà scritta ogni volta che finirò di leggere un libro e conterrà una breve recensione soggettiva (ma insindacabile!) del libro stesso.
La struttura del post/recensione sarà all'incirca così.
_____________
Autore: Nome Autore
Titolo: Titolo libro
Pagine: Numero pagine
La frase: Una frase bella presa dal libro
Breve recensione del libro.
Scaffale? [ ] si [ ] no [ ] ci devo pensare un po'
_____________
Come vedete, niente stelline o classifiche. Troppo difficile per i libri. Vi dirò solo, alla fine del post, se il libro merita o meno di essere esposto sullo scaffale-dei-libri-essenziali che ho da qualche parte a casa mia.
Vi anticipo che ora sto leggendo Underworld di Don DeLillo che ha quasi 900 pagine. Sono a buon punto ma mi ci vorrà ancora un po'.
Abbiate pazienza.
martedì 13 dicembre 2011
Mille (si, ve l'avevo detto mille volte)
Cari,
mi prendo la liberà di scrivere un ennesimo post auto-referenziale, auto-celebrativo, egocentricamente incentrato sul blog e su me stesso, e che metta in luce ancora una volta (a beneficio di coloro che si siano sintonizzati in questo momento) la mia malata ossessione compulsiva per, nell'ordine: fama, successo, celebrità.
Bene. Procediamo senza imbarazzo.
È con malcelata emozione che vi comunico che:
Ve l'avevo detto, no? [Dio, che soddisfazione dire "ve l'avevo detto"... che sod-dis-fa-zio-ne...]
Comunque, questo grandioso risultato può essere interpretato solamente in un modo. Il blog è decollato. È inarrestabile. La strada verso la notorietà è diritta e larga (e pure in discesa). Presto, molto presto, B.L.O.G. sarà il blog più popolare d'Italia. [In realtà lo è già, ma in molti, in troppi!, ancora non lo sanno]. E presto sarà sulla bocca (e sui bookmarks) di tutti.
Bene. La strategia ormai è perfettamente delineata. Al fine di continuare a farmi leggere ogni giorno, basterà mantenere la qualità dei post stratosfericamente alta, come ho fatto fino ad ora.
Però a me piacciono le sfide. A me piacciono gli ostacoli da superare. Mi piace il vento tra i capelli, la musica di Wagner [musica di Wagner in sottofondo, a volume altissimo], e tutte quelle balle lì. Quindi lancio una sfida.
E la sfida è: 10,000 (si, avete capito bene, "diecimila") accessi entro la fine del 2012.
E ora copritemi di commenti pieni di stupore e meraviglia. Commenti che dicano, più o meno, ma com'è, caro Manoel, che con un blog così pazzescamente meraviglioso resti pur sempre umile e modesto?
Già.
Com'è?
mi prendo la liberà di scrivere un ennesimo post auto-referenziale, auto-celebrativo, egocentricamente incentrato sul blog e su me stesso, e che metta in luce ancora una volta (a beneficio di coloro che si siano sintonizzati in questo momento) la mia malata ossessione compulsiva per, nell'ordine: fama, successo, celebrità.
Bene. Procediamo senza imbarazzo.
È con malcelata emozione che vi comunico che:
Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno ha superato ieri i 1000 accessi.
Ve l'avevo detto, no? [Dio, che soddisfazione dire "ve l'avevo detto"... che sod-dis-fa-zio-ne...]
Comunque, questo grandioso risultato può essere interpretato solamente in un modo. Il blog è decollato. È inarrestabile. La strada verso la notorietà è diritta e larga (e pure in discesa). Presto, molto presto, B.L.O.G. sarà il blog più popolare d'Italia. [In realtà lo è già, ma in molti, in troppi!, ancora non lo sanno]. E presto sarà sulla bocca (e sui bookmarks) di tutti.
Bene. La strategia ormai è perfettamente delineata. Al fine di continuare a farmi leggere ogni giorno, basterà mantenere la qualità dei post stratosfericamente alta, come ho fatto fino ad ora.
Però a me piacciono le sfide. A me piacciono gli ostacoli da superare. Mi piace il vento tra i capelli, la musica di Wagner [musica di Wagner in sottofondo, a volume altissimo], e tutte quelle balle lì. Quindi lancio una sfida.
E la sfida è: 10,000 (si, avete capito bene, "diecimila") accessi entro la fine del 2012.
E ora copritemi di commenti pieni di stupore e meraviglia. Commenti che dicano, più o meno, ma com'è, caro Manoel, che con un blog così pazzescamente meraviglioso resti pur sempre umile e modesto?
Già.
Com'è?
domenica 11 dicembre 2011
Serioso post
La cosa più difficile e crudele nello scrivere un blog è che spesso ci si accorge di non avere niente da raccontare.
Mi sono successe un sacco di cose in questo weekend che è appena finito [NdR: era appena finito, al momento in cui mi sono messo a scrivere questo post...], e ho visto un mucchio di gente. Belle cose e bella gente. Eppure non ho una storia da raccontare.
Il che mi fa pensare che non so bene che cosa sia, in fondo, una storia.
Tra tutte le cose che ci capitano durante una giornata, belle o brutte che siano, cos'è che fa alcune di queste cose diverse dalle altre? Cosa le rende adatte a diventare una storia? Ad essere raccontate?
Credo che uno dei punti cruciali sia semplicemente il piacere che dà una bella storia. Sia se la si racconta, sia se la si ascolta. E ho l'impressione che questo valga abbastanza universalmente: dai blog ai capolavori della letteratura. Raccontare è bello. Ascoltare storie pure.
Tra l'altro, il motivo per cui mi sono messo a scrivere questo blog senza dirlo a nessuno che mi conosca (si, si, ok, con l'unica eccezione di quello schianto di donna che è la mia donna) è proprio questo: voglio provare a raccontare storie che siano semplicemente storie, storie che qualcuno voglia leggere per il semplice gusto di leggere storie, storie non appesantite dal fatto che chi le legge conosce chi le ha scritte.
Ci ho pensato un po' su e ho concluso che una cosa, per diventare una storia, deve avere un inizio e una fine. Dev'essere in un certo senso confinata, limitata. Deve avere dei bordi, dei contorni precisi, ed è proprio la chiarezza di questi contorni che la rende raccontabile.
Ci ho pensato un po' di più e ho capito che la cosa non deve essere necessariamente limitata temporalmente. L'inizio e la fine non devono essere due istanti, fissati nel tempo. Ci sono storie bellissime che restano sospese, a galleggiare tra il prima e il dopo, storie delle quali non si sa né cosa ci fosse prima di pagina 1, né cosa ci sarà dopo l'ultima pagina. Prendete il monumentale capolavoro di David Foster Wallace, Infinite jest, e provate a chiedervi che cosa facesse Hal Incandenza prima e dopo gli sconclusionati inizio e fine (o fine e inizio?) delle 1300 pagine-fiume che compongono il romanzo. Impossibile dirlo. Però la storia resta lì, perfettamente definita (e meravigliosa!) nonostante sia un isterico e nebuloso e spaesante groviglio.
Credo che sia più importante il bordo, per fare di una storia una bella storia, il confine che separa la storia da tutto il resto, qualunque esso sia.
Un'immagine. Ci vuole un'immagine chiara e definita. Forse è quello che ci vuole, per avere una storia da raccontare.
______________
Sto diventando troppo serio? Prometto un post frivolo al più presto. Magari uno di quelli autoreferenziali e ossessivo/compulsivi che vi fanno tanto arrabbiare (vedi qui, nel commenti).
Mi sono successe un sacco di cose in questo weekend che è appena finito [NdR: era appena finito, al momento in cui mi sono messo a scrivere questo post...], e ho visto un mucchio di gente. Belle cose e bella gente. Eppure non ho una storia da raccontare.
Il che mi fa pensare che non so bene che cosa sia, in fondo, una storia.
Tra tutte le cose che ci capitano durante una giornata, belle o brutte che siano, cos'è che fa alcune di queste cose diverse dalle altre? Cosa le rende adatte a diventare una storia? Ad essere raccontate?
Credo che uno dei punti cruciali sia semplicemente il piacere che dà una bella storia. Sia se la si racconta, sia se la si ascolta. E ho l'impressione che questo valga abbastanza universalmente: dai blog ai capolavori della letteratura. Raccontare è bello. Ascoltare storie pure.
Tra l'altro, il motivo per cui mi sono messo a scrivere questo blog senza dirlo a nessuno che mi conosca (si, si, ok, con l'unica eccezione di quello schianto di donna che è la mia donna) è proprio questo: voglio provare a raccontare storie che siano semplicemente storie, storie che qualcuno voglia leggere per il semplice gusto di leggere storie, storie non appesantite dal fatto che chi le legge conosce chi le ha scritte.
Ci ho pensato un po' su e ho concluso che una cosa, per diventare una storia, deve avere un inizio e una fine. Dev'essere in un certo senso confinata, limitata. Deve avere dei bordi, dei contorni precisi, ed è proprio la chiarezza di questi contorni che la rende raccontabile.
Ci ho pensato un po' di più e ho capito che la cosa non deve essere necessariamente limitata temporalmente. L'inizio e la fine non devono essere due istanti, fissati nel tempo. Ci sono storie bellissime che restano sospese, a galleggiare tra il prima e il dopo, storie delle quali non si sa né cosa ci fosse prima di pagina 1, né cosa ci sarà dopo l'ultima pagina. Prendete il monumentale capolavoro di David Foster Wallace, Infinite jest, e provate a chiedervi che cosa facesse Hal Incandenza prima e dopo gli sconclusionati inizio e fine (o fine e inizio?) delle 1300 pagine-fiume che compongono il romanzo. Impossibile dirlo. Però la storia resta lì, perfettamente definita (e meravigliosa!) nonostante sia un isterico e nebuloso e spaesante groviglio.
Credo che sia più importante il bordo, per fare di una storia una bella storia, il confine che separa la storia da tutto il resto, qualunque esso sia.
Un'immagine. Ci vuole un'immagine chiara e definita. Forse è quello che ci vuole, per avere una storia da raccontare.
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Sto diventando troppo serio? Prometto un post frivolo al più presto. Magari uno di quelli autoreferenziali e ossessivo/compulsivi che vi fanno tanto arrabbiare (vedi qui, nel commenti).
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venerdì 9 dicembre 2011
L'irritante pigrizia di Nick
Sono un po' arrabbiato con Nick Hornby.
Già.
Espongo la questione. C'è una rivista americana molto bella che si chiama The Believer. Parla di letteratura e altro. È proprio bella, sia come contenuti, che come design, e anche l'odore e la sensazione tattile delle pagine sono favolosi. Quindi, per tutti questi motivi, la compro quasi sempre.
Bene.
Nick Hornby tiene una rubrica fissa su The Believer che si intitola Stuff I've been reading (per esempio: qui). La rubrica parte con due liste: i libri che Nick Hornby ha comprato nel mese precedente e quelli che ha letto. Segue recensione dei libri letti. Devo dire che quando compro The Believer la prima cosa che faccio è sfogliare sfogliare e sfogliare fino alle liste dei libri...
Bene.
Nel numero di Ottobre 2010, ripeto: Ottobre 2010 (più di un anno fa!), Nick Hornby ha annunciato di aver acquistato Barney's version di Mordecai Richler. Per chi non lo sapesse, la versione di Barney è un libro clamoroso. Uno dei più belli che abbia mai letto. Sta nello scaffale dove tengo i libri essenziali per vivere. Superato lo stupore iniziale ("ma come? non lo ha ancora letto?") ho iniziato a pregustare l'imminente recensione.
Bene.
Il punto è che sto aspettando da più di un anno che Nick Hornby legga 'sto cazzo di libro e scriva qualcosa su Stuff I've been reading, e invece non lo fa...
Che cazzo.
Quindi, come dicevo più su, sono un po' arrabbiato con Nick Hornby.
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martedì 6 dicembre 2011
Anagrafe schizofrenica
Allora. Esponiamo il problema.
Quello schianto di donna che è la mia donna c'ha la doppia nazionalità. Molti pensano sia un vantaggio ("Figo! Ma quindi c'hai due passaporti?") ma in realtà io lo definirei più che altro un incubo. Lo schianto di donna mi ha appena chiamato (viviamo in due nazioni differenti, merda, merda e merda!) in preda al panico totale. Per motivi di privacy e sicurezza nazionale, chiameremo le due nazionalità di quello schianto di donna che è la mia donna come nazionalità A e nazionalità B.
Bene.
Al momento la situazione è la seguente:
- lo schianto di donna ha due nazionalità: A e B;
- però risiede in una terza nazione: C;
- il fatto che lei risieda nella nazione C non è mai stato comunicato né alla nazione A, né tantomeno alla B;
- per la nazione A, lo schianto di donna è residente nella nazione B, e questa cosa è indicata nel passaporto della nazione A;
- per la nazione B, lo schianto di donna è residente nella nazione A (il cambio di residenza è stato comunicato agli uffici competenti), ma la carta di identità della nazione B non è stata aggiornata ed è rimasta al vecchio indirizzo (della nazione B!) dove lo schianto di donna risiedeva prima di C e A;
- lo schianto di donna è sprovvista di carta di identità della nazione A e pure di passaporto della nazione B;
- la carta di identità della nazione B è appena scaduta;
- il passaporto della nazione A è di quelli vecchi senza la foto digitale o come cazzo si chiama (per capirci, quella roba che adesso è obbligatoria se vuoi andare negli Stati Uniti ecc ecc) ed è prossimo alla scadenza.
Chiaro?
Bene.
Il punto è che lo schianto di donna, nel (vano, per ora) tentativo di capire chi sia e che minchia debba fare per avere dei documenti che siano perlomeno vagamente coerenti, si è accorta che le sta per scadere la patente (nazione B, credo) ed ha avuto una crisi isterica.
Ora ripete compulsivamente che la arresteranno per tutto questo e non mi lascia andare a letto (sono le ore 1.45 AM).
Ma io la amo lo stesso.
Tantissimo, tra l'altro.
Quello schianto di donna che è la mia donna c'ha la doppia nazionalità. Molti pensano sia un vantaggio ("Figo! Ma quindi c'hai due passaporti?") ma in realtà io lo definirei più che altro un incubo. Lo schianto di donna mi ha appena chiamato (viviamo in due nazioni differenti, merda, merda e merda!) in preda al panico totale. Per motivi di privacy e sicurezza nazionale, chiameremo le due nazionalità di quello schianto di donna che è la mia donna come nazionalità A e nazionalità B.
Bene.
Al momento la situazione è la seguente:
- lo schianto di donna ha due nazionalità: A e B;
- però risiede in una terza nazione: C;
- il fatto che lei risieda nella nazione C non è mai stato comunicato né alla nazione A, né tantomeno alla B;
- per la nazione A, lo schianto di donna è residente nella nazione B, e questa cosa è indicata nel passaporto della nazione A;
- per la nazione B, lo schianto di donna è residente nella nazione A (il cambio di residenza è stato comunicato agli uffici competenti), ma la carta di identità della nazione B non è stata aggiornata ed è rimasta al vecchio indirizzo (della nazione B!) dove lo schianto di donna risiedeva prima di C e A;
- lo schianto di donna è sprovvista di carta di identità della nazione A e pure di passaporto della nazione B;
- la carta di identità della nazione B è appena scaduta;
- il passaporto della nazione A è di quelli vecchi senza la foto digitale o come cazzo si chiama (per capirci, quella roba che adesso è obbligatoria se vuoi andare negli Stati Uniti ecc ecc) ed è prossimo alla scadenza.
Chiaro?
Bene.
Il punto è che lo schianto di donna, nel (vano, per ora) tentativo di capire chi sia e che minchia debba fare per avere dei documenti che siano perlomeno vagamente coerenti, si è accorta che le sta per scadere la patente (nazione B, credo) ed ha avuto una crisi isterica.
Ora ripete compulsivamente che la arresteranno per tutto questo e non mi lascia andare a letto (sono le ore 1.45 AM).
Ma io la amo lo stesso.
Tantissimo, tra l'altro.
sabato 3 dicembre 2011
Terminal 5: Aeroporto di Monaco - Franz Josep Strauss
Cosa volete che vi dica? Tutte le volte che atterro in Germania ho la sensazione di essere di nuovo a casa. Sarà perché in Germania ci ho vissuto per qualche anno e ci sono stato benissimo, sarà perché è stato il primo posto dove ho vissuto dopo aver lasciato l'Italia, saranno i ricordi degli anni forse più belli e difficili della mia vita, o forse è semplicemente il fatto che qui conosco le insegne dei negozi, le marche di biscotti e dentifrici, le divise dei poliziotti e dei controllori delle Deutsche Bahn, l'odore che c'è dentro alle panetterie, i sapori dei panini in vendita nei kiosk, le erre dure e gutturali che spuntano qua e là nelle conversazioni crucche...
Insomma, quando arrivo in Germania mi sento a casa. Mi sento tranquillo e felice.
La prima cosa da fare quando si arriva in Germania (a meno che non sia mattina presto e uno abbia ancora il sapore di latte e nesquik in bocca) è cercare la più vicina panetteria -ce ne sono ovunque, anche negli aeroporti- e mangiarsi un Bretzel. Il Bretzel è quel panino attorcigliato e buonissimo, con la crosta liscia e i pezzi di sale grosso sopra. Ecco, addentarlo e sentire il suo sapore pastoso mescolarsi con quello dei pezzetti di sale che si sciolgono in bocca è per me un'esperienza da madeleine proustiana. Sono i miei anni tedeschi, con tutti i ricordi, tutti quanti, tutti in una volta, stipati dentro quel sapore...
E se si aggiunge a tutto questo il fatto che tra poco sarò ai Weihnachtsmarkts, ai mercatini di natale di Monaco, a gironzolare tra le casette di legno che vendono bratwurst e patate fumanti e senape, a scaldarmi con un paio di tazze di glühwine, pigiato tra la gente e l'odore di cannella... Beh, se si considera tutto questo non posso fare altro che scrivere, qui sotto:
Tre stelline.
[L'aeroporto è grande e pieno di negozi e bar quindi non ci si annoia troppo nell'attesa. C'è pure l'immancabile supermercato; in Germania è abbastanza normale, dato che gli unici posti dove si possano tenere negozi aperti la domenica sono aeroporti e stazioni ferroviarie. Fanno ovviamente eccezione alla regola le panetterie e i chioschi dei distributori di benzina, ma qui la storia si fa lunga e tocca aspetti sociologici che sono stati descritti benissimo in un libretto che mi ero letto subito dopo il mio arrivo in Germania e mi era piaciuto un sacco: qui]
Insomma, quando arrivo in Germania mi sento a casa. Mi sento tranquillo e felice.
La prima cosa da fare quando si arriva in Germania (a meno che non sia mattina presto e uno abbia ancora il sapore di latte e nesquik in bocca) è cercare la più vicina panetteria -ce ne sono ovunque, anche negli aeroporti- e mangiarsi un Bretzel. Il Bretzel è quel panino attorcigliato e buonissimo, con la crosta liscia e i pezzi di sale grosso sopra. Ecco, addentarlo e sentire il suo sapore pastoso mescolarsi con quello dei pezzetti di sale che si sciolgono in bocca è per me un'esperienza da madeleine proustiana. Sono i miei anni tedeschi, con tutti i ricordi, tutti quanti, tutti in una volta, stipati dentro quel sapore...
E se si aggiunge a tutto questo il fatto che tra poco sarò ai Weihnachtsmarkts, ai mercatini di natale di Monaco, a gironzolare tra le casette di legno che vendono bratwurst e patate fumanti e senape, a scaldarmi con un paio di tazze di glühwine, pigiato tra la gente e l'odore di cannella... Beh, se si considera tutto questo non posso fare altro che scrivere, qui sotto:
Tre stelline.
[L'aeroporto è grande e pieno di negozi e bar quindi non ci si annoia troppo nell'attesa. C'è pure l'immancabile supermercato; in Germania è abbastanza normale, dato che gli unici posti dove si possano tenere negozi aperti la domenica sono aeroporti e stazioni ferroviarie. Fanno ovviamente eccezione alla regola le panetterie e i chioschi dei distributori di benzina, ma qui la storia si fa lunga e tocca aspetti sociologici che sono stati descritti benissimo in un libretto che mi ero letto subito dopo il mio arrivo in Germania e mi era piaciuto un sacco: qui]
Terminal 4: Aeroporto di Madrid - Barajas
10 aerei in 10 giorni.
È il mio record personale, in quanto a frenesia viaggi. A dir la verità, tecnicamente non è ancora il mio record personale. Sono partito venerdì scorso e ho preso 7 voli. Adesso vi sto scrivendo ed è venerdì e tutto attorno a me c'è l'aeroporto di Madrid, e l'ottavo aereo mi aspetta, nasuto, da qualche parte al di là dal vetro. Questo significa che basterà un solo volo al giorno fino a domenica e il conteggio arriverà a un solenne e rotondo 10/10. Ecco, domenica avrò il mio record personale, in quanto a frenesia viaggi.
Per motivi che all'inizio non erano chiarissimi nemmeno a me, tutto questo spostarsi frenetico mi ha fatto pensare alle Lezioni americane di Italo Calvino. Le Lezioni americane sono un ciclo di lezioni che Calvino doveva tenere in non so più quale università americana (Harvard? Boh, potrei sbagliarmi...) e dovevano essere una specie di promemoria, un messaggio in bottiglia, per la letteratura del nuovo millennio, che è il nostro millennio, allora non ancora iniziato. Dovevano essere sei, le lezioni, ma Calvino è morto prima di scrivere l'ultima. Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e Consistenza (che è quella che non ha scritto).
In realtà quando le ho lette ho subito pensato che fossero un promemoria universale, un promemoria per tutto quanto, e non solo per la letteratura. E sono davvero un promemoria bellissimo. Insomma, in mezzo a tutto questo decollare e atterrare ho pensato spesso a loro.
La mia preferita è la prima, la Leggerezza, con quell'agile salto del poeta-filosofo che si solleva dalle pesantezze del mondo sapendo però che il segreto sta proprio lì, il segreto della leggerezza sta nascosto dentro alla pesantezza del mondo. Proprio così:
E allora, penso passeggiando su e giù da un tapis roulant all'altro cercando il bar giusto per ammazzare l'attesa, come si fa a non pensare alla leggerezza quando si vede un aereo decollare? Che cos'è che fa volare gli aeroplani, cosa tiene tra le nuvole questi enormi aggeggi nasuti se non la loro insospettabile e sofisticata leggerezza? Alla leggerezza avranno pensato, per forza!, i primi pazzi visionari che hanno immaginato di volare.
E continuo a camminare su e giù, cercando il mio bar e pensando al poeta-filosofo e ai suoi compari. Sì, perché in quelle bellissime pagine sulla leggerezza non c'è solamente il poeta-filosofo, ma c'è anche il barone di Münchausen che vola su una palla di cannone, c'è Don Quijote che infilza la pala del mulino a vento e viene scaraventato in aria, c'è il personaggio kafkiano che si libra in cielo a cavallo di un secchio vuoto che forse (?) non starebbe in cielo se vuoto non fosse, e c'è tantissimo altro...
E a leggerle, queste pagine, uno capisce che il vecchio Italo aveva capito un sacco di cose, uno capisce che il vecchio Italo la sapeva lunga...
Aveva capito che la leggerezza è una roba seria. Che non è poco.
E quanto al resto, quanto a rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e consistenza, mi pare che questa settimana non abbia scherzato per niente. In realtà mi pare che questi anni duemila-e-qualcosa non stiano scherzando per niente in quanto a queste cose... Ci ho pensato un po', e alla fine mi son detto che il vecchio Italo aveva azzeccato proprio tutto quanto.
_________
Il bar giusto non l'ho trovato, a Barajas, non ne ho visti di carini... L'aeroporto è ok, ma senza troppi diversivi, che avrebbero aiutato, dato che ci ho dovuto passare un bel po' di tempo...
Vabbè, và...
Due stelline.
È il mio record personale, in quanto a frenesia viaggi. A dir la verità, tecnicamente non è ancora il mio record personale. Sono partito venerdì scorso e ho preso 7 voli. Adesso vi sto scrivendo ed è venerdì e tutto attorno a me c'è l'aeroporto di Madrid, e l'ottavo aereo mi aspetta, nasuto, da qualche parte al di là dal vetro. Questo significa che basterà un solo volo al giorno fino a domenica e il conteggio arriverà a un solenne e rotondo 10/10. Ecco, domenica avrò il mio record personale, in quanto a frenesia viaggi.
Per motivi che all'inizio non erano chiarissimi nemmeno a me, tutto questo spostarsi frenetico mi ha fatto pensare alle Lezioni americane di Italo Calvino. Le Lezioni americane sono un ciclo di lezioni che Calvino doveva tenere in non so più quale università americana (Harvard? Boh, potrei sbagliarmi...) e dovevano essere una specie di promemoria, un messaggio in bottiglia, per la letteratura del nuovo millennio, che è il nostro millennio, allora non ancora iniziato. Dovevano essere sei, le lezioni, ma Calvino è morto prima di scrivere l'ultima. Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e Consistenza (che è quella che non ha scritto).
In realtà quando le ho lette ho subito pensato che fossero un promemoria universale, un promemoria per tutto quanto, e non solo per la letteratura. E sono davvero un promemoria bellissimo. Insomma, in mezzo a tutto questo decollare e atterrare ho pensato spesso a loro.
La mia preferita è la prima, la Leggerezza, con quell'agile salto del poeta-filosofo che si solleva dalle pesantezze del mondo sapendo però che il segreto sta proprio lì, il segreto della leggerezza sta nascosto dentro alla pesantezza del mondo. Proprio così:
"Se volessi scegliere un simbolo augurale per l'affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l'agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla peasantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d'automobili arrugginite".
E allora, penso passeggiando su e giù da un tapis roulant all'altro cercando il bar giusto per ammazzare l'attesa, come si fa a non pensare alla leggerezza quando si vede un aereo decollare? Che cos'è che fa volare gli aeroplani, cosa tiene tra le nuvole questi enormi aggeggi nasuti se non la loro insospettabile e sofisticata leggerezza? Alla leggerezza avranno pensato, per forza!, i primi pazzi visionari che hanno immaginato di volare.
E continuo a camminare su e giù, cercando il mio bar e pensando al poeta-filosofo e ai suoi compari. Sì, perché in quelle bellissime pagine sulla leggerezza non c'è solamente il poeta-filosofo, ma c'è anche il barone di Münchausen che vola su una palla di cannone, c'è Don Quijote che infilza la pala del mulino a vento e viene scaraventato in aria, c'è il personaggio kafkiano che si libra in cielo a cavallo di un secchio vuoto che forse (?) non starebbe in cielo se vuoto non fosse, e c'è tantissimo altro...
E a leggerle, queste pagine, uno capisce che il vecchio Italo aveva capito un sacco di cose, uno capisce che il vecchio Italo la sapeva lunga...
Aveva capito che la leggerezza è una roba seria. Che non è poco.
E quanto al resto, quanto a rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e consistenza, mi pare che questa settimana non abbia scherzato per niente. In realtà mi pare che questi anni duemila-e-qualcosa non stiano scherzando per niente in quanto a queste cose... Ci ho pensato un po', e alla fine mi son detto che il vecchio Italo aveva azzeccato proprio tutto quanto.
_________
Il bar giusto non l'ho trovato, a Barajas, non ne ho visti di carini... L'aeroporto è ok, ma senza troppi diversivi, che avrebbero aiutato, dato che ci ho dovuto passare un bel po' di tempo...
Vabbè, và...
Due stelline.
martedì 29 novembre 2011
Differenze culturali
In questo momento (e per tutta la settimana) sono al lavoro in una università spagnola. Mi sono messo a lavorare col mio laptop nella biblioteca del dipartimento. La biblioteca è aperta, chiunque può entrare, collegare il proprio laptop alle prese della corrente e mettersi a lavorare, e magari consultare uno dei libri che sono sugli scaffali. Ora è pausa pranzo e quindi sono tutti a pranzo. Nella biblioteca ci sono solo io.
Chiara la situazione?
Riassumiamola: biblioteca aperta, accesso facile e non controllato, pausa pranzo, biblioteca deserta.
Bene.
Qui la gente che va in pausa pranzo lascia tranquillamente il laptop sul tavolo. Uno ha lasciato addirittura laptop e iphone. A quanto pare qui è normale. Fanno tutti così. Mi hanno anche preso in giro perché quando sono andato a pranzo io me lo son portato dietro, il laptop...
Domanda: se Mario Rossi lasciasse il laptop sul tavolo della biblioteca X in Italia e si assentasse per un periodo di tempo superiore ai 15 minuti, in una fascia oraria in cui la biblioteca è deserta, quanti laptop troverebbe al suo ritorno?
Attendo lumi.
lunedì 28 novembre 2011
Terminal 3: Aeroporto di Roma - Fiumicino
CAPITOLO 1: Parigi-Roma
Atterro a Fiumicino, mi infilo nel tubo che ci fa scivolare tutti quanti dentro alla sezione "Arrivi" del terminal, e mi perdo. Devo essermi dormito il primo (e ultimo, apparentemente) segnale "Exit/Uscita". Mi sono distratto perché, da bravo italiano, appena rimesso piede sul glorioso suolo italico, mi son subito sentito in dovere di contribuire al chiassoso vociare di fondo -ah! casa dolce casa!- gridando con convinzione e trasporto al telefonino: "Ciao, sono a Roma... Sí, sí, non c'è problema... Noooo, noooo, ma figurati! Sì... Ok... Ok... Quando torno, va bene, ciao, baci... Baci...". Riattacco e non so più dove sono.
Ottimo.
Bar e tranci di pizza ovunque -ah! casa dolce casa!- e un numero spropositato di preti. Si, preti ovunque. Milioni di sacerdoti col colletto bianco. E suore. Di solito basse, cicciottelle, vecchie e in coppia. Boh. Va bene che a Roma c'è il Vaticano, ma il numero di preti e di (coppie di) suore mi è parso decisamente sproporzionato. Mah... Trovo a fatica l'uscita, cercando di stimare (a mente) quale possa essere il numero medio di preti in transito a Fiumicino in un dato istante t, poi lascio perdere. Cambio terminal e aspetto la mia amica A. che ha il volo che atterra poco dopo il mio. Al terminal 3, sezione "Arrivi", c'è un po' di annoiatissima gente che sorregge a due mani cognomi scritti col pennarello e li alza in bella vista ogni volta che le porte scorrevoli si aprono e sputano fuori un po' di gente, ci sono le due immancabili suore appoggiate alla ringhiera, basse, cicciottelle e con il tipico maglioncino da suora (quello coi bottoni, nero o grigio, tutte le suore del mondo ce l'hanno), e c'è una vistosissima ragazza, forse un po' troppo elegante, annoiata e in attesa, lineamenti est-europei, pelliccia castana, capelli pure, e un rossetto così rosso su quella pelle bianchissima che pare gridare. Quando uno dei sorreggi-cognomi dà di gomito al suo compare, sghignazza e grida alla ragazza (con un accento inglese degno del più rauco Franco Califano) "Are you waiting for me?" ho una piccola rivelazione, una visione, un'epifania. E capisco di essere di nuovo a casa, capisco la sconfortante normalità di vent'anni di porno-Berlusconismo, capisco la Minetti, capisco le veline di striscia la notizia. Capisco tutto quanto. Un uomo sui quaranta, elegantissimo e con una rosa dal gambo lunghissimo si porta via la ragazza appariscente, e insieme a lei gli occhi del portacognomi.
Quando vedo A. comparire dietro le porte scorrevoli sono ancora lì che penso di capire tutto, anche se non so bene, in tutto questo, quale sia esattamente il problema. L'abbraccio forte e poi prendiamo il treno per Roma.
__________
CAPITOLO 2: Roma-Parigi
Weekend finito, arrivo a Fiumicino, abbraccio forte A., vado verso il terminal 2 e mi perdo. Sbaglio una scala mobile e mi ritrovo al terminal 1.
Ottimo.
Quando finalmente trovo il terminal 2 manca un'ora e venti alla partenza del mio volo. Arrivo al gate e mi prende un colpo. Non ho mai visto niente di simile. Dai metal detector dei controlli di sicurezza parte una fila, dapprima raggomitolata, piegata su se stessa in strette spire a 180 gradi, guidata dalle fasce di plastica scura con su scritto "Aeroporti di Roma". Riempie, densa, un ampio rettangolo di spazio delimitato da paletti neri e poi, dopo l'ultimo paletto di plastica esplode, si linearizza, corre lunghissima costeggiando file infinite di tristi poltroncine di plastica, poi piega, un ansa di fiume che segue la vallata, gira di 90 gradi e continua decisa e diritta verso un corridoio dall'altra parte della hall. E si perde dietro a un muro. È la fila più lunga che abbia mai visto in vita mia in un aeroporto. E la gente è furente. Alcuni chiedono di passare ma siamo tutti quanti sugli stessi tre voli che partono alla stessa ora. Una ragazza, decisamente imbarazzata a causa dell'uniforme aeroportuale che indossa, sfida i nostri sguardi torvi e fa: "Parigi, Milano e Venezia? Seguitemi!" e ci mette su una seconda fila, chiaramente improvvisata lì per lì, molto più corta. La situazione resta pessima, e quando riacciuffo la signorina per abbaiarle contro un: "Scusi ma si rende conto che la fila dove ci ha messi è corta ma non si muove di un centimetro?" lei allerga le braccia e dice sconsolata "Aeroporti di Roma, signori...".
Più di un'ora dopo passo finalmente i metal detector (due! Si, due! Il terminal 2 di Fiumicino ha solamente due cazzo di metal detector!) e mi metto a correre. Tiro il trolley con una mano e con l'altra mi stringo contro un fianco laptop passaporto carta d'imbarco telefono ipod eccetera. Corro sgangherato e affianco una ragazza che corre pure lei sgangherata e dico "Parigi, immagino" e lei "Eh si, Parigi, cazzo...". Arriviamo all'imbarco sudati fradici, rossi in viso e iperventilanti per sentirci dire da una irritatissima dipendente dell'aeroporto: "Il volo è chiuso".
Io mi incazzo e faccio il professorino irritato che fa la predica, la ragazza se la gioca più sul La-prego-ci-faccia-passare-la-prego-la-prego...
Lei e il suo collega si guardano, fanno una telefonate e ci fanno passare. Sento la ragazza, ancora ansimante, tranquillizzare qualcuno al cellulare "Si, preso, per un soffio... A me e a un signore non ci volevano imbarcare!" e mi accorgo di essermi perso il momento esatto della mia vita in cui per la gente da ragazzo son diventato signore... Mah...
Siamo dentro al tubo che porta all'aereo. Siamo tutti e due ancora rossi e accaldati. Passa il ragazzo dell'aeroporto, quello che era insieme all'irritatissima signorina all'imbarco, ci strizza l'occhio e ci fa: "Tornate indietro, non siete stati accettati". In mezzo a tutta quella desolazione aeroportuale, ci strappa un sorriso, ed è lì che capisco quale sia esattamente il problema. Ho una seconda epifania, una seconda rivelazione aeroportuale. Il problema dell'Italia, ascoltatemi bene, è la simpatia.
__________
Comunque, l'aeroporto di Fiumicino non è all'altezza. Troppo poco. Davvero troppo poco per Roma. La capitale. Caput mundi. E tutte queste balle qua.
Che cazzo.
Una stellina.
Atterro a Fiumicino, mi infilo nel tubo che ci fa scivolare tutti quanti dentro alla sezione "Arrivi" del terminal, e mi perdo. Devo essermi dormito il primo (e ultimo, apparentemente) segnale "Exit/Uscita". Mi sono distratto perché, da bravo italiano, appena rimesso piede sul glorioso suolo italico, mi son subito sentito in dovere di contribuire al chiassoso vociare di fondo -ah! casa dolce casa!- gridando con convinzione e trasporto al telefonino: "Ciao, sono a Roma... Sí, sí, non c'è problema... Noooo, noooo, ma figurati! Sì... Ok... Ok... Quando torno, va bene, ciao, baci... Baci...". Riattacco e non so più dove sono.
Ottimo.
Bar e tranci di pizza ovunque -ah! casa dolce casa!- e un numero spropositato di preti. Si, preti ovunque. Milioni di sacerdoti col colletto bianco. E suore. Di solito basse, cicciottelle, vecchie e in coppia. Boh. Va bene che a Roma c'è il Vaticano, ma il numero di preti e di (coppie di) suore mi è parso decisamente sproporzionato. Mah... Trovo a fatica l'uscita, cercando di stimare (a mente) quale possa essere il numero medio di preti in transito a Fiumicino in un dato istante t, poi lascio perdere. Cambio terminal e aspetto la mia amica A. che ha il volo che atterra poco dopo il mio. Al terminal 3, sezione "Arrivi", c'è un po' di annoiatissima gente che sorregge a due mani cognomi scritti col pennarello e li alza in bella vista ogni volta che le porte scorrevoli si aprono e sputano fuori un po' di gente, ci sono le due immancabili suore appoggiate alla ringhiera, basse, cicciottelle e con il tipico maglioncino da suora (quello coi bottoni, nero o grigio, tutte le suore del mondo ce l'hanno), e c'è una vistosissima ragazza, forse un po' troppo elegante, annoiata e in attesa, lineamenti est-europei, pelliccia castana, capelli pure, e un rossetto così rosso su quella pelle bianchissima che pare gridare. Quando uno dei sorreggi-cognomi dà di gomito al suo compare, sghignazza e grida alla ragazza (con un accento inglese degno del più rauco Franco Califano) "Are you waiting for me?" ho una piccola rivelazione, una visione, un'epifania. E capisco di essere di nuovo a casa, capisco la sconfortante normalità di vent'anni di porno-Berlusconismo, capisco la Minetti, capisco le veline di striscia la notizia. Capisco tutto quanto. Un uomo sui quaranta, elegantissimo e con una rosa dal gambo lunghissimo si porta via la ragazza appariscente, e insieme a lei gli occhi del portacognomi.
Quando vedo A. comparire dietro le porte scorrevoli sono ancora lì che penso di capire tutto, anche se non so bene, in tutto questo, quale sia esattamente il problema. L'abbraccio forte e poi prendiamo il treno per Roma.
__________
CAPITOLO 2: Roma-Parigi
Weekend finito, arrivo a Fiumicino, abbraccio forte A., vado verso il terminal 2 e mi perdo. Sbaglio una scala mobile e mi ritrovo al terminal 1.
Ottimo.
Quando finalmente trovo il terminal 2 manca un'ora e venti alla partenza del mio volo. Arrivo al gate e mi prende un colpo. Non ho mai visto niente di simile. Dai metal detector dei controlli di sicurezza parte una fila, dapprima raggomitolata, piegata su se stessa in strette spire a 180 gradi, guidata dalle fasce di plastica scura con su scritto "Aeroporti di Roma". Riempie, densa, un ampio rettangolo di spazio delimitato da paletti neri e poi, dopo l'ultimo paletto di plastica esplode, si linearizza, corre lunghissima costeggiando file infinite di tristi poltroncine di plastica, poi piega, un ansa di fiume che segue la vallata, gira di 90 gradi e continua decisa e diritta verso un corridoio dall'altra parte della hall. E si perde dietro a un muro. È la fila più lunga che abbia mai visto in vita mia in un aeroporto. E la gente è furente. Alcuni chiedono di passare ma siamo tutti quanti sugli stessi tre voli che partono alla stessa ora. Una ragazza, decisamente imbarazzata a causa dell'uniforme aeroportuale che indossa, sfida i nostri sguardi torvi e fa: "Parigi, Milano e Venezia? Seguitemi!" e ci mette su una seconda fila, chiaramente improvvisata lì per lì, molto più corta. La situazione resta pessima, e quando riacciuffo la signorina per abbaiarle contro un: "Scusi ma si rende conto che la fila dove ci ha messi è corta ma non si muove di un centimetro?" lei allerga le braccia e dice sconsolata "Aeroporti di Roma, signori...".
Più di un'ora dopo passo finalmente i metal detector (due! Si, due! Il terminal 2 di Fiumicino ha solamente due cazzo di metal detector!) e mi metto a correre. Tiro il trolley con una mano e con l'altra mi stringo contro un fianco laptop passaporto carta d'imbarco telefono ipod eccetera. Corro sgangherato e affianco una ragazza che corre pure lei sgangherata e dico "Parigi, immagino" e lei "Eh si, Parigi, cazzo...". Arriviamo all'imbarco sudati fradici, rossi in viso e iperventilanti per sentirci dire da una irritatissima dipendente dell'aeroporto: "Il volo è chiuso".
Io mi incazzo e faccio il professorino irritato che fa la predica, la ragazza se la gioca più sul La-prego-ci-faccia-passare-la-prego-la-prego...
Lei e il suo collega si guardano, fanno una telefonate e ci fanno passare. Sento la ragazza, ancora ansimante, tranquillizzare qualcuno al cellulare "Si, preso, per un soffio... A me e a un signore non ci volevano imbarcare!" e mi accorgo di essermi perso il momento esatto della mia vita in cui per la gente da ragazzo son diventato signore... Mah...
Siamo dentro al tubo che porta all'aereo. Siamo tutti e due ancora rossi e accaldati. Passa il ragazzo dell'aeroporto, quello che era insieme all'irritatissima signorina all'imbarco, ci strizza l'occhio e ci fa: "Tornate indietro, non siete stati accettati". In mezzo a tutta quella desolazione aeroportuale, ci strappa un sorriso, ed è lì che capisco quale sia esattamente il problema. Ho una seconda epifania, una seconda rivelazione aeroportuale. Il problema dell'Italia, ascoltatemi bene, è la simpatia.
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Comunque, l'aeroporto di Fiumicino non è all'altezza. Troppo poco. Davvero troppo poco per Roma. La capitale. Caput mundi. E tutte queste balle qua.
Che cazzo.
Una stellina.
mercoledì 23 novembre 2011
Tapis roulant
Questo post parla del tapis roulant che collega la stazione della metro 13 di Parigi Invalides a quella, omonima, della RER C. Si, avete capito bene, questo post parla di un tapis roulant. Ma non uno qualsiasi. È un tapis roulant che conosco bene, forse quello che conosco meglio, perché mi trasporta ogni giorno, per due volte - da sinistra a destra al mattino, e da destra a sinistra la sera - quando vado e torno dal lavoro.
Bene.
Il tapis roulant che collega la stazione della metro 13 di Parigi Invalides a quella, omonima, della RER C, è uno di quei tapis roulant lunghissimi. È davvero lunghissimo. E ha questo tunnel tutto attorno, che quasi non se ne vede il fondo. E la gente ci cammina sopra, al tapis roulant, per andare più in fretta, per arrivare prima nel posto in cui sta andando, per risparmiare tempo, o per altri motivi che non so.
Ecco, c'è una cosa che mi piace fare, certe mattine, quando arrivo lì, nel tunnel lunghissimo che collega la metro 13 alla RER C. Mi piace arrivare al tapis roulant, salirci e stare fermo, non camminare, non fare niente. Tirare fuori il libro dalla tracolla e mettermi a leggere.
È bello leggere e vedere con la coda dell'occhio le pareti del tunnel, i manifesti, e le piastrelle bianche che si alternano una dopo l'altra passandomi accanto. Mi piace stare lì, fermo, in piedi, e leggere sentendo il cigolio del nastro trasportatore che scorre, e le piccole irregolarità nella struttura che sta sotto al nastro che spingono leggermente sui piedi mentre ci passano sopra. Mi piace starmene li fermo mentre la gente mi passa accanto, mentre tutto si muove, compreso il suolo sotto ai miei piedi. Tutto si muove tranne me, che me ne sto fermo a leggere.
Si possono leggere un paio di pagine, così. E a me piace.
Bene.
Il tapis roulant che collega la stazione della metro 13 di Parigi Invalides a quella, omonima, della RER C, è uno di quei tapis roulant lunghissimi. È davvero lunghissimo. E ha questo tunnel tutto attorno, che quasi non se ne vede il fondo. E la gente ci cammina sopra, al tapis roulant, per andare più in fretta, per arrivare prima nel posto in cui sta andando, per risparmiare tempo, o per altri motivi che non so.
Ecco, c'è una cosa che mi piace fare, certe mattine, quando arrivo lì, nel tunnel lunghissimo che collega la metro 13 alla RER C. Mi piace arrivare al tapis roulant, salirci e stare fermo, non camminare, non fare niente. Tirare fuori il libro dalla tracolla e mettermi a leggere.
È bello leggere e vedere con la coda dell'occhio le pareti del tunnel, i manifesti, e le piastrelle bianche che si alternano una dopo l'altra passandomi accanto. Mi piace stare lì, fermo, in piedi, e leggere sentendo il cigolio del nastro trasportatore che scorre, e le piccole irregolarità nella struttura che sta sotto al nastro che spingono leggermente sui piedi mentre ci passano sopra. Mi piace starmene li fermo mentre la gente mi passa accanto, mentre tutto si muove, compreso il suolo sotto ai miei piedi. Tutto si muove tranne me, che me ne sto fermo a leggere.
Si possono leggere un paio di pagine, così. E a me piace.
La foto l'ho presa qui.
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Darsi degli obiettivi chiari e precisi
Mi sono convinto del fatto che per ottenere dei risultati - in termini di ritorno di immagine, s'intende - da questo (fantastico) blog è necessario darsi degli obiettivi chiari e precisi. Come ho già anticipato all'unica follower di questo (grandioso) blog, i due obiettivi che mi pongo (e che raggiungerò! Perdio!*) sono i seguenti:
1) raggiungere i 1000 accessi entro natale (ora siamo a 327);
2) raddoppiare (si, avete sentito bene, raddoppiare!) il numero di followers.
Ragazzi, qui non si scherza.
Questo (strepitoso) blog farà molto parlare di sé.
Sì, farà molto parlare di sé...
_______________________
* Forse.
1) raggiungere i 1000 accessi entro natale (ora siamo a 327);
2) raddoppiare (si, avete sentito bene, raddoppiare!) il numero di followers.
Ragazzi, qui non si scherza.
Questo (strepitoso) blog farà molto parlare di sé.
Sì, farà molto parlare di sé...
_______________________
* Forse.
martedì 22 novembre 2011
Una cosa alla volta
Ho trovato questa cosa che mi sembra molto utile. Un bel blocco per segnarsi le cose da fare. La to-do list per oggi. Però il blocco ha lo spazio per una sola cosa. Una sola. Niente male come idea... Niente male... Che bello che sarebbe poter decidere di concentrarsi su una cosa importante da fare ogni giorno, una sola, concentrarcisi e portarla a termine. Mettere a fuoco la cosa, tra tante, che più importa, che è più urgente, a cui più si tiene. Metterla a fuoco e poi farla. Punto e basta. Ed arrivare a sera soddisfatti.
Vabbè, adesso vi saluto che ho un casino di roba da fare...
Fonte della foto: qui.
Vabbè, adesso vi saluto che ho un casino di roba da fare...
Fonte della foto: qui.
lunedì 21 novembre 2011
Nessuno mi ama?
Ogni giorno controllo speranzoso il mio blog alla ricerca di "followers".
Ogni giorno resto deluso.
Nessuno.
Nessuno che mi segue.
Cazzo.
Poi girello un po' tra altri blog che seguo e mi intristisco a vedere i followers degli altri. Lo so, e infantile, ma non importa. Prendete questo blog qui, per esempio, che mi piace un sacco. 1353 followers. Ripeto: milletrecentocinquantatre followers.
Che cazzo.
E come fa poi uno a non deprimersi a vedere cose così?
Milletrecentocinquantatre a zero.
Mah...
Meno male che il sondaggio va benino. Tre voti in tutto*, di cui due sostengono che sì, Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno è il blog più popolare d'Italia. Una vittoria netta e schiacciante sui no, che sono solamente la metà.
Son soddisfazioni...
___________________
* la mia ragazza ha giurato di non aver partecipato al sondaggio.
Ogni giorno resto deluso.
Nessuno.
Nessuno che mi segue.
Cazzo.
Poi girello un po' tra altri blog che seguo e mi intristisco a vedere i followers degli altri. Lo so, e infantile, ma non importa. Prendete questo blog qui, per esempio, che mi piace un sacco. 1353 followers. Ripeto: milletrecentocinquantatre followers.
Che cazzo.
E come fa poi uno a non deprimersi a vedere cose così?
Milletrecentocinquantatre a zero.
Mah...
Meno male che il sondaggio va benino. Tre voti in tutto*, di cui due sostengono che sì, Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno è il blog più popolare d'Italia. Una vittoria netta e schiacciante sui no, che sono solamente la metà.
Son soddisfazioni...
___________________
* la mia ragazza ha giurato di non aver partecipato al sondaggio.
Amore, aeroporto, De Lillo & canelé (olé!)
Oggi quello schianto della mia donna è partita per tornarsene a casa (a 1500 km da qui: cazzo, cazzo e cazzo) prendendo il primo volo del mattino (cazzo, cazzo e cazzo).
Io, essendo un grandissimo signore, l'ho accompagnata all'aeroporto (quello di Orly, terminal ouest, per l'esattezza). È stato davvero un gesto di grande signorilità il mio, dato che di solito per alzarmi dal letto ci vogliono le cannonate e che mi alzo a orari vergognosi (vi dico solo che in media arrivo al lavoro verso le 11...). Insomma, ci siamo alzati alle 5.30 (Cristo... 5.30... Era ancora buio! Devo essere davvero innamorato...) e siamo andati in aeroporto. Abbiamo fatto colazione da Paul, mangiando come due maiali (2 croissants, un canelé, un pain au chocolat, cappuccio e cioccolata calda e vaffanculo a [nell'ordine]: crisi, austerity, linea&forma-fisica, manovre finanziarie e governi tecnici vari).
Parentesi. Il canelé è una roba strepitosa che tutti dovrebbero provare. Davvero. Sono serio. Se vi capita di passare dalla Francia andate da Paul e mangiatevi un canelé. Mi ringrazierete.
Poi, dopo baci e abbracci che sarebbero sembrati eccessivamente sdolcinati anche a un pre-adolescente in calore, lo schianto di donna si è imbarcata e io me ne son tornato tristemente a Parigi senza pagare il biglietto della RER C (iniziare la settimana trasgredendo dà quello slancio necessario ad arrivare al venerdì con ancora qualche energia residua).
Sulla RER C ho letto un po' Underworld, di De Lillo.
E meno male che De Lillo è un grande e che l'inizio di Underworld è meraviglioso, con la finale di baseball, e Frank Sinatra e Edgar J. Hoover che se la guardano mangiando hot dogs e bevendo birra, e il ragazzino sul tetto che ascolta la telecronaca alla radio, e la pallina che vola tra gli spalti all'ultimo inning e tutto quanto esplode...
Che inizio strepitoso!
Gran libro.
Mano male, va...
Sennò, dato l'inizio della mattinata "bye bye love", mi sarei intristito...
Io, essendo un grandissimo signore, l'ho accompagnata all'aeroporto (quello di Orly, terminal ouest, per l'esattezza). È stato davvero un gesto di grande signorilità il mio, dato che di solito per alzarmi dal letto ci vogliono le cannonate e che mi alzo a orari vergognosi (vi dico solo che in media arrivo al lavoro verso le 11...). Insomma, ci siamo alzati alle 5.30 (Cristo... 5.30... Era ancora buio! Devo essere davvero innamorato...) e siamo andati in aeroporto. Abbiamo fatto colazione da Paul, mangiando come due maiali (2 croissants, un canelé, un pain au chocolat, cappuccio e cioccolata calda e vaffanculo a [nell'ordine]: crisi, austerity, linea&forma-fisica, manovre finanziarie e governi tecnici vari).
Parentesi. Il canelé è una roba strepitosa che tutti dovrebbero provare. Davvero. Sono serio. Se vi capita di passare dalla Francia andate da Paul e mangiatevi un canelé. Mi ringrazierete.
Poi, dopo baci e abbracci che sarebbero sembrati eccessivamente sdolcinati anche a un pre-adolescente in calore, lo schianto di donna si è imbarcata e io me ne son tornato tristemente a Parigi senza pagare il biglietto della RER C (iniziare la settimana trasgredendo dà quello slancio necessario ad arrivare al venerdì con ancora qualche energia residua).
Sulla RER C ho letto un po' Underworld, di De Lillo.
E meno male che De Lillo è un grande e che l'inizio di Underworld è meraviglioso, con la finale di baseball, e Frank Sinatra e Edgar J. Hoover che se la guardano mangiando hot dogs e bevendo birra, e il ragazzino sul tetto che ascolta la telecronaca alla radio, e la pallina che vola tra gli spalti all'ultimo inning e tutto quanto esplode...
Che inizio strepitoso!
Gran libro.
Mano male, va...
Sennò, dato l'inizio della mattinata "bye bye love", mi sarei intristito...
giovedì 17 novembre 2011
Inseguimento
Oggi è una di quelle giornate in cui mi sento indietro su tutti i fronti, all'inseguimento di tutto, di corsa e in affanno ma nonostante questo superato da tutto e tutti. Oggi è una di quelle giornate in cui mi viene da pensare che le cose da fare sono così tante e che io sono così indietro che non riuscirò mai a recuperare. Mai.
È una di quelle giornate in cui mi sento così:
È una di quelle giornate in cui mi sento così:
Fonte: qui.
mercoledì 16 novembre 2011
Pigrizia e amore
Allora.
In questo periodo sono pigro, però mi ero anche riproposto di postare regolarmente sul blog (altrimenti col cazzo che diventa il più popolare d'Italia...), quindi ho deciso di fare una cosa pessima.
Che è la seguente: c'è un blog che mi piace e che, da quando ho iniziato a scrivere il mio, seguo abbastanza assiduamente. Oggi ho commentato questo post qui, in cui l'autrice (la blogger?) spiega quali sono le due cose che ha capito degli uomini per quanto riguarda la seduzione.
Le due cose sono queste:
Poi l'autrice (blogger?) aggiunge 3 (doverose) postille:
Insomma siccome sono pigro e siccome il mio commento a questo post era particolarmente lungo, lo copio-e-incollo qui sotto così ho guadagnato - A-GRATIS!!! - una paginella per il mio blog.
_______________
Care,
sono un uomo e quello che ho imparato delle donne (due cose, eh!) è qui sotto:
1) se interessi a una donna si capisce subito, ma proprio subito;
2) le donne che fanno qualcosa per conquistare (non sono la maggioranza, purtroppo!), e lo fanno con garbo (cioè, senza troieggiare) guadagnano centomila punti.
Poi: non è vero che siamo facili e lineari sempre. Lo siamo molto piu' di voi (donne), ma non sempre.
Per esempio, la postilla b. mi pare molto appropriata. Sì, delle volte dovete proprio farci cambiare idea, ma se riuscite a farci cambiare idea non significa che prima non fossimo interessati.
Esempio.
Stanco di storie a distanza (cambio abbastanza spesso città dove vivo per lavoro) mi ero dato una regola sacra und inviolabile. Che era questa: "basta con le storie a distanza". Semplice, no? Poi un giorno alla macchinetta del caffè incontro una tipa bellissima che mi piace un sacco. Ci esco una sera e mi piace un sacco. Però ha un aereo il giorno dopo per un posto lontanissimo. Però mi piace. Però c'ho la regola. Però mi piace. Però, cazzo, la regola, quindi cerco di tenere le distanze.
Ecco.
Lei, senza fare una piega, si è invitata a stare da me per la sua visita successiva a Parigi (che è la città in cui vivo). Stiamo benissimo insieme, ma io c'ho la regola. Quindi le dico ciao ciao.
Quindi lei si ri-invita a stare da me per la sua visita successiva. Tutto idem come sopra.
Quindi lei si ri-ri-invita a stare da me ecc ecc ecc.
E a quel punto cambio idea e cedo. Quindi ora sono in una storia a distanza. Pero' sono felicissimo.
Concludendo, un consiglio: se uno vi piace e non è un cretino (si fa abbastanza in fretta a capire pure quello, e in caso siate accecate dall'amore chiedete a un'amica, farà in fretta lei per voi) SEDUCETELO!
E, se serve, fategli cambiare idea.
In questo periodo sono pigro, però mi ero anche riproposto di postare regolarmente sul blog (altrimenti col cazzo che diventa il più popolare d'Italia...), quindi ho deciso di fare una cosa pessima.
Che è la seguente: c'è un blog che mi piace e che, da quando ho iniziato a scrivere il mio, seguo abbastanza assiduamente. Oggi ho commentato questo post qui, in cui l'autrice (la blogger?) spiega quali sono le due cose che ha capito degli uomini per quanto riguarda la seduzione.
Le due cose sono queste:
Regola numero 1: se un uomo ti vuole, fa di tutto per averti.
Regola numero 2: se non lo fa, la verità è che non gli piaci abbastanza (cit.).
Poi l'autrice (blogger?) aggiunge 3 (doverose) postille:
a. ci sono dei casi in cui uno fa di tutto per averti, e poi scopre che fa così con tutte. seduttori seriali, puah!
b. ci sono altri casi in cui con un minimo di sbattimento si riesce a prendere un uomo titubante e fargli nettamente cambiare idea. ma anche questa è un'altra storia.
c. se io e la mia amica fossimo a parti invertite, io non mi crederei e continuerei a credere 'forse gli si è scaricato il cell, è in Antartide per lavoro e si è dimenticato la carica' se non chiama.
Insomma siccome sono pigro e siccome il mio commento a questo post era particolarmente lungo, lo copio-e-incollo qui sotto così ho guadagnato - A-GRATIS!!! - una paginella per il mio blog.
_______________
Care,
sono un uomo e quello che ho imparato delle donne (due cose, eh!) è qui sotto:
1) se interessi a una donna si capisce subito, ma proprio subito;
2) le donne che fanno qualcosa per conquistare (non sono la maggioranza, purtroppo!), e lo fanno con garbo (cioè, senza troieggiare) guadagnano centomila punti.
Poi: non è vero che siamo facili e lineari sempre. Lo siamo molto piu' di voi (donne), ma non sempre.
Per esempio, la postilla b. mi pare molto appropriata. Sì, delle volte dovete proprio farci cambiare idea, ma se riuscite a farci cambiare idea non significa che prima non fossimo interessati.
Esempio.
Stanco di storie a distanza (cambio abbastanza spesso città dove vivo per lavoro) mi ero dato una regola sacra und inviolabile. Che era questa: "basta con le storie a distanza". Semplice, no? Poi un giorno alla macchinetta del caffè incontro una tipa bellissima che mi piace un sacco. Ci esco una sera e mi piace un sacco. Però ha un aereo il giorno dopo per un posto lontanissimo. Però mi piace. Però c'ho la regola. Però mi piace. Però, cazzo, la regola, quindi cerco di tenere le distanze.
Ecco.
Lei, senza fare una piega, si è invitata a stare da me per la sua visita successiva a Parigi (che è la città in cui vivo). Stiamo benissimo insieme, ma io c'ho la regola. Quindi le dico ciao ciao.
Quindi lei si ri-invita a stare da me per la sua visita successiva. Tutto idem come sopra.
Quindi lei si ri-ri-invita a stare da me ecc ecc ecc.
E a quel punto cambio idea e cedo. Quindi ora sono in una storia a distanza. Pero' sono felicissimo.
Concludendo, un consiglio: se uno vi piace e non è un cretino (si fa abbastanza in fretta a capire pure quello, e in caso siate accecate dall'amore chiedete a un'amica, farà in fretta lei per voi) SEDUCETELO!
E, se serve, fategli cambiare idea.
martedì 15 novembre 2011
Una cosa pazzesca
Carissimi,
l'altro giorno - sabato, per l'esattezza - ho fatto una cosa pazzesca.
Ho ballato.
Magari a voi sembrerà una cosa normalissima, una cosa quasi di routine nei weekend, ma per me non lo è. Ho ballato all'incirca 4 o 5 volte in tutta la mia vita, incluse le danze di sabato scorso.
Il punto è il seguente, e ve lo espongo, anche se credo che purtroppo verrà capito solo da quelli che hanno lo stesso mio problema coi balli e le danze, mentre a tutti gli altri sembrerà incomprensibile:
Anzi, c'è di più. Mi sento non solo un cretino, ma un cretino con tutti gli occhi della sala puntati addosso. Il che non è gradevole.
Ed è per questo che ricordo benissimo tutte le volte in cui ho ballato. A parte un caso in cui ero parecchio ubriaco e mi trovavo ("per motivi di lavoro" [sic]) in un club-disco-pub sotterraneo a Cracovia (Polonia), ho sempre ballato per motivi "strategici".
Vi espongo sinteticamente la questione. Supponete di trovarvi a una festa, o in un locale, o in una discoteca dove tutti (ma proprio TUTTI) ballano. Supponete inoltre di essere totalmente bloccati e imbarazzati e a tratti addirittura terrorizzati dall'idea di dover ballare in mezzo a tutti quegli occhi che sicuramente, inevitabilmente e ovviamente si gireranno all'unisono verso di voi. Bene. Supponete ora di persistere stoicamente nel vostro intento di non ballare, di non muovere nemmeno un muscolo, di non scuotere culo e fianchi, insomma di non fare niente di niente. Quello che succederà a questo punto è che tutti (ma proprio TUTTI) verranno da voi in processione, ad uno ad uno, e cercheranno di trascinarvi in pista. Chi con gentilezza, chi con sfottò, chi con brutali strattoni eccetera eccetera. Voi resisterete. Opporrete resistenza. E non abbandonerete il vostro angolo appartato (di solito il bar, il divano, o, per quelli proprio troppo timidi, il guardaroba). Per motivi ovvi, la lunga processione di gente al vostro angolo appartato avrà come unico risultato quello di far salire il vostro imbarazzo e farvi assumere ancora di più la cosiddetta postura da statua-di-marmo.
Bene.
Timidi di tutto il mondo, allergici alle danze, imbarazzati nerd con gli occhiali dalla montatura tenuta su dallo scotch, udite udite!, ho una grande rivelazione da farvi! A tutto questo c'è un rimedio, ed io lo ho scoperto. Basta quindi con imbarazzi, frasi balbettate, e abbracci tattici ad attaccapanni e braccioli di poltrone per evitare di essere trascinati in pista! Tutto questo è finito per sempre!
Basta fare la seguente cosa. All'inizio della festa, o della serata, fate un piccolo sforzo, e fate finta di ballare per circa 30 secondi. Muovetevi, anche senza convinzione, seguendo approssimativamente il ritmo della musica, e fatelo, possibilmente, non in un angolo buio della sala, ma abbastanza in vista.
Dopo questi 30 secondi potrete tornare tranquillamente al vostro angolo appartato ad odiare silenziosamente il mondo e vi garantisco che nessuno (ma proprio NESSUNO) verrà più a seccarvi.
Non ho mai capito bene il motivo, ma tutto questo funziona. Ve lo giuro.
Ma, tornando a noi, vi stavo dicendo che sabato ho ballato. E non era un ballo strategico. Era una festa proprio carina, c'era un sacco di bella gente, l'atmosfera era rilassata e sorridente, avevo bevuto settantaquattro Heineken, 3 gin tonic e un bicchiere di vino di pessima qualità, e soprattutto era quello schianto della mia donna a cercare di trascinarmi in pista... quindi non ho trovato nessun motivo per opporre resistenza.
Abbiamo ballato dalle 2 alle 4 e mezza. E mi sono divertito un casino.
Quasi quasi riballo.
Che dite?
l'altro giorno - sabato, per l'esattezza - ho fatto una cosa pazzesca.
Ho ballato.
Magari a voi sembrerà una cosa normalissima, una cosa quasi di routine nei weekend, ma per me non lo è. Ho ballato all'incirca 4 o 5 volte in tutta la mia vita, incluse le danze di sabato scorso.
Il punto è il seguente, e ve lo espongo, anche se credo che purtroppo verrà capito solo da quelli che hanno lo stesso mio problema coi balli e le danze, mentre a tutti gli altri sembrerà incomprensibile:
io a ballare mi sento un cretino.
Anzi, c'è di più. Mi sento non solo un cretino, ma un cretino con tutti gli occhi della sala puntati addosso. Il che non è gradevole.
Ed è per questo che ricordo benissimo tutte le volte in cui ho ballato. A parte un caso in cui ero parecchio ubriaco e mi trovavo ("per motivi di lavoro" [sic]) in un club-disco-pub sotterraneo a Cracovia (Polonia), ho sempre ballato per motivi "strategici".
Vi espongo sinteticamente la questione. Supponete di trovarvi a una festa, o in un locale, o in una discoteca dove tutti (ma proprio TUTTI) ballano. Supponete inoltre di essere totalmente bloccati e imbarazzati e a tratti addirittura terrorizzati dall'idea di dover ballare in mezzo a tutti quegli occhi che sicuramente, inevitabilmente e ovviamente si gireranno all'unisono verso di voi. Bene. Supponete ora di persistere stoicamente nel vostro intento di non ballare, di non muovere nemmeno un muscolo, di non scuotere culo e fianchi, insomma di non fare niente di niente. Quello che succederà a questo punto è che tutti (ma proprio TUTTI) verranno da voi in processione, ad uno ad uno, e cercheranno di trascinarvi in pista. Chi con gentilezza, chi con sfottò, chi con brutali strattoni eccetera eccetera. Voi resisterete. Opporrete resistenza. E non abbandonerete il vostro angolo appartato (di solito il bar, il divano, o, per quelli proprio troppo timidi, il guardaroba). Per motivi ovvi, la lunga processione di gente al vostro angolo appartato avrà come unico risultato quello di far salire il vostro imbarazzo e farvi assumere ancora di più la cosiddetta postura da statua-di-marmo.
Bene.
Timidi di tutto il mondo, allergici alle danze, imbarazzati nerd con gli occhiali dalla montatura tenuta su dallo scotch, udite udite!, ho una grande rivelazione da farvi! A tutto questo c'è un rimedio, ed io lo ho scoperto. Basta quindi con imbarazzi, frasi balbettate, e abbracci tattici ad attaccapanni e braccioli di poltrone per evitare di essere trascinati in pista! Tutto questo è finito per sempre!
Basta fare la seguente cosa. All'inizio della festa, o della serata, fate un piccolo sforzo, e fate finta di ballare per circa 30 secondi. Muovetevi, anche senza convinzione, seguendo approssimativamente il ritmo della musica, e fatelo, possibilmente, non in un angolo buio della sala, ma abbastanza in vista.
Dopo questi 30 secondi potrete tornare tranquillamente al vostro angolo appartato ad odiare silenziosamente il mondo e vi garantisco che nessuno (ma proprio NESSUNO) verrà più a seccarvi.
Non ho mai capito bene il motivo, ma tutto questo funziona. Ve lo giuro.
Ma, tornando a noi, vi stavo dicendo che sabato ho ballato. E non era un ballo strategico. Era una festa proprio carina, c'era un sacco di bella gente, l'atmosfera era rilassata e sorridente, avevo bevuto settantaquattro Heineken, 3 gin tonic e un bicchiere di vino di pessima qualità, e soprattutto era quello schianto della mia donna a cercare di trascinarmi in pista... quindi non ho trovato nessun motivo per opporre resistenza.
Abbiamo ballato dalle 2 alle 4 e mezza. E mi sono divertito un casino.
Quasi quasi riballo.
Che dite?
sabato 12 novembre 2011
Terminal 2: Aeroporto di Parigi - Orly - Terminal Ouest
L'Aeroporto di Parigi Orly ha un grande vantaggio rispetto a Charles de Gaulle: è più vicino alla città. Dalla stazione di Denfert si può prendere un bus che in una mezz'oretta vi porta al terminal. Volendo si può anche prendere la RER B ma come ho già avuto modo di dire altrove su questo (fantastico) blog, la RER B ha spesso problemi e ritardi che anche la persona più mansueta e comprensiva del mondo non esiterebbe a definire, con rabbia selvaggia e vene del collo ingrossate, apocalittici. Quindi, state a sentirmi, prendete il bus.
Il terminal Ouest non è niente di che. L'ultima volta che ci sono andato è stato ieri. Sono arrivato (col bus), e mi sono diretto agli Arrivi, dove ho aspettato con grande impazienza l'atterraggio del volo di quello gran schianto della mia donna.
Essendo in larghissimo anticipo (l'amore gioca brutti scherzi) ho cercato un bar e ho mangiato qualcosa.
Di solito in queste situazioni vago per ore per tutto il terminal esaminando fin nei dettagli tutti i bar alla ricerca del mio bar. Invece ieri è stato facilissimo, dato che il bar di fronte agli arrivi aveva tavolini di legno e sedie e sgabelli verde elettrico e a me piace molto il verde elettrico.
Quando poi ho visto nel frigorifero self-service delle vaschette di sushi (parlerò altrove della mia fissazione ossessivo-compulsiva per il sushi) ho capito che il verde elettrico mi aveva davvero guidato fino al posto giusto.
Ed è forse questo il motivo principale per cui ora scriverò qui sotto:
Due stelline.
Il terminal Ouest non è niente di che. L'ultima volta che ci sono andato è stato ieri. Sono arrivato (col bus), e mi sono diretto agli Arrivi, dove ho aspettato con grande impazienza l'atterraggio del volo di quello gran schianto della mia donna.
Essendo in larghissimo anticipo (l'amore gioca brutti scherzi) ho cercato un bar e ho mangiato qualcosa.
Di solito in queste situazioni vago per ore per tutto il terminal esaminando fin nei dettagli tutti i bar alla ricerca del mio bar. Invece ieri è stato facilissimo, dato che il bar di fronte agli arrivi aveva tavolini di legno e sedie e sgabelli verde elettrico e a me piace molto il verde elettrico.
Quando poi ho visto nel frigorifero self-service delle vaschette di sushi (parlerò altrove della mia fissazione ossessivo-compulsiva per il sushi) ho capito che il verde elettrico mi aveva davvero guidato fino al posto giusto.
Ed è forse questo il motivo principale per cui ora scriverò qui sotto:
Due stelline.
venerdì 11 novembre 2011
Terminal 1: Aeroporto di Parigi - Charles de Gaulle - Terminal 3
Iniziamo la nostra rubrica aeroportuale parlando del Terminal 3 dell'Aeroporto di Parigi Charles de Gaulle. Per dare una descrizione esaustiva ed accurata del Terminal 3 dell'Aeroporto di Parigi Charles de Gaulle basterebbe dire che fa schifo. Già, fa davvero schifo. È l'ultimo dei terminali dell'aeroporto, quello costruito più recentemente, e consiste praticamente di un enorme hangar semivuoto e semideserto. In una parola: triste.
La semi-vuotezza, semi-desertezza e (totale-)tristezza del Terminal 3 mi stanno particolarmente a cuore perché recentemente mi ci ritrovo spessissimo per prendere voli che hanno come destinazione la città (che manterremo qui ignota per motivi di sicurezza nazionale) dove vive quello schianto di donna che é la mia donna.
Ma torniamo a noi.
Quando si entra nel terminal 3 dell'Aeroporto di Parigi Charles de Gaulle, la prima cosa che si prova è sconforto. Poi, dopo aver notato lo sguardo perso nel vuoto delle annoiatissime signorine che stanno agli stand delle varie compagnie aeree o di noleggio auto, il morale risale un po', rafforzato dalla consapevolezza di essere dalla parte giusta del bancone dello stand.
Per sconfiggere lo sconforto, penserete voi, ci vorrebbe una biretta. Però, in caso vi venga in mente di precipitarvi al bar, vi consiglio di non farlo. Non fatelo, davvero. Riflettete. Piuttosto mettetevi in fila al gate e entrateci. Mi ringrazierete. Il bar dentro al gate è leggerissimamente meno triste dei bar fuori dal gate. E nei momenti di massimo sconforto i dettagli, anche quelli piccoli, aiutano.
Insomma, a questo punto un giudizio finale di "una stellina" (il minimo, vedi qui) sembrerebbe inevitabile.
Però... Però c'è un però.
Il però è che il venerdì sera è tutto un po' diverso, al terminal 3. C'è quell'atmosfera stanca ma distesa delle vigilie dei fine settimana. È chiaro che quasi tutte le persone sedute in file ordinate e in attesa del volo stanno finendo una settimana di lavoro, stanno tornando a casa, o andando, come me, in un posto in cui hanno proprio voglia di andare. I pensieri della settimana e della giornata appena conclusa sono ancora li, sulle facce e sulle espressioni di tutti, ma più leggeri, e condannati a svanire in un "ci-penso-lunedì". Persino il rumore di tutte le voci che si mescolano e annodano tra loro sembra riempire tutto lo spazio in un modo più morbido e lontano. Non è il rumore spigoloso e puntuto di telefonate, discussioni e picchiettii su tastiere di laptop, ma è più liscio e smussato, omogeneo, come il rumore di un'aspirapolvere che qualcuno sta passando in un'altra stanza.
Ecco, a me quasi piace, il venerdì sera, starmene lì seduto in quella pozza di luce bianca al neon che è il terminal 3, tra le vetrate buie che impediscono alla notte di entrare, in mezzo a tutte quelle facce che forse la pensano come me.
__________
Una stellina. Una e mezzo il venerdì sera. Tre se sto andando nella città ignota di cui sopra.
La semi-vuotezza, semi-desertezza e (totale-)tristezza del Terminal 3 mi stanno particolarmente a cuore perché recentemente mi ci ritrovo spessissimo per prendere voli che hanno come destinazione la città (che manterremo qui ignota per motivi di sicurezza nazionale) dove vive quello schianto di donna che é la mia donna.
Ma torniamo a noi.
Quando si entra nel terminal 3 dell'Aeroporto di Parigi Charles de Gaulle, la prima cosa che si prova è sconforto. Poi, dopo aver notato lo sguardo perso nel vuoto delle annoiatissime signorine che stanno agli stand delle varie compagnie aeree o di noleggio auto, il morale risale un po', rafforzato dalla consapevolezza di essere dalla parte giusta del bancone dello stand.
Per sconfiggere lo sconforto, penserete voi, ci vorrebbe una biretta. Però, in caso vi venga in mente di precipitarvi al bar, vi consiglio di non farlo. Non fatelo, davvero. Riflettete. Piuttosto mettetevi in fila al gate e entrateci. Mi ringrazierete. Il bar dentro al gate è leggerissimamente meno triste dei bar fuori dal gate. E nei momenti di massimo sconforto i dettagli, anche quelli piccoli, aiutano.
Insomma, a questo punto un giudizio finale di "una stellina" (il minimo, vedi qui) sembrerebbe inevitabile.
Però... Però c'è un però.
Il però è che il venerdì sera è tutto un po' diverso, al terminal 3. C'è quell'atmosfera stanca ma distesa delle vigilie dei fine settimana. È chiaro che quasi tutte le persone sedute in file ordinate e in attesa del volo stanno finendo una settimana di lavoro, stanno tornando a casa, o andando, come me, in un posto in cui hanno proprio voglia di andare. I pensieri della settimana e della giornata appena conclusa sono ancora li, sulle facce e sulle espressioni di tutti, ma più leggeri, e condannati a svanire in un "ci-penso-lunedì". Persino il rumore di tutte le voci che si mescolano e annodano tra loro sembra riempire tutto lo spazio in un modo più morbido e lontano. Non è il rumore spigoloso e puntuto di telefonate, discussioni e picchiettii su tastiere di laptop, ma è più liscio e smussato, omogeneo, come il rumore di un'aspirapolvere che qualcuno sta passando in un'altra stanza.
Ecco, a me quasi piace, il venerdì sera, starmene lì seduto in quella pozza di luce bianca al neon che è il terminal 3, tra le vetrate buie che impediscono alla notte di entrare, in mezzo a tutte quelle facce che forse la pensano come me.
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Una stellina. Una e mezzo il venerdì sera. Tre se sto andando nella città ignota di cui sopra.
mercoledì 9 novembre 2011
L'ecologgia (si, l'ecologgia con due g).
Da circa un mese a questa parte, la notte, steso nel mio letto a guardare il soffitto mentre aspetto che il sonno arrivi, penso al mio blog. Penso al mio blog e mi domando: ma come mai Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno non è ancora diventato il blog più popolare d'Italia? Ci penso e ripenso, ma non so darmi una risposta. A me, e lo dico obiettivamente, sembra un blog bellissimo.
Insomma, dopo settimane passate così, a convivere con questo mistero, l'altra notte ho avuto un'illuminazione. Sarà mica perché è tutto nero? Ho guardato altri blog a casaccio e in effetti sono quasi tutti a sfondo chiaro, con foto, colori caldi, variegati eccetera eccetera. Il mio invece è tutto nero... Una roba che ad essere un minimo superstiziosi vien da toccarsi i coglioni...
In un primo momento ho pensato di cambiare il layout del blog. Schiarirlo, colorarlo, arredarlo, sistemarlo... Poi la pigrizia ha preso il sopravvento e mi è venuto in mente quel motore di ricerca che si vanta di far risparmiare al mondo un sacco di energia, e che sfoggia con orgoglio la scritta: 2,784,699.794 Watt hours saved. Il tutto, udite udite!, grazie allo sfondo nero, che consuma pochissimo rispetto all'orridamente bianca e scialacquante schermata Google.
Se a qualcuno venisse il dubbio, sappia che Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno non è triste, non è poco colorato, non manca di allegria, né di spensieratezza.
Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno è un blog ecologgico.
Insomma, dopo settimane passate così, a convivere con questo mistero, l'altra notte ho avuto un'illuminazione. Sarà mica perché è tutto nero? Ho guardato altri blog a casaccio e in effetti sono quasi tutti a sfondo chiaro, con foto, colori caldi, variegati eccetera eccetera. Il mio invece è tutto nero... Una roba che ad essere un minimo superstiziosi vien da toccarsi i coglioni...
In un primo momento ho pensato di cambiare il layout del blog. Schiarirlo, colorarlo, arredarlo, sistemarlo... Poi la pigrizia ha preso il sopravvento e mi è venuto in mente quel motore di ricerca che si vanta di far risparmiare al mondo un sacco di energia, e che sfoggia con orgoglio la scritta: 2,784,699.794 Watt hours saved. Il tutto, udite udite!, grazie allo sfondo nero, che consuma pochissimo rispetto all'orridamente bianca e scialacquante schermata Google.
Ecco.
Se a qualcuno venisse il dubbio, sappia che Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno non è triste, non è poco colorato, non manca di allegria, né di spensieratezza.
Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno è un blog ecologgico.
domenica 6 novembre 2011
Parlo di tutto
Carissimi,
quello a cui state assistendo è un esperimento. Nè più nè meno che un esperimento. E l'esperimento consiste nell'osservare come la popolarità di un blog possa crescere e diventare smisurata e interplanetaria senza che il blogger medesimo reclamizzi il suo blog tra amici, parenti, vecchie zie malinconiche, vicini di casa, colleghi ecc ecc...
Dall'inizio dell'esperimento ho già infranto questa regola. Una volta. Una volta sola. Quindi direi che non è così grave. E inoltre, per minimizzare le perturbazioni esterne a questo esperimento, ho chiesto alla persona per la quale ho infranto la regola di mantenere il massimo riserbo sulla questione.
La persona - l'unica persona - che è stata informata da me personalmente dell'esistenza di questo blog è quello schianto di donna che è, per l'appunto, la mia donna. Questo fatto ha chiaramente alterato le statistiche degli accessi a questo blog, che hanno mostrato un picco pazzesco di accessi (siamo molto innamorati) dalla nazione in cui la mia donna (uno schianto di donna) vive. Nel caso siate curiosi e vogliate sapere qual è questa nazione, temo dobbiate tenervi la vostra curiosità. Questioni di sicurezza nazionale.
Ed ora passiamo ad esaminare le strategie messe in campo per aumentare gli accessi al mio blog, specialmente per quanto riguarda quelle nazioni nelle quali non risiede la mia donna. La prima strategia messa in atto, sebbene un po' svogliatamente, è stata quella di intensificare la mia attività di blogger, che sarebbe a dire non solo scrivere dei post con cadenza più o meno regolare, ma anche visitare altri blog e commentarli. Questo ha portato a qualche timido risultato ma è oggettivamente una strategia che richiede tempo. E io sono pigro. Molto pigro.
La seconda strategia, apparentemente più efficace ma in realtà anch'essa piuttosto deludente, è stata quella di puntare su blog molto popolari e partecipare alle discussioni in corso su questi blog, fornendo nel mio commento anche un link a un post pubblicato su questo blog. Un post che potesse essere di qualche interesse per la discussione. L'ho fatto una volta sola e quello che è successo è stato, con mia grande sorpresa, un picco altissimo nei 2 o 3 giorni seguenti il mio commento. Una sessantina abbondante di accessi nel giorno di massima affluenza, poi il livello è riprecipitato alla solita deludente media, che non svelerò qui perché la cosa mi imbarazza, ma vi dirò che i numeri sono bassi (bassi a un livello imbarazzante, data l'alta qualità di questo blog).
A questo punto, per non lasciare nulla intentato, lancio una terza strategia. Che è questa. Ragazzi, se c'è qualcuno là fuori che mi ascolta, sappiate che io parlo di tutto. Davvero. Vi scrivo un post su tutto quello che vi pare. Basta che mi comunichiate un argomento di vostro gradimento, anche anonimamente, e io vi scrivo un post. Su qualsiasi cosa. Davvero. Provate, e non ne sarete delusi.
OK, OK, forse ho esagerato... Non è possibile che io sia in grado di parlare di tutto, proprio di tutto, quindi ora rettifico. Mettiamola così: parlo di qualsiasi cosa tranne che di calcio.
Post Scriptum: pregherei la mia donna (sei uno schianto, amore) di astenersi dal partecipare a questa iniziativa per non falsarne i risultati.
quello a cui state assistendo è un esperimento. Nè più nè meno che un esperimento. E l'esperimento consiste nell'osservare come la popolarità di un blog possa crescere e diventare smisurata e interplanetaria senza che il blogger medesimo reclamizzi il suo blog tra amici, parenti, vecchie zie malinconiche, vicini di casa, colleghi ecc ecc...
Dall'inizio dell'esperimento ho già infranto questa regola. Una volta. Una volta sola. Quindi direi che non è così grave. E inoltre, per minimizzare le perturbazioni esterne a questo esperimento, ho chiesto alla persona per la quale ho infranto la regola di mantenere il massimo riserbo sulla questione.
La persona - l'unica persona - che è stata informata da me personalmente dell'esistenza di questo blog è quello schianto di donna che è, per l'appunto, la mia donna. Questo fatto ha chiaramente alterato le statistiche degli accessi a questo blog, che hanno mostrato un picco pazzesco di accessi (siamo molto innamorati) dalla nazione in cui la mia donna (uno schianto di donna) vive. Nel caso siate curiosi e vogliate sapere qual è questa nazione, temo dobbiate tenervi la vostra curiosità. Questioni di sicurezza nazionale.
Ed ora passiamo ad esaminare le strategie messe in campo per aumentare gli accessi al mio blog, specialmente per quanto riguarda quelle nazioni nelle quali non risiede la mia donna. La prima strategia messa in atto, sebbene un po' svogliatamente, è stata quella di intensificare la mia attività di blogger, che sarebbe a dire non solo scrivere dei post con cadenza più o meno regolare, ma anche visitare altri blog e commentarli. Questo ha portato a qualche timido risultato ma è oggettivamente una strategia che richiede tempo. E io sono pigro. Molto pigro.
La seconda strategia, apparentemente più efficace ma in realtà anch'essa piuttosto deludente, è stata quella di puntare su blog molto popolari e partecipare alle discussioni in corso su questi blog, fornendo nel mio commento anche un link a un post pubblicato su questo blog. Un post che potesse essere di qualche interesse per la discussione. L'ho fatto una volta sola e quello che è successo è stato, con mia grande sorpresa, un picco altissimo nei 2 o 3 giorni seguenti il mio commento. Una sessantina abbondante di accessi nel giorno di massima affluenza, poi il livello è riprecipitato alla solita deludente media, che non svelerò qui perché la cosa mi imbarazza, ma vi dirò che i numeri sono bassi (bassi a un livello imbarazzante, data l'alta qualità di questo blog).
A questo punto, per non lasciare nulla intentato, lancio una terza strategia. Che è questa. Ragazzi, se c'è qualcuno là fuori che mi ascolta, sappiate che io parlo di tutto. Davvero. Vi scrivo un post su tutto quello che vi pare. Basta che mi comunichiate un argomento di vostro gradimento, anche anonimamente, e io vi scrivo un post. Su qualsiasi cosa. Davvero. Provate, e non ne sarete delusi.
OK, OK, forse ho esagerato... Non è possibile che io sia in grado di parlare di tutto, proprio di tutto, quindi ora rettifico. Mettiamola così: parlo di qualsiasi cosa tranne che di calcio.
Post Scriptum: pregherei la mia donna (sei uno schianto, amore) di astenersi dal partecipare a questa iniziativa per non falsarne i risultati.
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sabato 5 novembre 2011
Servizio pubblico
Ho appena guardato (in differita, naturalmente) la prima puntata di Servizio Pubblico, la nuova trasmissione indipendente di Santoro. Ne ho vista solo metà, perché poi ho deciso fosse ora di alzarsi dal letto (ore 1.15pm) e far decollare questo weekend. Guarderò l'altra mezza trasmissione stasera.
Devo dire che la prima metà mi è piaciuta molto. Soprattutto per un motivo. Vi ricordate Annozero? Io non ne potevo più di urla e schiamazzi modello Larussa/Santanchè/Brambilla e dei discorsi a pera di Belpietro o della finta composta lucidità di Lupi ecc ecc (avevo scritto volontariamente tutti i nomi con iniziale minuscola ma poi mi son ricordato di essere un gran signore e in nome dell'eleganza ho maiuscolizzato tutte le iniziali... Lezioni di stile, ragazzi, qui si danno lezioni di stile!).
Bene. Nella prima puntata di Servizio Pubblico (almeno nella prima metà, magari la seconda ora-e-mezza sarà un costante turpiloquio, chissà...) le urla e gli schiamazzi non ci sono. Non ho capito se fosse semplicemente una fortunata coincidenza o se adesso che Santoro fa la trasmissione per conto suo su internet può evitare le norme idiote della par condicio (che non è una parola spagnola, come qualcuno una volta mi domandò...) e quindi invita chi gli pare.
Poi mi pare che di politici in studio ci fosse solo De Magistris. E basta. Quindi forse le discussioni politiche serie vengono meglio senza politici presenti?
Boh...
Vabbè (vabbé?), mi alzo.
Devo dire che la prima metà mi è piaciuta molto. Soprattutto per un motivo. Vi ricordate Annozero? Io non ne potevo più di urla e schiamazzi modello Larussa/Santanchè/Brambilla e dei discorsi a pera di Belpietro o della finta composta lucidità di Lupi ecc ecc (avevo scritto volontariamente tutti i nomi con iniziale minuscola ma poi mi son ricordato di essere un gran signore e in nome dell'eleganza ho maiuscolizzato tutte le iniziali... Lezioni di stile, ragazzi, qui si danno lezioni di stile!).
Bene. Nella prima puntata di Servizio Pubblico (almeno nella prima metà, magari la seconda ora-e-mezza sarà un costante turpiloquio, chissà...) le urla e gli schiamazzi non ci sono. Non ho capito se fosse semplicemente una fortunata coincidenza o se adesso che Santoro fa la trasmissione per conto suo su internet può evitare le norme idiote della par condicio (che non è una parola spagnola, come qualcuno una volta mi domandò...) e quindi invita chi gli pare.
Poi mi pare che di politici in studio ci fosse solo De Magistris. E basta. Quindi forse le discussioni politiche serie vengono meglio senza politici presenti?
Boh...
Vabbè (vabbé?), mi alzo.
giovedì 3 novembre 2011
Terminal 0 bis: la fuga di notizie
Ma porco cazzo...
Subito dopo aver avuto l'idea della rubrica sugli aeroporti (vedi post precedente) mi sono imbattuto, per caso, in questo. Insomma il National Geographic ha appena pubblicato un articolo sui migliori aeroporti ecc ec...
Maledetti.
Qui è chiaro (è ovvio!) che qualcuno ha fatto una soffiata.
Comunque, niente paura, la mia rubrica sarà molto, ma molto, ma molto meglio.
:-)
Subito dopo aver avuto l'idea della rubrica sugli aeroporti (vedi post precedente) mi sono imbattuto, per caso, in questo. Insomma il National Geographic ha appena pubblicato un articolo sui migliori aeroporti ecc ec...
Maledetti.
Qui è chiaro (è ovvio!) che qualcuno ha fatto una soffiata.
Comunque, niente paura, la mia rubrica sarà molto, ma molto, ma molto meglio.
:-)
mercoledì 2 novembre 2011
Terminal 0, una nuova ed entusiasmante (?) rubrica di Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno!
Siccome non sempre è facile trovare cose da scrivere, oggi ho deciso, durante un'attesa piuttosto lunga al terminal di un aeroporto, di iniziare una nuova rubrica su questo blog. La rubrica si intitolerà Terminal #, dove # sarà un numero, progressivo, ad indicare quante puntate della rubrica sono già state pubblicate. Questo è il numero zero, l'episodio pilota.
Certo, parlare di aeroporti può sembrare una scelta discutibile. A chi mai dovrebbe interessare una rubrica aperiodica, non specializzata, non tecnica e come se non bastasse clamorosamente soggettiva e umorale (vuol dire che parlerò di quello che mi passa per la testa e che il soggeto aeroportuale sarà, molto probabilmente, una scusa. Un pretesto. Un alibi.) che abbia come soggetto i terminal degli aeroporti?
Non lo so.
Però lo faccio lo stesso (tanto qui comando io), e agli scettici consiglio la lettura di un bellissimo articolo apparso su McSweeney's Internet Tendency che parla, per l'appunto, di aeroporti. Si intitola Airport kissing, ed è dolcissimo...
Ho inoltre deciso (esattamente in questo momento, mentre sto scrivendo) che ognuno dei post della rubrica finirà con una delle tre seguenti frasi:
1) "Una stellina.";
2) "Due stelline.";
3) "Tre stelline.";
ad indicare il mio livello di gradimento del terminal in questione. Non voglio complicare troppo la faccenda, e quindi dichiaro, categoricamente, che non saranno ammesse stelline frazionarie (cose tipo "Due stelline e mezzo.", per intenderci). Salvo casi eccezionali, si capisce.
Sarò onesto fino in fondo. Non ho la minima idea di quanto mi ci vorrà per pubblicare il post Terminal 1...
Certo, parlare di aeroporti può sembrare una scelta discutibile. A chi mai dovrebbe interessare una rubrica aperiodica, non specializzata, non tecnica e come se non bastasse clamorosamente soggettiva e umorale (vuol dire che parlerò di quello che mi passa per la testa e che il soggeto aeroportuale sarà, molto probabilmente, una scusa. Un pretesto. Un alibi.) che abbia come soggetto i terminal degli aeroporti?
Non lo so.
Però lo faccio lo stesso (tanto qui comando io), e agli scettici consiglio la lettura di un bellissimo articolo apparso su McSweeney's Internet Tendency che parla, per l'appunto, di aeroporti. Si intitola Airport kissing, ed è dolcissimo...
Ho inoltre deciso (esattamente in questo momento, mentre sto scrivendo) che ognuno dei post della rubrica finirà con una delle tre seguenti frasi:
1) "Una stellina.";
2) "Due stelline.";
3) "Tre stelline.";
ad indicare il mio livello di gradimento del terminal in questione. Non voglio complicare troppo la faccenda, e quindi dichiaro, categoricamente, che non saranno ammesse stelline frazionarie (cose tipo "Due stelline e mezzo.", per intenderci). Salvo casi eccezionali, si capisce.
Sarò onesto fino in fondo. Non ho la minima idea di quanto mi ci vorrà per pubblicare il post Terminal 1...
Il punto 45 dei 100 punti di Renzi
Dei 100 punti per cambiare l'Italia di Matteo Renzi, solo 2 riguardano la ricerca. Mi pare particolarmente interessante il punto 45, che è questo:
45. Un fondo nazionale per la ricerca gestito con criteri da venture capital. Istituire un fondo nazionale per la ricerca che operi con le modalità del venture capital e sia in condizione di finanziare i progetti meritevoli al di fuori delle contingenze politiche. Il fondo sarà gestito un comitato esecutivo in carica per almeno 7 anni, costituito per 1/3 da professori impegnati nella ricerca a livello internazionale, per 1/3 da membri della comunità finanziaria esperti di project finance e venture capital, e per 1/3 della Comunità europea.
Venture capital? Questi termini da speculatori finanziari quando si parla di ricerca e scienza fanno rabbrividire... E poi, cosa c'entrano i membri della comunità finanziaria, che dovrebbero costituire 1/3 dell'esecutivo che dovrebbe gestire il fondo? Si dice di voler eliminare le "contingenze politiche", ma a leggere qui mi pare che si passerebbe dalle contingenze politiche a quelle economico/finanziarie. Il che mi pare una pessima idea... Perché la ricerca, quella pubblica, deve essere libera! Poi non si distingue tra ricerca di base e ricerca applicata... Né tra discipline umanistiche e scientifiche... Ma ve li immaginate i membri della comunità finanziaria a decidere quali sarebbero i progetti di ricerca meritevoli in, per esempio, filologia romanza? O forse a Renzi interessa solo la ricerca che produce qualcosa? Boh...
Poi non si capisce se questo fondo nazionale per la ricerca dovrebbe aggiungersi o sostituire il fondo di ricerca già esistente (quello su cui si mantengono attualmente università e centri di ricerca, per intendersi). A me pare che prima di aggiungere cose nuove bisognerebbe (per lo meno) raddoppiare il budget della ricerca, che al momento è a livelli imbarazzanti, e cambiare il sistema di reclutamento/promozioni che oggi è fondato sul baronaggio.
Ecco, un bel punto sul baronaggio mi sarebbe piaciuto. Ma non c'è.
Insomma, a me pare che chi ha scritto questa roba non sappia di cosa stia parlando...
Poi non si capisce se questo fondo nazionale per la ricerca dovrebbe aggiungersi o sostituire il fondo di ricerca già esistente (quello su cui si mantengono attualmente università e centri di ricerca, per intendersi). A me pare che prima di aggiungere cose nuove bisognerebbe (per lo meno) raddoppiare il budget della ricerca, che al momento è a livelli imbarazzanti, e cambiare il sistema di reclutamento/promozioni che oggi è fondato sul baronaggio.
Ecco, un bel punto sul baronaggio mi sarebbe piaciuto. Ma non c'è.
Insomma, a me pare che chi ha scritto questa roba non sappia di cosa stia parlando...
Il sistema ricerca in Italia, per quanto riguarda l'aspetto gerarchico e di reclutamento, ha un problema: uscire dal medioevo. Quindi parlare di venture capitals mi pare, francamente, un po' ridicolo.
lunedì 31 ottobre 2011
Il tempo stringe
Il Guardian dice che le Nazioni Unite hanno resi pubblici i risultati di una ricerca sul tasso di crescita della popolazione mondiale da qui al 2100. Eccovi un po' di dati interessanti:
- nel 2100 saremo (pare) oltre i 10 miliardi, dominati dall'Asia (4,6 miliardi) e dall'Africa (3,6 miliardi). Però la crescita dell'Asia si arresterà, mentre quella dell'Africa esploderà;
- l'Europa farà una pessima figura con 675 mila abitanti (quasi il 9% in meno di oggi);
- tutte le nazioni d'Europa sono classificate come nazioni a "low-fertility rate" (sostanzialmente significa che ogni donna ha, in media, meno di una figlia che sopravvive fino all'età fertile), con due notevoli eccezioni: Islanda e Irlanda. OK, in Irlanda sono cattolici ecc ecc, ma in Islanda? Mi piacerebbe capire perché... Sarà il freddo? Chissà...;
- misteriosamente, la popolazione al Vaticano crescerà del 5,5% circa. Non è chiaro dall'articolo se le cause di questa crescita siano naturali o soprannaturali...
Bene. Dopo avervi fatto dono dei miei impeccabili e profondissimi commenti a questo autorevole studio, vi volevo raccontare un'altra cosa. E cioè che lo studio mostra pure un grafico che rappresenta l'andamento del fertility rate da qui al 2100. Il fertility rate medio è in picchiata: circa 5 figli per donna nel 1950, mentre nel 2100 la previsione è di soli 2 figli.
Quando la mia ragazza ha visto il grafico ha sgranato gli occhi e ha gridato: "Amore, dobbiamo sbrigarci!".
[E qui ci vorrebbe una faccina, a.k.a emoticon, con gli occhi levati al cielo].
Comunque ho controllato: anche se il fertility rate medio calerà, per l'Europa è prevista una leggera crescita. Ma ho come la vaga impressione che questo non la tranquillizzerà, la mia ragazza...
sabato 29 ottobre 2011
La balena & friends
"All this happened, more or less".
Ci sono certi libri che se uno li apre e legge la prima frase sa già di avere tra le mani un capolavoro. Non sono tanti, i libri così. Gli inizi strepitosi dei libri sono quelli che ti tengono lì, incollato a leggere. Sono gli inizi che in un serto senso hanno già tutto quanto dentro, che ti dicono già come sarà tutto il resto. Sono quelli che uno poi si ricorda, trattiene dentro di se, per anni (sono troppo giovane per dire per sempre?)...
Ricordo ancora l'inizio bruciante de Il giovane Holden:
If you really want to hear about it, the first thing you'll probably want to know is where I was born, and what my lousy childhood was like, and how my parents were occupied and all before they had me, and all that David Copperfield kind of crap, but I don't feel like going into it, if you want to know the truth.
Avevo 14 o 15 anni, o giù di li, e mi lasciò proprio secco. Il vecchio Holden... Lessi il libro un sacco di volte (sette, credo) e ancora oggi è uno dei ricordi letterari più vivi in me.
Un altro incipit incredibile è quello di Chiedi alla polvere di John Fante, con uno spaesatissimo Arturo Bandini in preda a rovelli esistenziali non da poco, risolti magistralmente:
One night I was sitting on the bed in my hotel room on Bunker Hill, down in the middle of Los Angeles. It was an important night in my life, because I had to make a decision about the hotel. Either I paid up or I got out: that was what the note said, the note the landlady had put under my door. A great problem, deserving acute attention. I solved it by turning out the lights and going to bed.
Poi come si fa a non ricordare Calvino ne Il barone rampante:
Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l'ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d'Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell'ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d'andare a desinare a metà del pomeriggio. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: – Ho detto che non voglio e non voglio! – e respinse il piatto di lumache. Mai s'era vista disubbidienza più grave.
e il Cosimo Piovasco di Rondò che, incazzatissimo, pur di non mangiarsi le lumache si arrampica su un albero e non torna più giù. Mai più!
E poi c'è la meravigliosa perfezione dell'incipit di Cent'anni di solitudine:
Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era cosí recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.
Wow...
Comunque.
Mi è appena successo di aprire un libro, leggere la prima frase, il primo paragrafo, e pensare: corpo di mille balene!, allora è proprio vero che questo qua è un capolavoro... Lo so, lo hanno letto tutti e avrei dovuto averlo già letto pure io, me ne vergogno, comunque eccolo qui:
Call me Ishmael. Some years ago—never mind how long precisely—having little or no money in my purse, and nothing particular to interest me on shore, I thought I would sail about a little and see the watery part of the world. It is a way I have of driving off the spleen and regulating the circulation. Whenever I find myself growing grim about the mouth; whenever it is a damp, drizzly November in my soul; whenever I find myself involuntarily pausing before coffin warehouses, and bringing up the rear of every funeral I meet; and especially whenever my hypos get such an upper hand of me, that it requires a strong moral principle to prevent me from deliberately stepping into the street, and methodically knocking people's hats off—then, I account it high time to get to sea as soon as I can. This is my substitute for pistol and ball. With a philosophical flourish Cato throws himself upon his sword; I quietly take to the ship. There is nothing surprising in this. If they but knew it, almost all men in their degree, some time or other, cherish very nearly the same feelings towards the ocean with me.
Anche i finali sono chiaramente importantissimi. L'ultima frase di un libro può essere potentissima, dolcissima, violentissima, poeticissima, amarissima e tante altre cose... A volte l'ultima frase è così bella che dopo aver chiuso il libro non riesco a leggere più niente per giorni...
Solo che i finali, si sa, non si possono raccontare...
Ecco. Tutto questo per dimostrare che Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno non è un blog di basso livello. Anzi. È una roba sofisticata e culturale, con tanto di citazioni letterarie - talvolta in lingua! per giunta.
Quello che proprio non riesco a capire è come mai questo blog non sia ancora diventato il più popolare d'Italia...
Che dire... So it goes...
"Poo-tee-weet?"
venerdì 28 ottobre 2011
Stronzo o non stronzo?
Ho letto un bel post del Civati.
Lo trovate qui, e dice questo:
Aggiungo una mia riflessione.
Vi espongo la questione dal mio modestissimo punto di vista.
Prima domanda: se alle scuole elementari eravate troppo scalmanati vi mettevano fuori dalla porta o no?
Seconda domanda: se un politico ad Annozero (o una trasmissione a vostra scelta che non sia Report o poco altro...) urla e sbraita e insulta e dice parolacce e diventa tutto rosso con le vene del collo che sembrano scoppiare poi lo invitano di nuovo o no?
Secondo me il Civati ha abbastanza ragione.
Lo trovate qui, e dice questo:
Care e cari, ho deciso, tempo fa, di non urlare in tv, di non interrompere, di non deridere gli 'avversari', di non essere sarcastico (e stronzo).
Il risultato è che si parla molto meno, che poi qualcuno dice che devi alzare la voce, che devi farti spazio, che la parola te la devi prendere. Anche se nessuno ti ascolta più, ma il gioco è questo, caro Pippo.
Secondo me, no. Tutto qui.
Aggiungo una mia riflessione.
Vi espongo la questione dal mio modestissimo punto di vista.
Prima domanda: se alle scuole elementari eravate troppo scalmanati vi mettevano fuori dalla porta o no?
Seconda domanda: se un politico ad Annozero (o una trasmissione a vostra scelta che non sia Report o poco altro...) urla e sbraita e insulta e dice parolacce e diventa tutto rosso con le vene del collo che sembrano scoppiare poi lo invitano di nuovo o no?
Secondo me il Civati ha abbastanza ragione.
Essere tolleranti su un treno in ritardo (eccetera eccetera) non è banale
Ieri ho preso la RER B (il servizio ferroviario urbano di Parigi) che come al solito non funzionava. Alla fermata di S. Michel, al marciapiede, c'era un sacco di gente accalcata ad aspettare il treno. C'è sempre un casino di gente che prende la RER B, ma quella era davvero troppa. Brutto segno. Poi arriva il treno ed è stracarico. Cazzo. Ci arrampichiamo (plurale, ero con la mia strepitosissima ragazza) dentro al treno spingendo e sgomitando e siamo a nostra volta spinti e sgomitati e schiacciati contro altre mille persone. Ho notato che la più agguerrita di tutti, quella che ha guadagnato per prima una solida posizione a furia di spinte e colpi d'ariete era una vecchia dal capello messa-in-piegato che probabilmente passa la sua vita (fuori dai tunnel del metro) a lamentarsi per acciacchi, vecchiaia e forma fisica ormai decadente. Un mastino di vecchia. Il treno parte, qualcuno tocca il culo alla mia ragazza, e sono solo le difficoltà logistiche legate al sovraffollamento paralizzante e la mia sostanziale accettazione e condivisione delle idee cardine del pacifismo che mi impediscono di ucciderlo.
Alla Gare du Nord ci dicono: il treno si ferma qui, salite su alla stazione ferroviaria e prendetene un altro per proseguire. Ci hanno detto di andare al binario 32 o 33. Andiamo al binario 32 e 33 ed è l'apocalisse. Ci sono all'incirca un milione di persone al marciapiede che sta tra il binario 32 e il 33. Due treni fermi. Carichi di gente a livelli da paese-del-terzo-mondo-dopo-dieci-giorni-di-paralisi-dei-trasporti-a-causa-di-qualche-cataclisma-naturale. Due cazzo di treni fermi che attendono placidi un segnale di chiusura porte che non arriva mai. Non riusciamo ad entrare in nessun vagone di nessuno dei due treni. Sono proprio pieni. Un groviglio di arti e teste e bocche incazzate nasi arricciati e occhi infuriati. Sono strapieni. Non ci entrerebbe nemmeno una modella anoressica di profilo.
Aspettiamo.
Dopo un bel po' di tempo alcune persone, borbottando improperi irripetibili contro tutta la gerarchia delle SNCF, dai bigliettai su su fino al ministro dei trasporti, si rassegnano, scendono dal treno e affrontano la vita in altro modo. È il nostro momento. Spingendo, riusciamo a salire sul treno, che però continua a non dare segni di voler partire.
Dentro al vagone ci sono più o meno sessantacinque gradi centigradi, puzza di ascella e alito, e un migliaio di esseri umani o supremamente incazzati o tristemente svuotati di qualsiasi forza di volontà (nessun passeggero è in un mood qualsivoglia intermedio tra questi due). Dopo una mezz'ora una voce gracchiante e quasi inintelligibile dichiara al microfono che il treno sta per partire e di stare attenti alla chiusura automatica delle porte. Ed è proprio a questo punto, con un tempismo degno di un film hollywoodiano che, un secondo prima che le porte si chiudano, sul nostro vagone entra, barcollando e borbottando, l'alcolizzato molesto e puzzolente.
L'alcolizzato molesto e puzzolente beve ininterrottamente birra Amsterdam Navigator 8.4% in lattina da 50 cc, e dondola paurosamente rischiando di cospargere di Amsterdam Navigator 8.5% tutti i passeggeri circostanti. Puzza tremendamente e questo facilita la rapida formazione attorno a lui di un vuoto di qualche decina di centimetri (il massimo possibile dato il sovraffollamento del vagone). È chiaro che la sua popolarità tra i passeggeri non aumenta quando si mette a distribuite pacche sulle spalle a tutti, accompagnate da sguaiate frasi in qualche lingua dell'est europa inframmezzate da "boncourages"...
Eccetera eccetera.
Eccellente.
Parentesi: una volta, parecchi mesi fa, ho visto un tizio salire sul metro, e insieme a lui è salita una donna che lo scuoteva per un braccio e, totalmente fuori di sé, occhi spiritati e compagnia bella, gli gridava cose terribili. Il tizio, con grandissima classe, ha mantenuto una calma surreale. Non l'ho sentito pronunciare una singola parola e non aveva nessuna (ma proprio nessuna) espressione in faccia. Niente. Pareva fosse con la testa da un'altra parte, assorto in malinconici pensieri. Poi, al suono della sirena che annuncia la chiusura delle porte, il tizio si è scrollato la donna di dosso e l'ha semplicemente scaraventata fuori dal metro, lasciandola urlante sul marciapiede a tempestare di pugni la porta, ormai chiusa, del metro in partenza. Poi, senza fare una piega, si è seduto.
Ecco. La tentazione (o perlomeno il pensiero) di fare la stessa cosa con l'ubriaco sul treno c'è stata. Direi che non c'è bisogno di star qui a spiegare quali sono i motivi per i quali non sarebbe stato molto elegante, né tantomeno giusto, farlo, però a spingerlo giù c'ho proprio pensato…
Amen.
Il viaggio in totale é durato 2 ore (più del doppio della sua durata normale), siamo arrivati a destinazione totalmente stravolti e abbiamo pagato un biglietto di sette euro o giù di li cadauno. In queste condizioni risulta più difficile essere tolleranti.
Alla Gare du Nord ci dicono: il treno si ferma qui, salite su alla stazione ferroviaria e prendetene un altro per proseguire. Ci hanno detto di andare al binario 32 o 33. Andiamo al binario 32 e 33 ed è l'apocalisse. Ci sono all'incirca un milione di persone al marciapiede che sta tra il binario 32 e il 33. Due treni fermi. Carichi di gente a livelli da paese-del-terzo-mondo-dopo-dieci-giorni-di-paralisi-dei-trasporti-a-causa-di-qualche-cataclisma-naturale. Due cazzo di treni fermi che attendono placidi un segnale di chiusura porte che non arriva mai. Non riusciamo ad entrare in nessun vagone di nessuno dei due treni. Sono proprio pieni. Un groviglio di arti e teste e bocche incazzate nasi arricciati e occhi infuriati. Sono strapieni. Non ci entrerebbe nemmeno una modella anoressica di profilo.
Aspettiamo.
Dopo un bel po' di tempo alcune persone, borbottando improperi irripetibili contro tutta la gerarchia delle SNCF, dai bigliettai su su fino al ministro dei trasporti, si rassegnano, scendono dal treno e affrontano la vita in altro modo. È il nostro momento. Spingendo, riusciamo a salire sul treno, che però continua a non dare segni di voler partire.
Dentro al vagone ci sono più o meno sessantacinque gradi centigradi, puzza di ascella e alito, e un migliaio di esseri umani o supremamente incazzati o tristemente svuotati di qualsiasi forza di volontà (nessun passeggero è in un mood qualsivoglia intermedio tra questi due). Dopo una mezz'ora una voce gracchiante e quasi inintelligibile dichiara al microfono che il treno sta per partire e di stare attenti alla chiusura automatica delle porte. Ed è proprio a questo punto, con un tempismo degno di un film hollywoodiano che, un secondo prima che le porte si chiudano, sul nostro vagone entra, barcollando e borbottando, l'alcolizzato molesto e puzzolente.
L'alcolizzato molesto e puzzolente beve ininterrottamente birra Amsterdam Navigator 8.4% in lattina da 50 cc, e dondola paurosamente rischiando di cospargere di Amsterdam Navigator 8.5% tutti i passeggeri circostanti. Puzza tremendamente e questo facilita la rapida formazione attorno a lui di un vuoto di qualche decina di centimetri (il massimo possibile dato il sovraffollamento del vagone). È chiaro che la sua popolarità tra i passeggeri non aumenta quando si mette a distribuite pacche sulle spalle a tutti, accompagnate da sguaiate frasi in qualche lingua dell'est europa inframmezzate da "boncourages"...
Eccetera eccetera.
Eccellente.
Parentesi: una volta, parecchi mesi fa, ho visto un tizio salire sul metro, e insieme a lui è salita una donna che lo scuoteva per un braccio e, totalmente fuori di sé, occhi spiritati e compagnia bella, gli gridava cose terribili. Il tizio, con grandissima classe, ha mantenuto una calma surreale. Non l'ho sentito pronunciare una singola parola e non aveva nessuna (ma proprio nessuna) espressione in faccia. Niente. Pareva fosse con la testa da un'altra parte, assorto in malinconici pensieri. Poi, al suono della sirena che annuncia la chiusura delle porte, il tizio si è scrollato la donna di dosso e l'ha semplicemente scaraventata fuori dal metro, lasciandola urlante sul marciapiede a tempestare di pugni la porta, ormai chiusa, del metro in partenza. Poi, senza fare una piega, si è seduto.
Ecco. La tentazione (o perlomeno il pensiero) di fare la stessa cosa con l'ubriaco sul treno c'è stata. Direi che non c'è bisogno di star qui a spiegare quali sono i motivi per i quali non sarebbe stato molto elegante, né tantomeno giusto, farlo, però a spingerlo giù c'ho proprio pensato…
Amen.
Il viaggio in totale é durato 2 ore (più del doppio della sua durata normale), siamo arrivati a destinazione totalmente stravolti e abbiamo pagato un biglietto di sette euro o giù di li cadauno. In queste condizioni risulta più difficile essere tolleranti.
giovedì 27 ottobre 2011
Voglio andare lontano
Stamattina mi ha telefonato, a sorpresa, la mia zia. Abbiamo fatto due chiacchiere poi le ho chiesto come sta la mia pro-zia. La mia pro-zia ha 95 anni, da mesi è a letto, e molto molto rincoglionita. La mia pro-zia... anzi, chiamiamola semplicemente zia, come ho fatto io per tutta la vita... Insomma, la mia zia è stata una delle donne più energiche che io abbia mai conosciuto. Fino a pochissimo tempo fa usciva da sola per fare la spesa e ha smesso di usare la bicicletta a più di novant'anni. Mi faceva troppo ridere il fatto che la sera andasse a letto tardissimo per guardare la tv e che poi al mattino si svegliasse tardi e facesse colazione con la sua sorellina (la mia nonna che è pure più vecchia di lei di qualche anno) a mezzogiorno, come due ragazzine che la sera prima hanno fatto bagordi. Quando qualcuno le ricordava che, data la sua età, la morte, inevitabilmente, non avrebbe tardato ad arrivare, lei faceva vistosissimi e plateali scongiuri, e sostanzialmente mandava l'interlocutore a fare in culo con frasi in dialetto non proprio finissime. Insomma, un missile di donna.
Ora è a letto, rincoglionitissima, e la mia zia (l'altra, non la pro-zia) mi ha detto che i suoi momenti di lucidità sono ormai quasi scomparsi del tutto, e che si limita a dire qualche frase ogni tanto, spesso senza un gran senso. E a mangiare. Con grande appetito. Giuro.
Insomma, ieri la zia le ha detto, all'altra zia: "Voglio andare lontano". E la cosa mi ha fatto sorridere, perché l'ho riconosciuta, è ancora lei, un missile. Non vuole morire, ci mancherebbe, ma vuole "andare lontano".
La dottoressa di famiglia, che ogni tanto la va a visitare, oramai si limita solo a constatare il perfetto stato di cuore e funzioni vitali e a confermare, incredula, che la zia è proprio un missile.
Ora è a letto, rincoglionitissima, e la mia zia (l'altra, non la pro-zia) mi ha detto che i suoi momenti di lucidità sono ormai quasi scomparsi del tutto, e che si limita a dire qualche frase ogni tanto, spesso senza un gran senso. E a mangiare. Con grande appetito. Giuro.
Insomma, ieri la zia le ha detto, all'altra zia: "Voglio andare lontano". E la cosa mi ha fatto sorridere, perché l'ho riconosciuta, è ancora lei, un missile. Non vuole morire, ci mancherebbe, ma vuole "andare lontano".
La dottoressa di famiglia, che ogni tanto la va a visitare, oramai si limita solo a constatare il perfetto stato di cuore e funzioni vitali e a confermare, incredula, che la zia è proprio un missile.
domenica 23 ottobre 2011
Una storia breve
In realtà il motivo per cui ho iniziato a scrivere questo blog è proprio per scrivere.
È da un po' di tempo che penso che mi piacerebbe proprio scrivere qualcosa, non so cosa, ma qualcosa... Un libro, un racconto, una short story, o whatever... Però tutte le volte che mi ci sono messo ho perso l'interesse e il mordente dopo 20 secondi (o mezza riga) di scrittura.
Quindi ho pensato, magari tenere un blog può aiutare. A forzarmi a scrivere. Sì, perché se uno sa di avere una scadenza, o un impegno - che in questo caso sarebbe postare-regolarmente-nel-blog - magari si sente più motivato e, finalmente, scrive. Devo dire che per ora questo blog, anche se non lo legge nessuno (tranquilli, un aggiornamento su statistiche e accessi arriverà molto presto), sta facendo il suo dovere. Scrivo abbastanza regolarmente, e mi diverto a farlo.
L'unica mia preoccupazione è che tutto questo possa finire presto. Che l'entusiasmo si spenga in poche settimane, e che io mi ritrovi, di nuovo, a pensare di voler scrivere qualcosa, non so cosa, ma qualcosa... Un libro, un racconto, una short story, o whatever...
Insomma, non vorrei che tutta questa storia del blog si rivelasse essere una "short story", tipo questa:
Fonte per la strip: qui.
È da un po' di tempo che penso che mi piacerebbe proprio scrivere qualcosa, non so cosa, ma qualcosa... Un libro, un racconto, una short story, o whatever... Però tutte le volte che mi ci sono messo ho perso l'interesse e il mordente dopo 20 secondi (o mezza riga) di scrittura.
Quindi ho pensato, magari tenere un blog può aiutare. A forzarmi a scrivere. Sì, perché se uno sa di avere una scadenza, o un impegno - che in questo caso sarebbe postare-regolarmente-nel-blog - magari si sente più motivato e, finalmente, scrive. Devo dire che per ora questo blog, anche se non lo legge nessuno (tranquilli, un aggiornamento su statistiche e accessi arriverà molto presto), sta facendo il suo dovere. Scrivo abbastanza regolarmente, e mi diverto a farlo.
L'unica mia preoccupazione è che tutto questo possa finire presto. Che l'entusiasmo si spenga in poche settimane, e che io mi ritrovi, di nuovo, a pensare di voler scrivere qualcosa, non so cosa, ma qualcosa... Un libro, un racconto, una short story, o whatever...
Insomma, non vorrei che tutta questa storia del blog si rivelasse essere una "short story", tipo questa:
Fonte per la strip: qui.
venerdì 21 ottobre 2011
giovedì 20 ottobre 2011
Mu'ammar
È con grande soddisfazione che vi presento una nuova, straordinaria iniziativa di Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno. Il quizzone. Si, avete capito bene. Il gioco a premi.
Il primo quesito è il seguente: delle 3 persone di cui riportiamo altrettante dichiarazioni, solo una ha un cervello. Sapreste individuarla? Al vincitore, estratto a sorte tra tutti coloro che invieranno la risposta corretta, verrà inviata una stampa di questo post autografata da M. O. Dias.
[Fonte per le citazioni: repubblica.it]
Il primo quesito è il seguente: delle 3 persone di cui riportiamo altrettante dichiarazioni, solo una ha un cervello. Sapreste individuarla? Al vincitore, estratto a sorte tra tutti coloro che invieranno la risposta corretta, verrà inviata una stampa di questo post autografata da M. O. Dias.
"Sic transit gloria mundi".
E' il commento che Silvio Berlusconi avrebbe fatto sulla cattura di Gheddafi durante il gruppo del Pdl, secondo quanto riferito da alcuni presenti.
"È ora di mandare a casa i clandestini libici".
Così Umberto Bossi, leader della Lega, commenta con i giornalisti, uscendo dalla Camera, la notizia della morte di Muammar Gheddafi
"Gheddafi non si meritava la 'bella morte' in battaglia ma un 'bel processo' da imputato: un processo equo, da parte di un tribunale indipendente e condotto nel pieno rispetto di quei diritti umani che egli ha negato a decine di migliaia di libici durante il suo regime sanguinario. Questa, e non l'ennesimo bagno di sangue al quale abbiamo dovuto assistere, sarebbe stata 'una grande vittoria del popolo libico', come da più parti si sente dire".
Lo afferma in una nota Emma Bonino, vicepresidente del Senato
[Fonte per le citazioni: repubblica.it]
martedì 18 ottobre 2011
Un primo bilancio
Allora.
Sono oramai dieci giorni da quando ho iniziato a tenere questo blog e quindi mi sembra giunto il momento di fare un primo, doveroso bilancio.
È non senza qualche rammarico che mi vedo costretto a constatare che il blog è ancora lontano dall'essere il "blog più popolare d'Italia" (che è l'obiettivo che mi ero preposto aprendolo).
Si tratta di capire perché. E di definire una strategia.
Credo che il problema sia il fatto che il blog, al momento, non parla di niente. Diciamo che fino ad ora ho scritto un po' alla cazzo quello che mi veniva in mente. Il blog non ha un topic specifico, non tratta temi particolari, non è specializzato in nulla per il semplice motivo che io non sono specializzato in nulla.
Però, penso che specializzarsi possa essere utile. È più semplice diventare il punto di riferimento per qualcosa se si è specializzati in quel qualcosa. E poi, diciamocelo, vorrei evitare di fare un blog del tipo journal intime, dove raccontare i cazzi miei, perché francamente non credo freghi nulla a nessuno... Per esempio, ho appena passato un weekend strepitoso con la mia ragazza che, credetemi, è proprio uno schianto. Ha proprio tutte le caratteristiche che uno vorrebbe la propria ragazza avesse, e ha tutte le cose al posto giusto (anche fisicamente!). Roba che la gente si gira per la strada per guardarla. Però mi rendo conto del fatto che, per quanto io sia stato tremendamente soddisfatto del mio weekend, la cosa possa non interessare ai più...
Specializzarsi, quindi, ma in che cosa?
Il problema è che, davvero, non credo di essere in grado di specializzarmi in niente. Così come non credo di poter parlare con la benché minima autorità di nulla. Per parlare con autorità di qualcosa, qualunque cosa, bisogna avere opinioni forti, perlomeno su quel qualcosa, e io credo di non averne, di opinioni forti. Sulla maggior parte delle cose non penso praticamente nulla.
Quindi? Che faccio? Un blog qualunquista?
Lasciatemici pensare un po'...
Post Scriptum. Uso troppo il corsivo? A volte può risultare irritante…
Post Scriptum 2. Se qualcuno stesse dubitando della veridicità delle affermazioni sulla mia ragazza, beh, sappia che la mia ragazza non è al corrente del fatto che io stia tenendo un blog, e che quindi non avrei davvero nessuna ragione per mentire al riguardo. È uno schianto. Davvero.
Sono oramai dieci giorni da quando ho iniziato a tenere questo blog e quindi mi sembra giunto il momento di fare un primo, doveroso bilancio.
È non senza qualche rammarico che mi vedo costretto a constatare che il blog è ancora lontano dall'essere il "blog più popolare d'Italia" (che è l'obiettivo che mi ero preposto aprendolo).
Si tratta di capire perché. E di definire una strategia.
Credo che il problema sia il fatto che il blog, al momento, non parla di niente. Diciamo che fino ad ora ho scritto un po' alla cazzo quello che mi veniva in mente. Il blog non ha un topic specifico, non tratta temi particolari, non è specializzato in nulla per il semplice motivo che io non sono specializzato in nulla.
Però, penso che specializzarsi possa essere utile. È più semplice diventare il punto di riferimento per qualcosa se si è specializzati in quel qualcosa. E poi, diciamocelo, vorrei evitare di fare un blog del tipo journal intime, dove raccontare i cazzi miei, perché francamente non credo freghi nulla a nessuno... Per esempio, ho appena passato un weekend strepitoso con la mia ragazza che, credetemi, è proprio uno schianto. Ha proprio tutte le caratteristiche che uno vorrebbe la propria ragazza avesse, e ha tutte le cose al posto giusto (anche fisicamente!). Roba che la gente si gira per la strada per guardarla. Però mi rendo conto del fatto che, per quanto io sia stato tremendamente soddisfatto del mio weekend, la cosa possa non interessare ai più...
Specializzarsi, quindi, ma in che cosa?
Il problema è che, davvero, non credo di essere in grado di specializzarmi in niente. Così come non credo di poter parlare con la benché minima autorità di nulla. Per parlare con autorità di qualcosa, qualunque cosa, bisogna avere opinioni forti, perlomeno su quel qualcosa, e io credo di non averne, di opinioni forti. Sulla maggior parte delle cose non penso praticamente nulla.
Quindi? Che faccio? Un blog qualunquista?
Lasciatemici pensare un po'...
Post Scriptum. Uso troppo il corsivo? A volte può risultare irritante…
Post Scriptum 2. Se qualcuno stesse dubitando della veridicità delle affermazioni sulla mia ragazza, beh, sappia che la mia ragazza non è al corrente del fatto che io stia tenendo un blog, e che quindi non avrei davvero nessuna ragione per mentire al riguardo. È uno schianto. Davvero.
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