mercoledì 21 dicembre 2011

Quanti siamo?

Ci sono alcuni dei post di questo blog che potrebbero benissimo far parte della rubrica sugli aeroporti, ma non ne fanno parte. Quello che sto per scrivere è uno di questi. Il fatto è che ho già recensito l'aeroporto di Parigi Orly, terminal Ouest, e non mi va di fare dei doppioni. Quindi eccovi un post su aeroporti, viaggi, pensieri, intitolato "Quanti siamo?".

Per amore della sintesi, l'espressione "Quello Schianto Di Donna Che È La Mia Donna" sarà abbreviata in quanto segue con: QSDDCÈLMD.

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Venerdì è arrivata a Parigi QSDDCÈLMD. Ecco com'è andata. È uscita di casa alle 6.45 di mattina, si è recata all'aeroporto X (che ancora non ho recensito), dopodiché tutto è andato male. Causa maltempo, volo in ritardo di un'ora abbondante. E mentre lei smadonna senza ritegno in aeroporto io entro in ansia (Oddio, arriverà? Ma quando arriverà?) e inizio una delle giornate lavorative meno produttive del millennio.

Il problema è che QSDDCÈLMD sarebbe dovuta partire dall'aeroporto X, fare scalo all'aeroporto Y, e atterrare alle 14 circa a Parigi Orly (terminal Ouest). Solo che il ritardo causa maltempo a X le ha fatto perdere la coincidenza a Y. Cazzo, cazzo, e cazzo. Mi tengo in contatto telefonico fittissimo, sia per capire la situazione, sia perché sono innamoratissimo (dio, che imbarazzo...). È in fila al desk della compagnia aerea per vedere se la mettono in un altro volo. Davanti a lei, trecento persone.

Insomma. Cancellano il volo successivo da Y a Paris. Scene di panico. Mille telefonate e sms. Poi finalmente l'annuncio. QSDDCÈLMD verrà imbarcata sul volo successivo-successivo (due voli dopo) a quello che avrebbe dovuto prendere. E arriverà a Paris con un ritardo di 5 ore.

Bene.

Un'ora prima del suo arrivo previsto esco dal lavoro per andare a prenderla in aeroporto. Decido di andare a prenderla in aeroporto sia perché mi sembra un gesto carino dopo un viaggio (suo) così assurdo, sia perché sono innamoratissimo (ulteriore imbarazzo...). Scendo giù sottoterra alla stazione della RER C, direzione Orly. C'è un sacco di gente sul marciapiede, un sacco di gente seduta per terra, gente seduta sui gradini che portano al marciapiede, gente che chiacchiera, gente incazzata, insomma gente dappertutto, più un po' di gente a testa in sù che guarda gli schermi sui binari che annunciano che tutti i treni (si, tutti) sono retardé.

Merda.

Chiedo. Mi dicono che a causa di un bagaglio sospetto abbandonato nella stazione Dio-solo-sa-quale hanno bloccato la circolazione sulla RER C. Però tranquillo, mi fa una signorina con la casacca della RATP che spande ottimismo sul marciapiede, tra poco si riparte.

Aspetto 10 minuti e non riparte niente.

Dopo 12 minuti una vocina annuncia che tutti i treni sono soppressi per un'altra mezz'ora.

Cazzo, cazzo, e cazzo.

Prendo la metro 14, direzione Chatelet. L'idea è cambiare lì per prendere la RER B che porta pure lei a Orly. Alla 14 c'è chiaramente un oceano di folla. Il marciapiede è stipato di corpi accalcati. La metro arriva e inizia il ritmico rito della gente che si apre a ventaglio sul marciapiede di fronte a ogni porta, lasciando spazio alla gente che scende dal vagone a scatti e sbuffi, come un getto d'acqua che esce da un tubo strozzato, poi il ventaglio si richiude disordinatamente, è tutto uno spingere e premere di corpi su corpi finché il vagone si riempie, la sirena fischia, le porte si chiudono, e qualcuno là fuori interrompe la sua corsa ormai inutile e rimane fermo sul marciapiede che pian piano si sta riempiendo di nuovo e guarda le facce senza espressione dentro ai finestrini del treno che se ne va. E  poi tutto ricomincia da capo.

Sono stipato in un vagone della 14, sento i corpi delle persone attorno a me premere sul mio. Braccia e pancie e spalle. Sulla RER B è la stessa cosa. Gente dappertutto. Vagoni stipati. Corpi e facce e occhi nel vuoto e nasi che respirano aria già respirata mille volte.

E mentre me ne sto li a sperare di arrivare in tempo penso - ma quanti siamo?

E penso a come sarebbe vederci tutti quanti da lontano, vederci dall'alto, muoverci frenetici su e giù per strade e scale e ascensori. Infilarci dentro macchine e bus e vagoni del metro. Muoverci in sgangherata raggiere verso o via da Chatelet, che è l'impero della folla.

E penso che lo so come sarebbe vederci tutti quanti dall'alto. Lo so perché l'ho visto.

Era notte ed ero a Tokyo. Uno di quei weekend sospesi tra due viaggi di lavoro e uno si ritrova a fare il turista solitario. Insomma giravo per Tokyo e la sera mi son ritrovato a Roppongi, un quartiere modernissimo con questo grattacielo enorme e ci son salito in cima, al grattacielo enorme.

Sono rimasto letteralmente senza fiato. Stordito dentro alla enorme vasca da pesci rossi dalla quale decine di persone guardavano giù, col naso appiccicato al vetro.

Mi son seduto a un bar, mi sono messo a un tavolino che guardava fuori. E non riuscivo a smettere di guardare tutta quella luce. Quei palazzi di fiamme giallo biancastre e quel groviglio di macchine in file indiane ordinate e bipedi, una serie infinita di coppie di occhietti illuminati che scivolavano sulle strade, e si fondevano con altre processioni, e si diramavano e congiungevano, un fiume di luce che avvolgeva i palazzi come se fossero sassi in un ruscello. Luce fluida. Luce liquida.

Sono rimasto immobile per più di un'ora a guardare la luce di Tokyo vista da sù. Non riuscivo a smettere. Davvero, non riuscivo a smettere. C'era un silenzio surreale dentro alla vasca da pesci rossi, lassù sulla torre di osservazione, c'era un silenzio surreale e io pensavo a quanto fosse bello tutto quanto. E pensavo - ma quanti siamo?

E non capivo, e non capisco nemmeno ora, come possa tutto questo funzionare. Come possano tutte queste cose incastrarsi tra loro, e funzionare.

Quando sono sceso dal grattacielo di Roppongi ero tranquillo. Era ancora notte, ma le notti viste dal basso sono diverse. Sono palazzi con finestre illuminata. Sono persone che camminano in silenzio in strade semivuote. Sono semafori che cambiano colore inutilmente. Sono insegne di bar che stanno sopra a porte illuminate. Porte di vetro appannato che illuminano un pezzetto di marciapiede, e che parlano mille voci e rumori mescolati assieme quando qualcuno le apre.

Non so perché, ma quando sono sceso dal grattacielo di Roppongi e camminavo in silenzio verso il metro ero davvero tranquillo.


5 commenti:

  1. Tu e il tuo schianto di donna state insieme da poco, vero? -___-

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  2. devo dire che i miei followers (i pazzi furenti) sono proprio ma proprio scaltri...

    si capisce dai commenti arguti che fanno. :-)

    la risposta e' si. come hai fatto a capirlo? per caso traspare? :-P

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  3. Mmmm....diciamo che il mio "schianto di uomo che è il mio ragazzo", quello con cui ho procreato una bellissima nanetta, quello che mi sta a fianco da 14 (quattordici) bellissimi anni e quello che condivide con me un comodissimo Malm letto dell'Ikea, ecco se io dovessi tornare da un viaggio (anche se fosse dall'Antartide) quell'uomo mi direbbe: "Ci vediamo a casa quando torni, c'è insalata lavata in frigo?". Ecco.

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  4. io condivido un MANDAL. quello coi cassetti sotto, che a parigi lo spazio e' prezioso e va ottimizzato...

    facciamo cosi'. cerco di scrivere 'sto blog per almeno 14 anni e poi ti dico che frasi ci diciamo al ritorno di un viaggio.

    accetti?

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  5. Ci sto! E spero anche che tra 14 anni le nostre situazioni sentimentali siano ancora le stesse!!!! ;)

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