venerdì 11 novembre 2011

Terminal 1: Aeroporto di Parigi - Charles de Gaulle - Terminal 3

Iniziamo la nostra rubrica aeroportuale parlando del Terminal 3 dell'Aeroporto di Parigi Charles de Gaulle. Per dare una descrizione esaustiva ed accurata del Terminal 3 dell'Aeroporto di Parigi Charles de Gaulle basterebbe dire che fa schifo. Già, fa davvero schifo. È l'ultimo dei terminali dell'aeroporto, quello costruito più recentemente, e consiste praticamente di un enorme hangar semivuoto e semideserto. In una parola: triste.

La semi-vuotezza, semi-desertezza e (totale-)tristezza del Terminal 3 mi stanno particolarmente a cuore perché recentemente mi ci ritrovo spessissimo per prendere voli che hanno come destinazione la città (che manterremo qui ignota per motivi di sicurezza nazionale) dove vive quello schianto di donna che é la mia donna.

Ma torniamo a noi.

Quando si entra nel terminal 3 dell'Aeroporto di Parigi Charles de Gaulle, la prima cosa che si prova è sconforto. Poi, dopo aver notato lo sguardo perso nel vuoto delle annoiatissime signorine che stanno agli stand delle varie compagnie aeree o di noleggio auto, il morale risale un po', rafforzato dalla consapevolezza di essere dalla parte giusta del bancone dello stand.

Per sconfiggere lo sconforto, penserete voi, ci vorrebbe una biretta. Però, in caso vi venga in mente di precipitarvi al bar, vi consiglio di non farlo. Non fatelo, davvero. Riflettete. Piuttosto mettetevi in fila al gate e entrateci. Mi ringrazierete. Il bar dentro al gate è leggerissimamente meno triste dei bar fuori dal gate. E nei momenti di massimo sconforto i dettagli, anche quelli piccoli, aiutano.

Insomma, a questo punto un giudizio finale di "una stellina" (il minimo, vedi qui) sembrerebbe inevitabile.

Però... Però c'è un però.

Il però è che il venerdì sera è tutto un po' diverso, al terminal 3. C'è quell'atmosfera stanca ma distesa delle vigilie dei fine settimana. È chiaro che quasi tutte le persone sedute in file ordinate e in attesa del volo stanno finendo una settimana di lavoro, stanno tornando a casa, o andando, come me, in un posto in cui hanno proprio voglia di andare. I pensieri della settimana e della giornata appena conclusa sono ancora li, sulle facce e sulle espressioni di tutti, ma più leggeri, e condannati a svanire in un "ci-penso-lunedì". Persino il rumore di tutte le voci che si mescolano e annodano tra loro sembra riempire tutto lo spazio in un modo più morbido e lontano. Non è il rumore spigoloso e puntuto di telefonate, discussioni e picchiettii su tastiere di laptop, ma è più liscio e smussato, omogeneo, come il rumore di un'aspirapolvere che qualcuno sta passando in un'altra stanza.

Ecco, a me quasi piace, il venerdì sera, starmene lì seduto in quella pozza di luce bianca al neon che è il terminal 3, tra le vetrate buie che impediscono alla notte di entrare, in mezzo a tutte quelle facce che forse la pensano come me.

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Una stellina. Una e mezzo il venerdì sera. Tre se sto andando nella città ignota di cui sopra.

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