È il 1976. Il cielo è basso e pieno di nubi. Le nubi grigie sono bitorzolute, increspate e lucenti. Il cielo ha un aspetto cerebrale. Sotto il cielo c'è un campo, nel vento.ed è un libro di racconti di 319 pagine di David Foster Wallace.
Non è facile scrivere o dire qualcosa su David Foster Wallace senza sentirsi banali. O, per lo meno, non lo è per me. E forse è per questo che quando ne parlo, di David Foster Wallace, e mi succede spesso - i miei amici appena mi sentono pronunciare il suo nome alzano con rassegnazione gli occhi al cielo e sbuffano - mi ritrovo sempre a parlare di me, di quanto mi sia piaciuto qualcosa che ha scritto, di quanto mi sia piaciuto come lo ha scritto, di quanto mi abbia fatto ridere, o fatto felice, o triste. O della tranquillità surreale e spaesante che ho sentito dopo aver letto l'ultima frase del suo monumentale capolavoro, Infinite Jest. Parlare di quello che mi è successo e mi succede quando leggo David Foster Wallace è l'unico modo che ho per parlarne ed evitare di sentirmi volgarmente banale. È l'unico modo onesto che ho di parlarne.
Quindi salterò tutta la parte di recensione in cui si dovrebbe forse dire che questo scrittore è un genio e parlare dell'immane contributo che ha dato alla letteratura bla bla bla e vi dirò che per me David Foster Wallace è lo scrittore che ha scritto quello che probabilmente considero il romanzo più travolgente che abbia mai letto in vita mia, che è Infinite Jest. Vi dirò che sono venuto a conoscenza dei libri di Wallace pochi anni fa, quando lui già non c'era più, e il suo non esserci più mi è sembrata (con mio stupore) una cosa assurda e molto triste. E vi dirò, perché è questo di cui devo parlare qui, che i racconti che compongono la raccolta La ragazza dal capelli strani sono dei racconti che non so descrivere in altro modo se non dicendo che mentre li leggevo mi sentivo a casa. Perché il modo in cui sono scritti, nella sua estrema e non convenzionale bellezza, è di una incredibile e fluida e assurda naturalezza. Sono racconti poetici, nevrotici e spericolati. Leggeteli.
Il primo racconto della raccolta si intitola Piccoli animali senza espressione e parla di Julie Smith, ragazza ventenne che stravince più di settecento puntate consecutive di un quiz a premi televisivo massacrando con furia tutti gli avversari, ma si accartoccia e ripiega su se stessa non appena le luci dello studio televisivo si abbassano e lo show finisce.
Poi c'è il racconto che dà il titolo al libro, dove un giovane e ricchissimo repubblicano si accompagna a un gruppo di sbandati punk-rockers, e racconta in prima persona, facendo dubitare il lettore della sua completa sanità mentale, le avventure di questa sconclusionata e incongrua gang che si reca a un concerto di Keith Jarret:
Keith Jarret è un negro che suona il pianoforte. A me piace moltissimo vedere i negri esibirsi in tutti i campi delle arti dello spettacolo. Trovo che siano una razza talentuosa e incantevole di artisti, che sono spesso molto divertenti. In particolare mi piace guardare le esibizioni dei negri da una certa distanza, perché da vicino spesso hanno un odore sgradevole.Un'altro tra i racconti che più mi sono piaciuti è Lyndon, storia romanzata della presidenza americana di Lyndon Johnson, raccontata da uno dei suoi assistenti personali:
"Mi chiamo Lyndon Baines Johnson. Quel cazzo di pavimento che hai sotto i piedi è mio, ragazzo."E l'ultimo racconto del libro, È tutto verde, sono semplicemente tre pagine di delicata poesia. Lei, Mayfly, è seduta e guarda verso la finestra, lui, invece, guarda lei:
Da dov'è seduta sta guardando fuori, e io guardo lei, e c'è qualcosa in me che non si riesce a chiudere, nel guardarla. Mayfly ha un corpo. E lei è la mia mattina. Dite il suo nome.
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