CAPITOLO 1: Parigi-Roma
Atterro a Fiumicino, mi infilo nel tubo che ci fa scivolare tutti quanti dentro alla sezione "Arrivi" del terminal, e mi perdo. Devo essermi dormito il primo (e ultimo, apparentemente) segnale "Exit/Uscita". Mi sono distratto perché, da bravo italiano, appena rimesso piede sul glorioso suolo italico, mi son subito sentito in dovere di contribuire al chiassoso vociare di fondo -ah! casa dolce casa!- gridando con convinzione e trasporto al telefonino: "Ciao, sono a Roma... Sí, sí, non c'è problema... Noooo, noooo, ma figurati! Sì... Ok... Ok... Quando torno, va bene, ciao, baci... Baci...". Riattacco e non so più dove sono.
Ottimo.
Bar e tranci di pizza ovunque -ah! casa dolce casa!- e un numero spropositato di preti. Si, preti ovunque. Milioni di sacerdoti col colletto bianco. E suore. Di solito basse, cicciottelle, vecchie e in coppia. Boh. Va bene che a Roma c'è il Vaticano, ma il numero di preti e di (coppie di) suore mi è parso decisamente sproporzionato. Mah... Trovo a fatica l'uscita, cercando di stimare (a mente) quale possa essere il numero medio di preti in transito a Fiumicino in un dato istante
t, poi lascio perdere. Cambio terminal e aspetto la mia amica A. che ha il volo che atterra poco dopo il mio. Al terminal 3, sezione "Arrivi", c'è un po' di annoiatissima gente che sorregge a due mani cognomi scritti col pennarello e li alza in bella vista ogni volta che le porte scorrevoli si aprono e sputano fuori un po' di gente, ci sono le due immancabili suore appoggiate alla ringhiera, basse, cicciottelle e con il tipico maglioncino da suora (quello coi bottoni, nero o grigio, tutte le suore del mondo ce l'hanno), e c'è una vistosissima ragazza, forse un po' troppo elegante, annoiata e in attesa, lineamenti est-europei, pelliccia castana, capelli pure, e un rossetto così rosso su quella pelle bianchissima che pare gridare. Quando uno dei sorreggi-cognomi dà di gomito al suo compare, sghignazza e grida alla ragazza (con un accento inglese degno del più rauco Franco Califano) "Are you waiting for me?" ho una piccola rivelazione, una visione, un'epifania. E capisco di essere di nuovo a casa, capisco la sconfortante normalità di vent'anni di porno-Berlusconismo, capisco la Minetti, capisco le veline di striscia la notizia. Capisco tutto quanto. Un uomo sui quaranta, elegantissimo e con una rosa dal gambo lunghissimo si porta via la ragazza appariscente, e insieme a lei gli occhi del portacognomi.
Quando vedo A. comparire dietro le porte scorrevoli sono ancora lì che penso di capire tutto, anche se non so bene, in tutto questo, quale sia esattamente il problema. L'abbraccio forte e poi prendiamo il treno per Roma.
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CAPITOLO 2: Roma-Parigi
Weekend finito, arrivo a Fiumicino, abbraccio forte A., vado verso il terminal 2 e mi perdo. Sbaglio una scala mobile e mi ritrovo al terminal 1.
Ottimo.
Quando finalmente trovo il terminal 2 manca un'ora e venti alla partenza del mio volo. Arrivo al gate e mi prende un colpo. Non ho mai visto niente di simile. Dai metal detector dei controlli di sicurezza parte una fila, dapprima raggomitolata, piegata su se stessa in strette spire a 180 gradi, guidata dalle fasce di plastica scura con su scritto "Aeroporti di Roma". Riempie, densa, un ampio rettangolo di spazio delimitato da paletti neri e poi, dopo l'ultimo paletto di plastica esplode, si linearizza, corre lunghissima costeggiando file infinite di tristi poltroncine di plastica, poi piega, un ansa di fiume che segue la vallata, gira di 90 gradi e continua decisa e diritta verso un corridoio dall'altra parte della hall. E si perde dietro a un muro. È la fila più lunga che abbia mai visto in vita mia in un aeroporto. E la gente è furente. Alcuni chiedono di passare ma siamo tutti quanti sugli stessi tre voli che partono alla stessa ora. Una ragazza, decisamente imbarazzata a causa dell'uniforme aeroportuale che indossa, sfida i nostri sguardi torvi e fa: "Parigi, Milano e Venezia? Seguitemi!" e ci mette su una seconda fila, chiaramente improvvisata lì per lì, molto più corta. La situazione resta pessima, e quando riacciuffo la signorina per abbaiarle contro un: "Scusi ma si rende conto che la fila dove ci ha messi è corta ma non si muove di un centimetro?" lei allerga le braccia e dice sconsolata "Aeroporti di Roma, signori...".
Più di un'ora dopo passo finalmente i metal detector (due! Si, due! Il terminal 2 di Fiumicino ha solamente due cazzo di metal detector!) e mi metto a correre. Tiro il trolley con una mano e con l'altra mi stringo contro un fianco laptop passaporto carta d'imbarco telefono ipod eccetera. Corro sgangherato e affianco una ragazza che corre pure lei sgangherata e dico "Parigi, immagino" e lei "Eh si, Parigi, cazzo...". Arriviamo all'imbarco sudati fradici, rossi in viso e iperventilanti per sentirci dire da una irritatissima dipendente dell'aeroporto: "Il volo è chiuso".
Io mi incazzo e faccio il professorino irritato che fa la predica, la ragazza se la gioca più sul La-prego-ci-faccia-passare-la-prego-la-prego...
Lei e il suo collega si guardano, fanno una telefonate e ci fanno passare. Sento la ragazza, ancora ansimante, tranquillizzare qualcuno al cellulare "Si, preso, per un soffio... A me e a un signore non ci volevano imbarcare!" e mi accorgo di essermi perso il momento esatto della mia vita in cui per la gente da ragazzo son diventato
signore... Mah...
Siamo dentro al tubo che porta all'aereo. Siamo tutti e due ancora rossi e accaldati. Passa il ragazzo dell'aeroporto, quello che era insieme all'irritatissima signorina all'imbarco, ci strizza l'occhio e ci fa: "Tornate indietro, non siete stati accettati". In mezzo a tutta quella desolazione aeroportuale, ci strappa un sorriso, ed è lì che capisco quale sia esattamente il problema. Ho una seconda epifania, una seconda rivelazione aeroportuale. Il problema dell'Italia, ascoltatemi bene, è la simpatia.
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Comunque, l'aeroporto di Fiumicino non è all'altezza. Troppo poco. Davvero troppo poco per Roma. La capitale. Caput mundi. E tutte queste balle qua.
Che cazzo.
Una stellina.