lunedì 31 dicembre 2012

Comics - 3: Days of the Bagnold summer, Joff Winterhart

Days of the Bagnold summer è il primo libro pubblicato dall'inglese  Joff Winterhart.

Daniel Bagnold è il tipico quindicenne con capello lungo, sguardo triste e sfuggente, felpa (con cappuccio) di qualche band heavy-metal, scarpe da ginnastica che calpestano l'orlo dei pantaloni sempre troppo lungo. Daniel deve partire, come ogni anno, per passare l'estate con suo padre (i suoi genitori sono separati). Ma all'ultimo minuto salta tutto, e Daniel resta con la madre, Sue.
Il libro descrive, quindi, in sei capitoli (uno per ogni settimana di vacanza), l'estate della coppia madre/figlio e cattura con delicata precisione tutte le irrequietezze e incertezze del quindicenne e le malinconiche e tristi frustrazioni della madre.

E il tutto prosegue tra incomprensioni tra i due, prove della adolescenziale band hard-rock di Daniel, dates disastrosi di sua madre, l'improbabile madre new age di un compagno di classe, acquisti di abiti eleganti in vista del matrimonio di un cugino, e la morte dell'animale domestico.

Pur non conisderando The Bagnold una delle graphic novels migliori che io abbia letto recentemente, è di certo una lettura molto gradevole.

domenica 30 dicembre 2012

Books I read: the best of 2012 e statistiche varie

Il 2012 sta finendo e finisce anche il primo anno della rubrica Books I read. È dunque tempo di bilanci e statistiche*.

Nel 2012 Manoel ha recensito 13 libri, e ha una recensione in fase di scrittura, quindi il totale di libri letti ammonta a 14. L'anno prossimo Manoel cercherà di fare meglio, e dichiara qui ufficialmente:
Mi impegnerò a leggere almeno 15 libri (incluso l'Ulisse del Signor James Joyce).
Bene, liquidate le New Year's Resolutions, iniziamo con le statistiche.

Partiamo dal sesso degli autori, così suddiviso:

Uomini: 12
Donne: 2

Dal che se ne deduce che viviamo in un mondo maschio-centrico (o che Manoel è un tipo maschio-centrico, decidete voi).

La lunghezza, in pagine, dei libri che Manoel ha letto, è invece così distribuita:

100-200 pagine: 2
200-300 pagine: 3
300-400 pagine: 6
400-500 pagine: 1
600-700 pagine: 1
800-900 pagine: 1

 Dal che se ne deduce che Manoel predilige i libri medio/lunghi e non disdegna i "mattoni".

Stravincono, chiaramente, i romanzi:

Romanzi: 12
Saggi: 2

Sul piano delle nazionalità degli autori, dominano (as usual) gli Stati Uniti, e trionfa, dilagante, la letteratura in lingua inglese:

Canada: 1
Italia: 1
Polonia: 1
UK: 2
USA: 9

Passiamo ora all'anno di pubblicazione dei libri che Manoel ha letto quest'anno, così distribuito:

1950-1959: 3
1970-1979: 2
1980-1989: 1
1990-1999: 3
2000-2009: 3
2010-2012: 2

Il che ci dice che Manoel è un lettore decisamente "contemporaneo".

Ed ecco, per concludere, la tanto attesa classifica. Il Best of 2012.

Ecco la Top 5, che è stata molto difficile da stilare perché Manoel ha proprio letto un sacco di libri bellissimi, nel 2012:

1) Underworld di Don DeLillo
2) Breakfast of Champions di Kurt Vonnegut
3) The apprenticeship of Duddy Kravitz di Mordecai Richler
4) La ragazza dai capelli strani di David Foster Wallace
5) Farenheir 451 di Ray Bradbury

Nel 2012, purtroppo, Manoel ha anche letto due libri brutti:

1) Q di Luther Blisset
2) One day di David Nicholls

E direi che con questo è tutto.

Ci vediamo nel 2013!

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* Adoro i bilanci e le statistiche.

Hapworth 16, 1924, J. D. Salinger

Come promesso, vi racconto la storia dell'ultimo racconto pubblicato da J. D. Salinger, Hapworth 16, 1924, apparso sulla rivista The New Yorker il 19 Giugno 1965. Il racconto è scrito sotto forma di una lunga lettera che Seymour Glass, il più geniale della cucciolata di bimbi-prodigio della famiglia Glass, scrive ai suoi genitori da un campo estivo. Seymour ha 7 anni. La famiglia Glass è al centro di tutti i libri che Salinger ha pubblicato, con l'esclusione de Il giovane Holden.

Il racconto è piuttosto lungo, oltre le 50 pagine. Occupava da solo praticamente tutto il numero del New Yorker. Le reazioni da parte della critica furono decisamente negative.

Ciò che rende Hapworth intrignte è il fatto che sia l'ultima apparizione letteraria di Salinger, che in seguito rimase letteralemente in silenzio fino alla sua morte, il 27 Gennaio 2010.

Nel 1988, Roger Lathbury, titolare della (semi sconosciuta) casa editrice Orchises Press scrive a Salinger proponendogli di pubblicare Hapworth come un libro a se stante. Salinger, la cui riservatezza e scontrosità possono senza dubbio essere definite leggendarie, sorprendentemente rispose e disse: valuterò l'offerta.

Ci pensò per 8 anni, e nel 1996 un incredulo Lathbury venne contattato dai rappresentanti legali di Salinger per iniziare, di fatto, una trattativa per la pubblicazione del libro.

Le vicende che seguirono sono state raccontate dallo stesso Lathbury in un articolo apparso sulla rivista New York il 4 Aprile 2010 (leggetelo, è un bell'articolo). Riassumendo: Lathbury commise un paio di ingenuità, la notizia della pubblicazione del racconto divenne pubblica e Salinger si tirò indietro a pochi mesi dalla data prevista per l'uscita del libro (che era già apparso su Amazon, annunciato per i primi mesi del 1997).

Parallelamente, in Italia, succede questo (o qualcosa di simile, come si può evincere da questo, questo o  da quest'altro articolo): le edizioni (queste sì, del tutto sconosciute ai più) Eldonejo di Giovanni Vittorio Pisapia (fratello di Giuseppe Pisapia) pubblicano una traduzione (di Simona Magherini, laureatasi a Siena con una tesi su Salinger) di Hapworth, pochi mesi prima della data di uscita del libro negli States! Piccolo dettaglio: la casa editrice non detiene i diritti di pubblicazione. La Einaudi, affermando di essere la detentrice dei diritti, se ne risente non poco. La cosa finisce per vie legali e, a quanto ne ho capito, la Eldonejo non ristampa più il libro, di cui restano però sul mercato le 2000 copie della prima stampa.

Nel 1997, poco più che ventenne, mi catapultai in libreria appena raggiunto dalla notizia, e acqustai a 25 mila lire una copia di Hapworth. Ricordo che ne restai piuttosto deluso. Ma forse furono le mie (stellari) aspettative a tradirmi.

Non sapevo nulla di tutta questa storia fino a pochi giorni fa, quando sono incappato, per caso, in questo articolo. A quanto pare nel 2010 una delle 2000 copie pirata di Hapworth è stata venduta su Ebay a più di 400 euri. Ho controllato, e al momento non ci sono altre copie in vendita su Ebay. Il numero di The New Yorker, invece, è acquistabile, sempre su Ebay, a circa 300 euri.

Io ho già iniziato le ricerche per ritrovare la mia copia di Hapworth (chissà dov'è finita!). Non vedo l'ora di ritrovare il volumetto dalla copertina azzurro-cenere bordata di rosa.

La mia copia, non dovrebbe essere nemmeno necessario dirlo, non è in vendita.

venerdì 28 dicembre 2012

Books I read 13 - Every love story is a ghost story. A life of David Foster Wallace, D. T. Max

Questo è il primo libro di non-fiction che recensisco su questo blog*, ed è la biografia dello scrittore americano David Foster Wallace, autore di Infinite Jest.

Di solito non sono particolarmente interessato alle vite degli scrittori che leggo, forse perché la penso un po' come Calvino, quando dice:
Dati biografici: io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere (Quando contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all'altra. Mi chieda pure quel che vuol sapere, e Glie lo dirò. Ma non le dirò mai la verità, di questo può star sicura.**
Insomma, non leggo mai biografie di scrittori ma, in alcuni casi, ammetto eccezioni.

Da adolescente, il mio idolo*** letterario era J. D. Salinger. Avevo letto cinque o sei volte Il giovane Holden, un paio di volte Franny & Zooey, e una volta gli altri suoi due libri (che sono, se proprio volete saperlo, Nove racconti e Alzate l'architrave, carpeniteri e Seymour: introduzione). Ricordo che nel 1997 corsi letteralmente  in libreria quando lessi sul giornale della pubblicazione in Italia di Hapworth 16, 1924****, l'ultimo scritto pubblicato da Salinger sul New Yorker nel 1965, subito prima della sua volontaria reclusione letteraria e forse anche umana. E nei primi anni novanta rubai a mio padre*****, immediatamente dopo l'acquisto, la prima biografia di Salinger mai pubblicata (Ian Hamilton, In cerca di Salinger). E la lessi voracemente******. Era la prima (e anche unica, fino a poche settimane fa) biografia di uno scrittore che avessi mai letto*******.

Parlo di Salinger perché  per certi aspetti la mia adorazione adolescenziale per lui mi ricorda l'amore******** che provo per i libri di Wallace. E c'è un'altra cosa che accomuna il mio sentire per questi due autori tanto diversi tra loro: l'impressione che scrivano per un bisogno irrefrenabile di essere amati da chi li legge. Il sentimento che ho provato e provo leggendo i libri di Salinger e Wallace è lo stesso, ed è stato molto ben descritto proprio dal vecchio Holden Caulfield (!), quando dice:
What really knocks me out is a book that, when you're all done reading it, you wish the author that wrote it was a terrific friend of yours and you could call him up on the phone whenever you felt like it. 
Per poi aggiungere, saggiamente:
That doesn't happen much, though.
Già, non succede spesso.

Con Wallace è successo, ed è per questo che ho letto la sua biografia e che adesso mi trovo un po' in imbarazzo a scriverne. Perché è difficile non diventare sentimentale... cosa che vorrei evitare*********.

Comunque, penso che D. T. Max abbia fatto un ottimo lavoro, rispettoso, accurato, e talvolta davvero illuminante. Se amate Wallace questo è un libro da leggere.

Chiudo con una nota a margine. Quasi tutte le recensioni del libro che ho letto in questi mesi facevano notare come uno degli scoop del libro, forse il più inaspettato, fosse la rivelazione che Wallace avesse votato per Reagan. Ho trovato la cosa abbastanza irritante. Una perpetuazione dell'assioma: intellettuale uguale persona-democratica (in America) o persona-di-sinistra (in Italia). Assioma che personalmente ritengo espressione massima di una cultura snob e perdente. Un altro merito di Max è quello di averci raccontato anche questo aspetto della vita di Wallace risparmiandoci inutili giudizi.

Ecco. Ho finito. (Che fatica.)

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* Violando così ciò che mi ero ripromesso.
** Lettera a Germana Pescio Bottino, 9 Giugno 1964
*** Sì, da adolescenti non si apprezza, non si ama, da adolescenti si adora, si adorano idoli.
**** Questa storia ve la racconto in un altro post. Promesso.
***** "Questo lo devi leggere", mi disse, tantissimi anni fa, porgendomi una copia del giovane Holden.
****** Non lessi però, anni dopo, Dream catcher: a memoir, della figlia Margareth, né tantomeno At home in the world, dell'ex amante Joyce Maynard, pensando di capire e cercando di rispettare l'irritazione di Salinger e trovando il tutto un po' fastidioso.
******* Da ragazzino lessi, ma solo per tirarmela e fare il bimbo precoce, una (pessima) biografia di Albert Einstein. E questo è tutto, per quanto riguarda le biografie.
******** Da "grandi" non si adorano idoli, da grandi si ama.
********* Troppo tardi?

mercoledì 19 dicembre 2012

Books I read 12 - Fahrenheit 451, Ray Bradbury

Fahrenheit 451 inizia così:
It was a pleasure to burn.
ed è un classico della fantascienza (?)* di 165 pagine.

Devo dire che quando ho comprato Fahrenheit 451, l'ho fatto solo perché ne avevo trovata una copia, usata e in buono stato, a 5 euri. Era un libro che non mi aveva mai attirato. Uno di quei libri di cui si è sentito parlare così tanto al punto da pensare, con una punta di noia borghese: è come se lo avessi già letto.

E invece no. Non è vero. Non è come averlo già letto. Perché Fahrenheit 451 è un libro incredibile. Avvincente. Poca retorica** e tanto ritmo. È un libro che si legge con ardore. Sì, ardore.***

La storia la sapete. La sanno tutti. Un futuro dove i libri sono vietati, e quindi vanno bruciati. I pompieri non hanno più il compito di spegnere gli incendi, bensì di accenderli, bruciando libri. E Guy Montag, uno di loro, un pompiere, apre gli occhi e inizia a farsi e a fare domande. A chiedersi il perché. Un'idea semplice, quella di Bradbury, semplice e terribile, perché troppo simile al nostro presente, a tutti i presenti. Ma la smetto subito, perché non credo sia necessario ripetere i soliti discorsi (verissimi) sull'attualità perenne di libri come questo, sui mille parallelismi che suggeriscono, sulla loro realtà.

Ecco, l'unica altra cosa che voglio aggiungere è proprio questa. La naturalezza, il senso di necessità e di realtà di certa fantascienza. È questo che fa di questo libro quello che è: qualcosa di essenziale.

Il finale, forse, è l'unico punto in cui la narrazione rallenta un po'. E leggendo di quegli uomini che camminano lungo i binari di una ferrovia abbandonata si ha l'impressione che la storia si distacchi, per la prima volta, dalla folle normalità di tutte le cose possibili.

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* Quando un libro mi piace molto, faccio sempre molta fatica ad ammettere che si tratti di fantascienza. Kurt Vonnegut era, tecnicamente, uno scrittore di libri di fantascienza. Infinite Jest è un libro che da un certo punto di vista potrebbe essere anche catalogato come fantascienza. E la cosa un po' mi infastidisce. Non so perché.ª
** Devo ammettere che, essendo decisamente prevenuto, me ne aspettavo tantissima.
*** Non è un gioco di parole scemo. È proprio l'aggettivo giusto.

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ª Invece lo so. Snobismo, trattasi di puro e semplice snobismo.

domenica 16 dicembre 2012

Imparare il francese

Vi avevo parlato tempo fa (qui, qui e anche qui) di B., la bellissima, simpaticissima e 4-enne figlia di amici.

Ieri sera eravamo, io ed L., a cena da loro. Quando i suoi genitori hanno detto: "B., adesso si va a nanna!" lei è andata da L., l'ha presa per mano e mentre la trascinava verso la sua cameretta le ha detto: "L.! Vieni a leggermi il mio libro?" e poi si è girata verso di me, mi ha indicato col suo ditino, sguardo da furbetta e capelli rossi, e ha detto:
"Perché l'altra volta ho provato con lui ma non è capace!"
Ecco.

Dite che  è il caso che impari finalmente un po' di francese?

mercoledì 12 dicembre 2012

Zucchero

Stamattina sono passato davanti a una panetteria. Ho buttato l'occhio sul ripiano delle paste e c'erano, schierati in assetto da guerra, un sacco di Canelé che mi guardavano, ammiccanti. Ora, io con i Canelé ho un problema: mi piacciono troppo (e ve ne ho anche già parlato qui). Me ne mangerei una dozzina anche adesso, per dire. Però stamattina ho fatto il virtuoso e ho detto: basta dolci e schifezze! D'ora in poi vita sana! Alimentazione equilibrata! Eccetera! Quindi non mi son curato di loro, ho guardato, e son passato.

Però ci penso ancora. Così belli. Grossi. Luccicanti. Chissà che buoni.

Sì, ci penso ancora.

Spessissimo.

sabato 8 dicembre 2012

Aiuto

[Attenzione. Questo post è un po' nerd.]

È sulla bocca di tutti. Berlusconi si è candidato.

Cerchiamo di mantenere la calma* e ragionare un attimo.

Sul sito www.sondaggipoliticoelettorali.it ho trovato un sondaggio sulle intenzioni di voto. Il sondaggio è stato effettuato tra il 3 e il 5 dicembre, quindi prima che Silvione annunciasse il suo ritorno.

La prima domanda chiedeva semplicemente: chi votereste? E le risposte davano il PD al 30.3% (dei votanti), Beppe Grillo al 19.7%**, e il PDL al 13.8%. A seguire tutti gli altri. Da tener conto, però, che il 43% degli intervistati ha dichiarato di essere indeciso o di astenersi (nel 2008 la percentuale di astensionismo era circa al 20%). Ora facciamo il giochino di convertire le percentuali in questo modo. Se il 30.3% dei votanti vota PD, e solo il 57% degli aventi diritto vota (100% - 43% = 57%) allora la percentuale di aventi diritto che vota PD è: 30.3% x 57% = 17%. Se convertiamo così tutte le percentuai troviamo:

PD -> 17%
Grillo -> 11%
PDL -> 8%

Prima considerazione: il sostegno vero ai principali partiti politici, quello calcolato su tutta la popolazione e non sui votanti che sanno già per chi votare, è a percentuali decisamente imbarazzanti. Quasi la metà degli aventi diritto non sa per chi cazzo votare.
 
Bene. Adesso lasciate stare la seconda e la terza domanda del sondaggio e saltate direttamente alla quarta. Che dice: Silvione sta facendo capire che potrebbe candidarsi. Secondo voi fa bene o male? Le risposte di tutto il campione sono: fa bene 18%, fa male 73%. Se invece ci limitiamo agli elettori del PDL: fa bene 67%, fa male 23%. La percentuale restante è quella dei "non lo so".

Ora assumiamo che tutti gli ex elettori PDL che sostengono che Silvione faccia bene a ridiscendere in campo lo rivotino. Facciamo due conti. Alle elezioni del 2008 il PDL aveva preso (alla camera) circa il 37.4%. Se consideriamo il 20% di astenuti e convertiamo questa percentuale come fatto sopra, si ottiene un sostegno vero pari al 30%. Tre italiani (aventi diritto) su 10 hanno votato per Silvione***.
 Se il 67% di questi lo rivota, otteniamo, circa, 67% x 30% = 20%. Cioè se tutti andassero a votare Silvione prenderebbe il 20%, ovvero, un italiano su cinque ancora lo voterebbe****. Se, come è successo nel 2008, andranno a votare l'80% degli aventi diritto allora Silvione risulterà avere il 25%.

Quindi 'sto cazzo***** che è morto politicamente.

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* AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!
** ...........
*** ......................
**** .....................................................................
***** Scusate il francese.

mercoledì 5 dicembre 2012

Già...

Ho appena letto su Repubblica la seguente notizia:
ROMA - Poche ore dopo un vertice finito male, Silvio Berlusconi ritorna a parlare. E fa chiaramente capire che è pronto a ricandidarsi: "Me lo chiedono in molti, il paese è sull'orlo del baratro".
 Sì, Silvio, hai proprio ragione. Solo un attento osservatore dell'animo umano come te* poteva capirlo. Se in tanti ti chiedono di tornare vuol dire che il nostro è (o meglio: continua ad essere) davvero un paese sull'orlo del baratro.

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* Nonché un grande statista.

lunedì 3 dicembre 2012

Una nuova era

Il titolo di questo post è chiaramente ironico.

Bersani vince le primarie. Renzi, cosa poco comune in Italia, ammette pubblicamente la sconfitta, ma il sospetto che lo faccia solo per esibizionismo è fortissimo. Non ho letto le dichiarazioni a caldo di Vendola, ma tanto non le avrei capite. Completamente scomparsi dai radar Puppato e Tabacci.

Illuminante è stato per me il post di Don Zauker nel quale si è fatto notare che i due euro che ogni votante ha dovuto sborsare per poter votare, se moltiplicati per il numero di votanti (3110210), fanno più di 6 milioni e duecentomila euri.

Spinto dalla curiosità sono andato a controllare cosa ne sarà, di questi soldi. Sul sito delle primarie si dice che i soldi verranno utilizzati per coprire le spese di organizzazione delle primarie stesse, e l'eventuale avanzo verrà usato per la campagna elettorale delle elezioni politiche. Bene. Spinto da ulteriore curiosità sono andato a controllare quanti soldi avesse ricevuto il Piddì alle ultime elezioni come "rimborso elettorale" (che, a giudicare dal nome, son soldi che il partito dovrebbe usare/aver usato per la campagna elettorale per le elezioni politiche...). Wikipedia dice che tale somma ammonta a più di 180 milioni di euri.

Quindi secondo me ci stanno pigliando per il culo.

Invidio molto chi riesce ancora a entusiasmarsi per la politica in Italia. E questa frase, davvero, non è ironica.


mercoledì 28 novembre 2012

Muri parlanti

Graffiti letti su un muro nei pressi della COOP Lame di Via Marco Polo, Bologna.
"Cosa guardi? Compra!!!"
"L'umanità ha più fantasie sessuali che capacità."

Stasera torno a Parigi. Ciao ciao Bologna...

martedì 27 novembre 2012

Bologna

E poi uno si ritrova tante vite fa. In un ristorantino abruzzese in Via Pietralata. E dopo gli arrosticini e le patate arrosto e la centerba si rotola in Via del Pratello per farsi due birre. E c'è Zap a un tavolo che disegna fumetti, e c'è la Contessa che beve al bancone, volgare e dolcissima. E l'amico di sempre C., e l'altro amico di quasi sempre M., e si beve e si parla e si ride. Si ride.

Poi si torna in albergo. E sulla porta si dice cazzo, si dice, cazzo, M., dobbiamo vederci più spesso, non facciamo passare tutti questi anni un'altra volta. Dobbiamo vederci più spesso. Sì, sì, a presto, a prestissimo, sì promesso. Promesso. A presto. Prestissimo. Promesso.

E poi c'è la stanza di albergo e L. dorme già, lassù nei paesi bassi, e quindi non c'è l'occhietto verde su skype di fianco al suo nome, perché L. dorme, dorme e forse sogna e allora non si può fare altro che ricopiare una per una sulla finestrella della chat che non risponderà le righe di quella canzone, quella canzone, quella canzone che diceva buonanotte. Diceva buonanotte fiorellino. Buonanotte. Perché il granturco nei campi è maturo. E io ho tanto bisogno di te.

La coperta è gelata, e l'estate è finita.

Buonanotte.

Questa notte.

È per te.


mercoledì 21 novembre 2012

Ciao

Ricordo ancora il giorno in cui pensai, per un istante, che la rivoluzione proletaria avesse portato il comunismo al potere.

Ero a Venezia, e all'aeroporto la signorina al banco delle informazioni mi aveva detto che il modo più facile per arrivare al mio hotel, a Rialto, era prendere il vaporetto. C'era il sole, e sul ponte del vaporetto la gente guardava Venezia. Poi una svolta nel Canal Grande e ci ritroviamo circondati da bandieroni rossi con tanto di falce e martello. Bandieroni che garrivano al vento con dietro il cielo blu. Ce n'erano dappertutto, lungo entrambi i lati del canale. Rossi.

Ricordo che mi guardai attorno, eccitato, e mi stupii di non riscontrare alcuna reazione sui volti dei miei compagni di vaporetto. Nulla. Possibile che il comunismo avesse raggiunto il potere nelle poche ore in cui ero in aereo, isolato dal mondo, e che quelle poche ore fossero bastate ad assuefare la gente al nuovo ordine da così poco costituito? Il vaporetto accostò proprio in mezzo a quel tripudio marxista, e fu per me un po' deludente leggere su un enorme striscione: "Festa di Liberazione", e capire che lì non si stesse affatto cambiando il mondo con la rivoluzione, ma più che altro si stesse cucinando salsiccia. In gran quantità.

In quel periodo vedevo una psicoterapeuta. Nel senso che ero in cura da, non uscivo con, una psicoterapeuta. Il mio problema era legato alla gente*. Una irrazionale claustrofobia accessoriata da mal di stomaco in situazioni affollate e senza via di uscita. Frau B., un sorridente donnone teutonico, nonché mia psicoterapeuta, si era messa in testa che io non parlassi abbastanza con la gente. "Devi parlare con la gente! Vai in un bar e parla a uno sconosciuto!" mi ripeteva.

Però non è per niente facile parlare a uno sconosciuto mentre dentro al tuo cervello c'è una voce, martellante, che grida: "Devi parlare a uno sconosciuto devi parlare a uno sconosciuto devi parlare a uno sconosciuto devi ecc ecc ecc". La difficoltà per me non era tanto parlare a uno sconosciuto, credo, ma era il farlo perché dovevo farlo. Perché sentivo di doverlo fare. Perché qualcun'altro mi aveva detto di farlo ed ora aspettava una risposta da me. Aspettava che gli dimostrassi qualcosa**. E la situazione, quella sera stessa, alla Festa di Liberazione, era proprio quella. Avevo mangiato la mia bella salsiccia leninista, e me ne stavo in mezzo alla gente, odiandola tutta, con in mano il mio bicchierone di plastica con dentro birra. Studiavo con disprezzo i possibili target, ma non sapevo decidermi. Mi sentivo un cretino e mi sembrava non avesse alcun senso mettersi a parlare a caso con qualcuno solo per dimostrare a una tedesca cicciona e con una pettinatura improbabile*** che ero capace di farlo.

Insomma, a un certo punto lasciai perdere. La smisi di cercare target per i miei approcci. Ero lì, in mezzo alla gente, a far finta di guardare il palco dove dei luridi e puzzolenti fricchettoni**** picchiavano sui loro lerci bonghi. Guardavo fisso di fronte a me. Sguardo torvo. Bicchiere di plastica con dentro birra tenuto rabbiosamente in mano. Eccetera.

E fu proprio a quel punto che sentii, vicino al mio orecchio sinistro, un "ciao!". Mi giro e trovo una ragazza, bionda, avrà avuto qualche anno in più di me. Anche lei tiene in mano un bicchiere di plastica proletario con dentro birra. È un po' sciupata e decisamente un po' brilla.

Non ricordo nemmeno di cosa parlammo, a parte Napoli, dove lei aveva vissuto, amandola e odiandola.

Poi tornai al mio hotel, riconciliato con tutti, Frau B., gente, marxisti, leninisti e persino fricchettoni, e mi addormentai subito.

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* Sì, è anche colpa tua!
** Chiaramente erano tutte seghe mentali. Frau B. dormiva sonni molto tranquilli e non aspettava alcuna risposta da me e men che meno voleva le dimostrassi qualcosa.
*** In realtà provo tanto affetto per Frau B., davvero.
**** Non ho nulla nemmeno contro i fricchettoni. Ma in quel momento sarei riuscito a irritare anche il Dalai Lama.

mercoledì 14 novembre 2012

Books I read 11 - The apprenticeship of Duddy Kravitz, Mordecai Richler

The apprenticeship of Duddy Kravitz inizia così:
What with his wife so ill these past few weeks and the prospect of three more days of teaching before the weekend break, Mr MacPherson felt unusually glum.
ed è un libro di 328 pagine di Mordecai Richler.

Nonostante questo sia solamente il suo terzo libro che leggo, Richler è già uno dei miei autori preferiti. Ben due dei suoi libri (La versione di Barney e Solomon Gursky è stato qui) riposano meritatamente nello scaffale dei libri essenziali che sta sopra al caminetto di casa mia, e che potete ammirare qui sotto*.

Il punto è che a me piacciono le storie, le belle storie raccontate bene, e Richler, in questo, è un gigante. Come per tutti i suoi libri (o perlomeno tutti quelli che ho letto fino ad ora) i protagonisti del romanzo fanno parte della comunità ebraica canadese. Quella di Montreal, per l'esattezza, raccolta nei dintorni di St. Urbain Street.

Duddy è un ragazzetto vispo e sfrontato. È orfano di madre, suo padre Max fa il tassista e il fratello, Lennie, studia all'università ed è la speranza di riscatto di una famiglia umile e semplice. Duddy cresce ascoltando il suo vecchio nonno, Simcha Kravitz, ripetere continuamente: "A man without land is nobody".

E il libro è la altalenante, rocambolesca e spericolata corsa di Duddy verso la ricchezza che gli consentirà di comprarsi la terra e poter così smettere di essere nobody. Pagine letteralmente esilaranti si alternano ad altre piene di lucida tristezza, e il tutto si mescola trascinato dal ritmo forsennato del narrare.

Un libro bellissimo.

Duddy ricomparirà, molti anni dopo, nell'ultimo romanzo di Richler, La versione di Barney, in un ammiccante, geniale cameo.




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* Sono pochi gli autori che possono vantare di avere più di un loro libro sullo scaffale dei libri essenziali di Manoel O. Dias. Per l'esattezza, sullo scaffale ci sono due libri di Fante, Franzen, Richler e Vonnegut, e ben tre libri di Calvino e Salinger.

giovedì 8 novembre 2012

Indipendentismi a confronto

Si parla molto di indipendenza e indipendenze in Spagna in questo periodo. Siccome mi trovo, per l'appunto, sul campo di battaglia*, ho deciso di sfruttare questo punto di osservazione privilegiato per apportare il mio umile contributo alla discussione, basato su esperienza diretta e informazioni di primissima mano.

È ufficiale. Dopo essere stato un milione di volte a Santiago de Compostela (Galizia) e un milione di volte a Barcelona (Catalogna) posso concludere che, al di là di ogni dubbio, in Galizia si mangia molto meglio che in Catalogna. Nettamente meglio. E costa anche molto meno.

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* Sono a Barcelona.

lunedì 5 novembre 2012

Punti di vista (confessione)

Per un motivo o l'altro, viaggio molto. La cosa a volte mi stressa un po'*, ma mi piace parecchio. Devo anche ammettere** che il fatto di vedere tanti posti mi fa sentire un po' speciale. Mi sento fico e, a tratti, forse addirittura me la tiro***.

Poi basta un pranzo con A. (la stessa del post precedente), che ha fatto per ben due volte la traversata dell'oceano atlantico in barca a vela (da destra a sinistra, e da sinistra a destra, rispettivamente), e la mia vita torna ad essere quello che è.


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* Ah ah ah ah ah! (Eufemismo)ª.
** Grazie alla immensa onestà intellettualeªª che mi contraddistingue.
*** Ma con grande gusto ed eleganza. Aristocraticamente.

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ª Manoel vi insegna le figure retoriche. Pazzesco.
ªª Resto comunque pur sempre una persona molto umileº.

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º Anche troppo umile, talvolta.

venerdì 2 novembre 2012

Primo!

Allora, c'è questo baretto giapponese a Barcelona che ha appena aperto, ma proprio appena aperto. Mi ci ha portato la mia amica A. (la stessa che comparve mesi e mesi fa qui), che vive per l'appunto a Barcelona.

Eccolo.

È un posto molto carino, una sala da te con qualche tapas giapponese (sic!) molto gustosa, più una selezione di birre giappe (Asahi, Kirin e Sapporo), Sake, Whiskey and so on. Ed è anche, allo stesso tempo, uno studio fotografico, quindi se volete potete anche comprarvi delle foto (non economicissime, ma alcune sono molto belle)*.

Ho ordinato i Gyoza al vapore e li ho divorati famelico.

Quando la proprietaria è venuta a riprendersi il piatto mi ha chiesto: "Erano buoni?". Io ho sollevato il pollice, le ho strizzato l'occhio e ho detto: "Molto buoni!".

"Sai, abbiamo appena aperto, e sei il primo che li ha mangiati!"

Ebbene sì.

Sono stato il primo al mondo a mangiarli.

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* Sono veramente un uomo di curtura. Avete visto che posti frequento?

giovedì 1 novembre 2012

Carnet de voyage

Avete mai notato che le bustine di zucchero che vi danno nei bar spagnoli sono le bustine di zucchero più grandi del mondo?

C'è forse carenza di affetto nella penisola iberica?

È forse un modo per compensare tale carenza?

Il mistero resta irrisolto.


[Sì, sono in Spagna.]

giovedì 25 ottobre 2012

Books I read 10 - Solar, Ian McEwan

Solar inizia così:
He belonged to that class of men - vaguely unprepossessing, often bald, short, fat, clever - who were unaccountably attractive to certain beautiful women.
ed è un libro molto divertente di 283 pagine.

Il protagonista del libro, Michael Beard, di lavoro fa il fisico teorico ed ha vinto un premio Nobel per la fisica. È quindi famoso, strapieno di onorificenze accademiche, membro di mille comitati di consulenza, perennemente in viaggio per partecipare a congressi a cui è stato invitato, eccetera eccetera.

Però, Michael Beard è frustrato e insoddisfatto, perché dopo aver pubblicato il lavoro che gli è valso il premio Nobel, non ha più combinato nulla. Non ha più avuto nessuna idea valida, non ha più avuto alcuno slancio creativo. Niente. Niente di niente.

Inoltre, Beard è un tipo trasandato e sregolato, con alle spalle un numero di matrimoni che sono naufragati tra tradimenti e negligenze. Non è chiaro che cosa voglia fare della sua vita, non è soddisfatto, è una persona decisamente meschina e dalla dubbia moralità. Ma nonostante tutto non riesce proprio ad essere antipatico.

Tutto cambia quando, a seguito di una serie di eventi fortuiti che si incastrano uno via l'altro, Beard torna fortunosamente alla ribalta. E gran parte del libro descrive la nuova ascesa di Mister Beard.

[E tra parentesi aggiungo che, essendo tecnicamente un collega di Beard*, sono rimasto molto colpito dall'esattezza e precisione quasi chirurgica con cui McEwan ha saputo rappresentare il mondo accademico, con tutte le sue frustrazioni, invidie, egocentrismi (il Beard post-Nobel), ma anche con la candida, curiosa, entusiastica passione per ciò che non capiamo (Aldous, il giovane post-doc che provocherà la svolta nella vita di Beard).]

Il finale della storia, va detto, è un precipitando geniale.

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* No, non ho ancora vinto il Nobel. Per quello dovete aspettare ancora un po'.

mercoledì 24 ottobre 2012

Se mi manchi io cago

Come ben sapete, L. è partita per i Paesi Bassi e mi ha lasciato la sua gatta U., che i più fedeli lettori di questo B.L.O.G. già conoscono.

Come ben sapete, viaggio molto, e quindi U. viene spesso lasciata alle amorevoli cure della vicina di casa, C. (che Dio la benedica).

Nonostante C. sia bravissima e non si limiti a nutrire U., ma cerchi anche di intrattenerla con mille giocattolini (ha riempito la casa di topini di gomma che fanno SQUEAK!!! se qualcuno, inavvertitamente, li pesta) a U. non piace per niente essere lasciata da sola.

Inoltre, come ben sapete, io piaccio molto alle donne.

E U. è una donna.

Quindi se la lascio sola lei soffre e, al mio ritorno, caga. Fuori dalla lettiera. Sul parquet.

La troia.

[...]

La cacca come segno di amore: l'ultima frontiera di questo terzo, malandato, millennio.

martedì 23 ottobre 2012

Due cose, anzi tre

PRIMA COSA

Ritornato dopo un weekend bellissimo a Dublin.

L. è nei Paesi Bassi, io a Parigi. Ho dormito sessanta ore e ho ancora sonno. Una lista infinita di cose da fare al lavoro ma sono ancora tenacemente a letto (buuu! buuu! buuuu! vergogna!). Montagne arretrate di mail a cui rispondere, di viaggi da organizzare (AAA segretaria cercasi), di post da scrivere e da leggere.

In altre parole: aiuto.

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SECONDA COSA

Allora, questo blog solitamente viaggia sui 20 accessi al giorno, mentre il 19 ottobre ha avuto un record pazzesco di 104 (cento-e-quattro) accessi. Tutti dall'Italia.

Chi è stato?

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TERZA COSA

Non aggiorno il blogroll da secoli. Ho cercato un po' ma non so decidermi. Avere qualche blog frivolo da consigliare?

lunedì 22 ottobre 2012

Tutta colpa di L.

Guinness, Smithwick's, Oscar Wilde steso a Merrione Square, St. Stephen Green, Books Upstairs, la sfera dentro a una sfera dentro al Trinity College, The Winding Stair up- and down-stairs, la pizza di Ciao Bella Roma e gli spritz di Taste of Emilia, please respect the musicians at The Cobblestone, Sunday @noon e Francis Bacon, Iveagh Gardens, casa mia, the U2 studios tutti pieni di graffiti, the Ha'penny Bridge, le ostriche ai mercatini di Temple Bar, i ricordi di fronte a dove fu Gruel eccetera eccetera eccetera.

venerdì 19 ottobre 2012

--PAUSE--

Sono in una pausa di una quindicina di ore tra la quarta città dove ho vissuto e la quinta città dove ho vissuto nella mia lunga e avventurosa vita.

La pausa è la città dove vive L., una città nei Paesi Bassi.

Tra poche ore un aereo bianco-e-verde ci porterà su un isola verde-verde-verde dove piove sempre. Sopra alle case di mattoni, sopra ai leprechauns tristi*, sopra alle insegne dei pub, sopra tutto quanto.

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* Sì, sotto sotto sono tristi. Lo so.

giovedì 18 ottobre 2012

La mia vita in un mese

Ho vissuto in sei città diverse. Tre in Italia, una in Germania, una in Irlanda e una in Francia*.

E mi sono appena accorto** che in questo mese abbondante, a cavallo tra ottobre e novembre, passerò del tempo in cinque di queste città. Tutte tranne una!

Pazzesco.

Sarà come fare un riassunto di una vita.

Sarà una botta al core.

Sono partito stamattina da Parigi, e stasera ero in una pizzeria Teutonica con F., che è stato il mio capo per cinque anni. Ha compiuto 60 anni tondi tondi, F., e io gli ho portato una bottiglia di Champagne. Perché se la merita.

Sono solo alla prima tappa e già sono commosso.

Sarà un mese lunghissimo.

Lunghissimo.

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* E sì, ne sono abbastanza orgoglioso.
** Non ci avevo davvero fatto caso.

martedì 16 ottobre 2012

Buoni propositi

Da un po' di anni, dopo l'estate, con l'arrivo dell'autunno, penso ai buoni propositi per l'anno che verrà. I propositi vengono scritti, pensati, riscritti, ripensati, ed arrivano a una stesura definitiva il 31 di dicembre. Lo stesso giorno, rileggo i propositi scritti un anno prima e ne traggo le dovute conseguenze.

I propositi sono 10.

Non devono essere necessariamente delle cose importanti. Anzi. Spesso sono stupidaggini.

Per esempio, uno dei propositi per il 2010 (il primo anno per cui li ho scritti) era: "Lavarsi le mani spesso". Mi ero appena trasferito a Parigi, e mi ero preso per ben due volte in tre mesi una bella gastroenterite, che è quello che ti meriti se non ti lavi le mani ogni volta che entri nel metrò.

Nel 2011, invece, c'erano anche cose forti, del tipo: "Accoppiarsi".

Per il 2012, invece, i propositi più simpatici erano: "Svegliarsi un po' prima la mattina" e "Diventare Silver member di Air France".

Entrambi falliti.

Ma l'anno prossimo ci riprovo.

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P.S. Per i curiosi, nel 2010 ho totalizzato un punteggio di 5/10, nel 2011 4/10, nel 2012, per il momento, siamo a 3/10. Dal che se ne deduce che invecchiando peggioro.

domenica 14 ottobre 2012

Haute cuisine

Allora, ogni tanto io e L. facciamo gli sboroni* e andiamo a mangiare in ristoranti costosi. Ci piace mangiare bene, e quindi ogni tanto buttiamo via i soldi così.

Bene.

Ieri sera eravamo nei Paesi Bassi, nazione rinomata per la lunga e gloriosa tradizione culinaria**. Dopo aver pranzato in stile Dutch con un tristo tramezzino, presi dallo sconforto decidiamo di puntare, per la cena,  uno dei ristoranti più costosi del centro.

Insomma, uno di quei posti dove se chiedi al cameriere un consiglio su una bottiglia di vino da accompagnare al tuo piatto lui ti dice: "Attenda un attimo, Mister, Le mando l'espetro di vini" e ti si presenta un ragazzino effemminato che, con boccuccia a culo di gallina e mani giunte ti descrive ad uno ad uno, e con dovizia di aggettivi, tutti i vini che farebbero una porca figura se bevuti con quello che stai per mangiarti.

Ecco.

Di fianco a noi c'era un tavolo con due olandesoni che, per gridare al mondo la loro olandesità, hanno ordinato a fine pasto un bel cappuccino. Non paghi di aver assassinato in questo modo barbaro la loro costosissima cena, si son fatti mandare al tavolo il grande esperto di vini.

E vi giuro che non è stato per niente banale, né per me né per L., non scoppiare a ridere quando questi hanno chiesto al ragazzetto effemminato di consigliargli una buona grappa da accompagnare... al cappuccino!

Crsito! Al cappuccino!

Non so cosa cazzo gli abbia risposto il ragazzino effemminato, ma di certo non avrei voluto essere nei suoi panni in quel momento.

Comunque, noi a quel punto ce ne siamo andati decidendo di non tornare mai più.

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* Sì, sono romagnolo, e allora? :-P
** Crocchette e patate fritte. E poco altro.

mercoledì 10 ottobre 2012

Maledetti animali

Sono appena tornato a casa dal lavoro e la gatta, U., ha cagato ovunque tranne che nella sua cazzo di lettiera.

Maledetti animali.

Maledetti!

martedì 9 ottobre 2012

Manoel è un uomo molto affascinante e ora può dimostrarvelo

La casa che L. ha trovato nei Paesi Bassi è al momento sprovvista di internet e di domenica non è facile trovare un internet café aperto che mi permetta di stampare il biglietto del treno.

Il biglietto del treno mi serve per il lunedì. Mattina. Prestissimo. Perché ritorno a Parigi.

Esco ed entro in un bar con internet, ma non stampano, né sanno indicarmi dove trovare un internet point aperto di domenica.

Mi dirigo verso la stazione ferroviaria che, bizzarramente, si trova all'interno di un mall enorme. I negozi sono quasi tutti aperti, ma non trovo un internet point. C'è però un rivenditore di computer. Entro, pensando: forse loro sanno qualcosa.

Dentro c'è tanta gente e una signorina (bionda) in divisa mi si avvicina sorridendo. Le spiego il mio problema, cerco un internet point per stampare il biglietto del treno. Lei sorride e dice che se ho con me il file, o se posso recuperarlo su internet lo posso stampare lì. Perfetto, penso. La seguo fino a un computer, mi collego a gmail, scarico il biglietto e lei lo stampa. Me lo dà sorridendo: "Here it is!". Quanto costa?, chiedo io. "Nothing! Have a nice day!".

Non è fascino questo?

Ma c'è di più.

Vado a fare la spesa al supermercato vicino a casa. Per inaugurare la nuova casa di L. decido di comprare una bottiglia di chianti. Alla cassa una signorina (bruna) mi chiede se ho la tessera fedeltà del supermercato, perché il chianti è scontato solo in quel caso. No, non ho la tessera. Lei sorride, dice "no problem", tira fuori una tessera, la passa sullo scanner e mi sconta il chianti.

Non è forse fascino, questo?*

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* Per gli scettici. La settimana prima, sempre nei paesi bassi, ero alla ricerca di un internet point ove stampare un biglietto del treno (un altro, sono uno che viaggia parecchio). Il tizio (maschio) mi ha fatto pagare una stampa un euro e mezzo! Questo prezzo, chiaramente truffaldino, è spiegabile in un solo modo. Vedendomi così pieno di fascino, ed essendone lui totalmente sprovvisto, il tizio ha deciso di vendicarsi. Poveretto.

lunedì 8 ottobre 2012

Chi l'avrebbe mai detto

Cari tutti,

l'otto ottobre (ottottobre!) duemilaeundici, esattamente un anno fa, Manoel Octavio Dias scriveva il primo post di questo B.L.O.G., dall'intrigante titolo Essere stronzo oggi*.

Se volete il mio onesto parere: non l'avrei mai detto, che avrei scritto per un anno. Davvero. Non l'avrei mai detto. Quindi, lasciate che mi complimenti calorosamente con me stesso. Sono stato bravo. Bravissimo.

E adesso vi beccate pure le statistiche.

In questi 367 giorni**:

  • Manoel ha postato 162 volte (inclusa questa), il che corrisponde a un rate di un post ogni due giorni, 6 ore, 22 minuti e 13 secondi. Non c'è che dire, son numeri di tutto rispetto***;
  • il B.L.O.G. è stato letto 7192 volte (un accesso ogni ora, 13 minuti e 29 secondi);
  • commentato 360 volte (quasi una al giorno);
  • e "seguito" (nel senso dei followers) 25 volte.
  • Inoltre, Manoel ha recensito 9 libri (ma è rimasto indietro di un paio di recensioni), 10 aeroporti, qualche fumetto,
  • ed ha iniziato a redigere le sue memorie, in una serie a puntate intitolata Vita di M..
  • Manoel ha mantenuto il segreto sulla sua vera identità, ma in una occasione (solo una!) è stato smascherato.
  • Per finire, vi segnalo il post più letto, e vi consiglio però di rileggere anche il secondo post più letto.
  • Il post più commentato, se proprio volete saperlo, è questo qui.
Ho anche aperto una pagina feisbúc che è stata sommamente ignorata. Zero likes. Zero accessi. Zero tutto. Insomma, un trionfo.


L'obiettivo è arrivare a 10000 (diecimila) accessi entro la fine dell'anno.

Riuscirà Manoel a raggiungere i 10000 (diecimila) accessi prima della fine dell'anno?

__________

* Gran bel postª. Leggetelo.
** Un anno è fatto di 365 giorni, ma quest'anno è stato bisestile, e poi se si conta dall'otto ottobre all'otto ottobre va aggiunto un giorno in più, che sarebbe oggi. Il che fa 367.
*** Vero?

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ª Come tutti i post di questo blog, d'altra parte.

venerdì 5 ottobre 2012

Update

Brevissimo update.

Habemus casam! (E molto fica anche, lungo il canale).

Ma non abbiamo ritrovato nulla.

Cazzo.

[Aspettatevi a breve una serie di post celebrativi perché: (i) Manoel ha compiuto gli anni, e (ii) pure questo B.L.O.G. ha compiuto gli anni.]

martedì 2 ottobre 2012

Mondo di Merda

Nel weekend il nostro soggiorno olandese è stato interrotto da una gita in Belgio, a Bruxelles, causa matrimonio di una mia cara e vecchia amica.

Weekend strepitoso.

Poi torniamo a Amsterdam e furbamente lasciamo sul tram numero 9 una tracolla con dentro il laptop (quasi nuovo, un macbook pro 15'') di L., il suo passaporto, l'ipod, documenti riguardanti i suoi conti bancari e amenità varie.

Ci accorgiamo dell'accaduto poco dopo essere arrivati in albergo (ce l'hai tu il mio laptop? no ce l'hai tu! io? no, tu! come? oh cazzo cazzo cazzo cazzo).

Torniamo alla fermata del tram. Non sappiamo cosa fare. Aspettiamo il tram numero 9 e spieghiamo il tutto all'autista, che però, puttanazza miseria, parla malissimo inglese*. Fortunatamente sapevamo esattamente identificare il nostro tram (era partito da Amsterdam Centraal alle 20.14). Lo dico all'autista, che però non capisce bene, ma ci dice di salire con lui e ci fa scendere a una fermata dicendo: attraversate la strada e prendete il prossimo tram 9 nella direzione opposta. Dovrebbe essere quello giusto.

Lo facciamo, ma non e' il nostro tram. L'autista questa volta parla inglese ed è molto dispiaciuto per noi e controlla gli orari e ci fa scendere a una fermata dicendo che secondo lui uno dei prossimi 2 tram numero 9 che passeranno nella direzione opposta sarà il nostro.

Attraversiamo la strada e saliamo sul primo tram. Non è quello, ma l'autista (gentilissimo) ci conferma che il prossimo tram è il nostro. 20.14 Amsterdam Centraal. Deve essere lui.

Quindi aspettiamo. Saliamo ed è il nostro! Riconosco il bigliettaio dentro al suo gabbiotto. È lui. Io salgo in testa e spiego all'autista: "I left my laptop on the tram". E lui, immediatamente, risponde: "Not this one!". E come minchia lo sai, brutto testa di cazzo e figlio di troia, che non lo abbiamo lasciato sul tuo cazzo di tram? L. entra nel vagone di mezzo e chiede al bigliettaio che le risponde come l'autista. Notare prego che il laptop lo avevamo lasciato di fronte al suo gabbiotto. Poi iniziano a dirci che devono ripartire e che dobbiamo o scendere o restare a bordo, perché stiamo bloccando il tram. Io sbircio dentro al gabbiotto dell'autista e non vedo nulla. Non riusciamo a guardare dentro a quello del bigliettaio. Sia l'autista che il bigliettaio sono parecchio sgradevoli. Io chiedo all'autista, pur essendone sicurissimo: "Was this tram leaving Amsterdam Centraal at 20.14?" and he said: "I don't know. I cannot tell you". Brutto figlio di troia spero che tu muoia di morte lenta e dolorosa io lo so che questo è il tram giusto lo so perché ho riconosciuto quel figlioditroia del tuo collega.

A questo punto probabilmente facciamo un errore, perché scendiamo dal tram e chiamiamo la polizia. Che ci dice di fare una denuncia l'indomani. A questo punto siamo vicinissimi al capolinea, quindi ci basta attraversare la strada e riprendere il tram del figlio di troia nell'altra direzione. Il tram arriva e passa la fermata senza fermarsi. Panico. Saliamo sul tram 9 successivo**. Spiego all'autista che ci siamo dimenticati il laptop sul tram di fronte al suo e gli chiedo se puo' confermarmi che quello è il tram che è passato da Centraal alle 20.14. Gli chiedo perché il tram precedente non si sia fermato e lui dice che è perché ha finito il turno e va al deposito. Ci dice dov'è il deposito, vicino a Amstel Station.

Scendiamo dal tram per prendere il bus per Amstel ma vedo una macchina della polizia. La fermo e spiego tutto. Loro ci caricano e ci portano al deposito dei tram. Il poliziotto parla col tipo dell'ufficio al deposito. Fa una telefonata e ci dice che qualcuno avrebbe controllato il tram e richiamato. Dopo qualche minuto arriva la chiamata e sul tram, ovviamente, non c'è niente.

A quel punto spiego a lui e al poliziotto che l'autista del tram 9 è una enorme testa di cazzo e che si è rifiutato di dirmi se quello fosse il tram delle 20.14. L'autista si beccherà un warning con il quale si pulirà allegramente il culo. Eccellente.

La serata è proseguita alla centrale di polizia per denunciare il tutto, e alle 4 di mattina eravamo a letto.

Dubito fortemente che rivedremo mai laptop, passaporto ecc... Ma vi terrò informati in caso succeda qualcosa.

Comunque bisognerebbe cercare di capire perché siamo in un mondo così lontano da quello ideale.

Magari prima o poi ci scrivo un post, su questa cosa qui...

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* Sì, siamo incappati nell'unico abitante di Amsterdam che non parla inglese, cazzo.
** Questo è il primo inseguimento della storia fatto in tram...

giovedì 27 settembre 2012

(L'Olanda) Non è un paese per vecchi

L., dopo una settimana di ricerche casa infruttuose ha trovato un appartamento carino a un prezzo folle (gli affitti sono cari come a Parigi in questa cazzo di cittadina olandese*!). Da brava italiana sgamata ha tirato sul prezzo di una cinquantina di euri. La signorina dell'agenzia le ha detto si, si, guardi, ora sento il landlord e le faccio sapere. Nessuna notizia per tutto il giorno. Poi l'ha chiamata alle 5 (orario di chiusura di TUTTO qui in Olanda) per dirle che avevano affittato ad altri**.

Cazzo. Qua non si scherza. 

L'Olanda non è un paese per vecchi.

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* Sì, cittadina, non è Amsterdam.
** Che grandissima puttana. E scusate il francese.

martedì 25 settembre 2012

Sti gran cazzi

Vi scrivo fulmineo dai paesi bassi.

Oggi su repubblica online c'era un servizio fotografico intitolato "Berlusconi, i tempi cambiano: da Milano a Roma in treno". Seguono foto di Silvio più bodyguards alla stazione Termini.

Ma un bel "Sti cazzi!" glie lo vogliamo mettere?

Cosa ultra-cazzo ce ne dovrebbe fregare di come si muove Silvio su e giù per l'Italia?

E cosa cazzo mi dovrebbe significare la frase "I tempi cambiano"?

Perché in Italia non esistono praticamente più giornalisti seri?

[Attendo commenti del tipo: Manoel, pensaci tu! Scendi in campo! Eccetera.]

Dai, poi appena trovo un attimo vi racconto le mie ultime avventure con la polizia francese.

domenica 23 settembre 2012

Il senso della vita

Sono stremato.

Vi scrivo dal mio amato pouf. Semiaccasciato.

Giornate frenetiche.

È questo che, tutto sommato, giustifica il diradarsi dei post.

Il fatto è che L., dopo qualche mese a Parigi, se ne va. Ha trovato lavoro nei paesi bassi.

Domani partiamo (la accompagno per le prime due settimane), e gli ultimi giorni parigini sono stati dedicati ai saluti di parenti e amici parigini.

Essendo entrambi buone forchette, i saluti sono stati tutti esclusivamente mangerecci.

Segue breve riassunto dei nostri ultimi pasti, così capirete perché ho esordito con un lapidario "Sono stremato".

  • Weekend scorso: fiera del vino e del formaggio in un paesello fuori Parigi. Il che significa che tutte (tutte) le nostre cene fino a mercoledì sono state a base di formaggio e vino rosso.
  • Cena di giovedì: Melitzanesse come antipasto, kleftiko (L.), fagioli giganti come antipasto, coste d'agnello, galactoboureko (io). Il tutto annaffiato da ouzo in grandi quantità. 
  • Cena di venerdì: carpaccio di pesce, filetto di bonite (wikipedia dice che in italiano si chiama tonnetto striato), pesantissimo dolce al cioccolato (io), carpaccio di carne, agnello, dolce al mango arrosto con dulce de lece  (L.).  Con una bottiglia di Sancerre.
  • Pranzo di sabato: kir come aperitivo, olive di vario genere e carpaccio di pomodori come antipasto, a seguire arrosto di filetto di cavallo con verdure cotte, formaggi. Una bottiglia di rosso non meglio identificabile.
  • Cena di sabato: salamino, parmigiana, fondant di crema di marroni e cioccolato. Una bottiglia di bourgogne. Cognac.
  • Pranzo di domenica: ostriche e champagne, insalatina, gelato italiano.


Cena di domenica: imminente. Ci stiamo pensando. Con terrore.

mercoledì 19 settembre 2012

L'economia

Il punto è che io non ci capisco un'amatissima minchia di economia.

Non ci capisco nulla. E frasi come "il costo del denaro" mi fanno sghignazzare e pensare con nostalgia al grande Benigni che fu*.

Insomma, come vi dicevo, non ci capisco una beata minchia di economia, e da un po' di tempo a questa parte me ne faccio un cruccio. Non so perché, ma mi sento un po' in colpa, per questo mio non capire.

Solo che non so come fare. Ho provato a cercare qualcosina su google, ma dopo aver letto due frasi mi annoio.

Che sia questo il motivo per cui non capisco l'economia?

Perché è noiosa?

C'è qualcosa di divertente da leggere per capirci qualcosa?**

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* "Quanto me le vende oggi le mille lire?", "Sono aumentate, mille e due", "Me ne dà due pezzi? Quanto viene?", "Duemila e quattro" eccetera...
** No, vi prego, Ecomomy for dummies noª. Qualcos'altro. Qualsiasi cosa ma quello no.
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               ª Esiste di sicuro. Me lo sento.

martedì 18 settembre 2012

Vita di M. (Capitolo 15)

VITA DA PERDITEMPO DI M.

M. è, da sempre, un perditempo.

Durante le scuole elementari, invece di fare i compiti se ne stava per ore seduto davanti al quaderno aperto ed immacolato. E giocava. Giocava con le matite e le gomme che diventavano spade, fucili, astronavi, supereroi...

Durante le scuole medie, invece di fare i compiti M. faceva merenda. Fino a sei o sette volte per pomeriggio. Fu in quel periodo che la madre di M., esasperata, iniziò a nascondere (inutilmente) i barattoli di Nutella.

Durante il liceo, invece, M. trascorreva pomeriggi interi ripetendo tra sé e sé il mantra: "se il prossimo video su VideoMusic è bello lo guardo, se fa schifo mi metto a studiare" e se il video faceva schifo, stizzito, faceva un po' di zapping fino a trovare un altro alibi. Un alibi qualsiasi. Fu in quel periodo, infatti, che M. scoprì che il biliardo era considerato uno sport serio a tal punto da poter essere trasmesso alla tv e ne imparò tutte le regole, fin nei dettagli più tecnici. I pomeriggi passavano e i compiti venivano svolti la sera, con gli occhi che bruciavano a causa della prolungata esposizione catodica.
Tra l'altro, M. non ha mai giocato al biliardo, e questo è un chiaro elemento a dimostrazione della genuinità della perdita di tempo.

Durante l'università M. ha perso così tanto tempo che non riesce nemmeno a ricordarsi come.

Dal dottorato in poi, M. ha perso tutto il suo tempo cliccando sul bottone "Get Mail", interrogando google sugli argomenti più disparati, guardando video idioti, leggendo le notizie che stanno sulla colonna di destra su repubblica.it, e in tanti, tanti, tantissimi altri modi.

Tipo scrivere su un blog.

Il blocco dello scrittore

No, è molto meno poetico di così. Altro che blocco dello scrittore. È che non ho proprio tempo per scrivere!

Il che mi rattrista assai, perché senza un allenamento costante et continuativo come potrò mai riuscire a scrivere the Great American Novel?

Dai adesso mi impegno e vi rifilo un post a casaccio entro mezz'ora (che poi vado con L. a un vernissage, che noi siamo degli intellettuali, mica dei coglionazzi!).

domenica 16 settembre 2012

L'Ammerica a Paris

Allora, Amorino è una catena di gelaterie italiane che esiste un po' dappertutto in giro per l'Europa tranne che in Italia. Nonostante questo fatto, che normalmente farebbe pensare a una trappola per turisti con finti prodotti italiani, il gelato è molto buono. Quindi, come molti italiani che vivono a Parigi, ci vado spesso.

Vi racconto questa cosa perché l'altro giorno ho assistito, in una gelateria di Amorino, a una scena epica.

C'era una signora americana alla cassa che mostrava la sua coppetta di gelato appena svuotata e stava cercando di spiegare a un'incredula commessa che voleva il refill!

Cristo, il refill!

Avete presente come funziona in Ammmmerica? Che ti compri la coca-cola nel bicchierone di carta e poi quando la finisci lo riempi di nuovo a-gratis? La filosofia alla base di questo sistema credo sia basata sul fatto che il prodotto che acquisti vale così poco che ne puoi avere quanto ne vuoi. A vagonate.

Ecco.

Quindi l'episodio a cui ho assistito è, per una serie interminabile di motivi che non sto certo a spiegarvi perché siete tutti intelligentissimi, di una gravità inaudita. 

domenica 9 settembre 2012

Comics - 2: The wrong place, Brecht Evens

Gary dà una festa nel suo appartamento. Gli ospiti arrivano, uno dopo l'altro. Ci sono un sacco di donne e pochi uomini, ma ben presto si capisce che Gary è uno sfigato e che le donne sono lì per il suo amico Robbie. Solo che Robbie non c'è. Gary, sotto pressione delle invitate, lo chiama più volte lungo tutta la serata e Robbie è sempre in un posto con musica altissima e grida al telefono si, si, arrivo, scusami Gary, sono in ritardo ma arrivo. Ma non arriva mai.

E questo è solo l'inizio della storia raccontata in bellissimi acquerelli da Brecht Evens. Tutto ruota attorno al fascinosissimo Robbie, che per buona parte del libro appare solo tramite racconti o allusioni degli altri personaggi. È lui, o meglio, il suo fascino, il protagonista indiscusso delle tavole.

Un bellissimo fumetto, una storia raccontata con ritmo e intelligenza, e immagini perfette. Molto bella l'idea di non utilizzare i classici baloons per i dialoghi, che sono semplicemente sospesi sopra ai personaggi. Ogni frase è scritta in un colore, che è il colore dominante col quale è disegnato il personaggio che l'ha pronunciata.

Gary è grigio, ovviamente, e Robbie è blu.

Leggetelo.


domenica 2 settembre 2012

Comics - 1: Birchfield Close, Jon McNaught

Come vi avevo promesso quasi 8 mesi fa*, ecco la prima puntata della nuova rubrica del blog dedicata interamente ai fumetti.

L'obiettivo di questa rubrica è di parlarvi di fumetti**, dei fumetti che leggo (o rileggo, mi piace rileggere i fumetti). Il motivo di questo leggerissimo ritardo nell'iniziare questa rubrica è il fatto che, ultimamente, ho letto pochi fumetti. E devo dire che mi sono mancati. Quindi l'altro giorno ne ho comprati un po' da Shakespeare and Co e ho anche rispolverato alcuni dei vecchi acquisti non ancora letti. Mi sono anche ripromesso di leggerne un po' in francese, così magari dopo 3 anni a Parigi imparo un po' questa lingua?

Bene.

http://www.nobrow.net/628
Iniziamo con Birchfield Close, di Jon McNaught, che è un libretto curatissimo ed elegante che ho deciso di comprare immediatamente dopo averlo estratto dallo scaffale della libreria. Bella copertina rigida cartonata, carta di ottima qualità, eccetera eccetera. Insomma, è uno di quei libri che appena te li ritrovi tra le mani non puoi fare a meno di annusare.

I disegni sono impeccabili, e raccontano con delicatezza e poesia una breve storia di semplice vita quotidiana. Due ragazzini che salgono sul tetto di una casa e si guardano attorno, per ore. Non ci sono parole, solo immagini a raccontare la storia di Birchfield Close, e questo rende il tutto ancora più onirico. Lo stile decisamente retrò richiama quello di Seth, che infatti sulla quarta di copertina scrive: Quiet, subtle, deeply felt. Gorgeously designed. Quintessentially British. A rare joy. Simply put - Jon McNaught is sublime.

Direi che sono d'accordo. Leggetelo, anzi, guardatelo.

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* Perché le mantenghe si promettono, come diceva, con tanto di ditino alzato, mio fratello P. alla tenera età di 3 anni.
** Falso. L'obiettivo delle rubriche di questo blog è trovare qualcosa, qualsiasi cosa di cui parlare. Perché la mia vita non è così intensa da procurarmi quotidianamente aneddoti raccontabili...

mercoledì 29 agosto 2012

Vita di M. (Capitolo 14)

VITA DA SEDUTTORE DI M.*

Da bambino, non c'erano bambine nel mondo di M.. Le bambine erano strane, diverse, e ostili. All'asilo M. giocava spesso a giochi che erano variazioni sul tema di maschi contro femmine. C'erano la banda dei maschi e quella delle femmine, all'asilo di M., ed erano bande rivali. Come è facile immaginare, la cosa non facilitava i flirt.

La banda dei maschi era ben strutturata, con un capo banda, J., che lasciò completamente disorientati e confusi i suoi seguaci quando venne fuori che si era fidanzato con (e forse aveva baciato!) una componente della banda delle femmine.

Ma questa è un'altra, triste, storia.

Alle scuole elementari, M. non migliorò minimamente le sue strategie seduttive. Il suo punto di forza, che peraltro cercava di nascondere piuttosto che valorizzare**, pareva essere la morbidezza delle sue guance. Sfortunatamente, la cosa provocava attenzioni assolutamente trasversali per quanto riguarda il genere: compagni e compagne di scuola, indistintamente, si recavano al banco di M. per dargli affettuosi pizzicotti sulle guanciotte.

Va detto che M. era molto popolare alle scuole elementari.

Per motivi che l'M. fanciullo non riuscì mai a spiegare, c'erano solo cugine femmine in famiglia. Solo femmine. Piene di bambole e giocattoli da femmina. Quindi M. passava i weekend con suo fratello P. e con tutte queste cugine femmine. Ma, per l'appunto, quelle erano cugine, quindi tecnicamente non bambine vere. Non femmine propriamente dette. E quindi questa abitudine a ritrovarsi in contesti femminili non facilitò minimamente M. nelle sue interazioni extra-cuginali con l'altro sesso.

Le scuole medie furono una catastrofe.

 Una catastrofe.

E fu molto*** più tardi che M. raggiunse infine qualche minima capacità seduttiva. Curiosamente, la cosa coincise con la dismissione della pettinatura capello-leccato-con-la-riga-da-una-parte, che venne sostituita da un qualcosa di amorfo, una indecisione zazzeriforme, una chioma esitante e imbarazzata che non sapeva dove parare, ma che era pur sempre meglio del capello-leccato-con-la-riga-da-una-parte di cui sopra.

Comunque.

La descrizione più azzeccata della tecnica seduttiva di M. venne data anni fa dall'amico G., che la definì la tecnica del sommergibile.

Quando M. identifica una preda, si immerge e agisce nell'ombra, sotto coperta. La preda viene frequentata in gran segreto, per minimizzare qualsiasi influenza esterna. L'approccio è lento e discreto, e spesso nemmeno le preda stessa si accorge delle manovre finché non è oramai troppo tardi e si ritrova ad essere innamorata persa di M., cotta.

Chiaramente poi ci sono anche prede con iniziativa che, annoiate, bypassano tutta 'sta manovra complicata, prendono in mano la situazione e la concludono senza inutili tentennamenti.

Come ha fatto L., per esempio.

Vi ho mai raccontato come ha fatto L.?


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* Attenzione. In questo post non si parla di sesso. Il capitolo VITA SESSUALE DI M., forse, verrà pubblicato più avanti.
** Timidone!
*** Molto molto.

lunedì 27 agosto 2012

Vita di M. (Capitolo 13)

VITA POLITICO-ELETTORALE DI M.

M. da ragazzino non si interessava di politica. I suoi genitori erano assolutamente apolitici* e, disperati, decidevano per quale partito votare il giorno stesso delle elezioni**.

M. crebbe in questa atmosfera di diffidente disinteresse per la politica, e si ritrovò sommamente impreparato alla vigilia del suo primo appuntamento elettorale. La politica era per lui una cosa non sporca ma sicuramente torbida. Fatta di gente che non era lì per i motivi per i quali dichiarava di essere lì, e che diceva cose pensandone altre. Gente di cui non fidarsi.

Insomma, votare significava scegliere il meno peggio, un po' a casaccio, per poi non pensarci più fino alle prossime elezioni. Le persone serie, secondo M., non facevano politica. Facevano altro.

A complicare il quadro: l'ambiente cattolico nel quale M. era cresciuto*** e i comizi elettorali che la prof di filosofia, comunista e senza dio, preferiva alle lezioni su Hegel o sulla prima guerra mondiale****.

Insomma, a metà degli anni '90, appena diciottenne, M. non sapeva che fare. Da un lato era tentato dalla sinistra, ma la cosa gli provocava non pochi imbarazzi per via della sua ingombrante militanza cattolica (ricordatevi che i comunisti mangiano i bambini, comportamento decisamente lontano dalla morale cattolica). Schifava la destra in quanto sbagliata*****, schifava Berlusconi in quanto Berlusconi, e non schifava il centro per il solo motivo che il centro non c'era più, spazzato via dalle indagini di Tangentopoli.

Per farla breve, il suo primo voto M. lo diede al Partito Popolare, ovvero il pezzo della DC che si era schierato a sinistra.

In tutta onestà, M. se ne vergogna ancora.

Poi le convinzioni cattoliche di M. andarono lentamente****** scemando, e alle elezioni successive votò Rifondazione Comunista.  Si ritrovò ad essere etichettato come catto-comunista, e non seppe mai se considerare la cosa un'offesa o un complimento.

M., come tutti, dovette poi assistere alle infinite suddivisioni dei partiti di estrema sinistra, che raddoppiavano in numero ad ogni elezione mantenendo però complessivamente lo stesso numero di voti. Grazie a questa brillante strategia elettorale, la sinistra radicale riuscì infine nel suo intento. Uscire dal parlamento.

In quegli anni M. votò, schifatissimo, talvolta il PD, e talvolta Di Pietro. Non votò mai per i Radicali, e ne è veramente molto dispiaciuto.

M. non ha mai militato attivamente in nessun partito politico, e al momento non saprebbe proprio dove collocarsi in questa distesa di macerie grigie e fumanti che è il panorama politico italiano.

Gli piacerebbe comunque, prima o poi, impegnarsi in politica, ma solo dopo la pensione.

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* Non anti-politici, proprio a-politici.
** Un atteggiamento di questo tipo, per motivi che andrebbero studiati e compresi, favorisce nettamente partitini come "I verdi", che vengono percepiti come "simpatici e innocui".
*** All'epoca, M. avrebbe definito se stesso come un "cattolico praticante". Vi parlerò dettagliatamente di questo nel capitolo "VITA RELIGIOSA DI M.".
**** A scanso di equivoci: la mia prof di filosofia era ed è una grandissima donna. Sebbene non facesse lezione nel senso "convenzionale" del termine, lasciando lacune imbarazzanti nella mia conoscenza storico/filosofica (per esempio: chi ha vinto la prima guerra mondiale? Proprio non saprei dirvelo...), resta una grandissima donna.
***** Sic.
****** Molto lentamente.

domenica 26 agosto 2012

Books I read 9 - One day, David Nicholls

Big, absorbing, smart (Nick Hornby)

Incredibly moving (Marian Keyes)

A wonderful, wonderful book (The times)

As a study of what we once were and what we can become, it's masterfully realized (Esquire)

It's rare to find a novel which ranges over the recent past with such an authority... (Jonathan Coe)

Destined to be a modern classic (Mirror)


Ecco.

Questi sono alcuni pareri autorevoli (?) a proposito del libro One day, di David Nicholls.

Boh.

Io l'ho trovato banalissimo. E anche abbastanza noioso.

Segue la recensione in stile Books I read.

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One day inizia così:
'I suppose the  important thing is to make some sort of difference,' she said. 'You know, actually change something.'
ed è un libro di 435 pagine, ma io proprio non ce l'ho fatta e mi sono fermato alle prime 137.

mercoledì 22 agosto 2012

To be honest

Ad essere onesto, devo dirvi che nel mio soggiorno in Sud Africa gli animali esotici non li ho solamente guardati, ma ne ho anche assaggiati parecchi.

Per l'orrore dei vegetariani, vi comunico che ho mangiato lo struzzo, diverse antilopi (springbok, kudu etc) e il coccodrillo.

Tutto eccellente tranne il coccordillo, che mi ha deluso un po'.

martedì 21 agosto 2012

Terminal 10 - Aeroporto Internazionale O.R. Tambo, Johannesburg

Allora, arriviamo (io e L.) all'aeroporto con la macchina presa a noleggio e prima di restituirla andiamo a fare il canonico  pieno. Decidiamo di sbarazzarci di tutti i contanti rimasti. Li contiamo, ci restano 277 Rand. Dovrebbero bastare per riempire il serbatoio.

"Full, please" dico al benzinaio, e mi metto con L. a guardare i numerelli scorrere sul display del distributore... 10, 20 30.... 100... 200... 250... cazzo cazzo 260... cazzo! 275... nooooo! 280.

Merda.

"Twohundredeighty rands" dice l'omino e mi accompagna alla cassa.

Cerco di spiegare al tizio alla cassa che sto partendo e quindi voglio dargli tutto il cash che ho e pagare il resto con la carta. Ma il resto sono 3 rands che equivalgono a circa 30 centesimi di euro.

Il tizio alla cassa ride.

L'omino che mi ha fatto benzina si fruga nelle tasche, tira fuori 3 monete da un rand, le butta sul banco e dice, serafico: "It's ok, mister, I give you 3 rands".

Guardo sconvolto il tizio alla cassa che ride e mi fa: "It's ok Sir, this gentleman helped you!".

Ringrazio, sorrido, auguro a nice day a tutti quanti e me ne vado, mentre il mio benefattore sorride e fa ciao ciao con la mano.

Dopo una storia così posso solo dire:

Tre stelline.

domenica 19 agosto 2012

Bilancio quasi definitivo

Se me lo avessero detto non ci avrei creduto. I safari, o game drives, come li chiamano qui. Li guardavo con sospetto. Con aristocratico sospetto. Roba da turisti in tenuta cachi, binocolo appeso al collo e cappello coloniale.

E invece fino a due giorni fa, dopo 4 giorni trascorsi al Kruger Park, la mia massima (e ossessiva) preoccupazione esistenziale era:

"L., non abbiamo ancora visto il leone. Tutti lo hanno visto, cazzo. Tutti tranne noi. Dobbiamo assolutamente vedere un leone. È l'unico che ci manca dei big five. Speriamo di vederlo domani, il leone... Domani è la nostra ultima possibilità...".

Davvero da non crederci.

Comunque, ecco il bilancio, quasi definitivo dei questa vacanza.

Abbiamo visto:

- milioni di gazzelle e antilopi varie (Impala, springbok, bushbok ecc) inclusi, most notably, alcuni Gran Kudus;
- milioni di babbuini e scimmiette;
- un badger (male);
- un coccodrillo (da lontano);
- tantissime giraffe;
- badilate di ippopotami;
- una iena;
- parecchi facoceri;
- aquile;
- famigliole di zebre;
- un dassie;
- struzzi;
- svariati uccelli colorati;
- e pinguini, pinguini, pinguini...

E poi, ebbene sì, modestamente abbiamo visto tutti e cinque i big five, ovvero:

1) diversi bufali;
2) molti rinoceronti;
3) un gran quantitativo di elefanti;
4) un leopardo;
5) un leone (snob & classy).

Attendo (impaziente) le vostre congratulazioni.

martedì 7 agosto 2012

Il perché è ovvio.

Apprendo ora da Repubblica che la nuova coppia dell'estate è composta da Fabrizio Corona e Nicole Minetti.

È con grandissima gioia che mi appresto quindi ad andare in aeroporto e a volare lontanissimo.

Il dibattito è aperto.

lunedì 6 agosto 2012

Mi chiedo perché.

Nessuno commenta più i miei post.

Perché?

Siete tutti in vacanza?

Sì?

Allora sapete che vi dico? Vi dico che ci vado pure io, in vacanza. Parto domani. Afrique du Sud, come dicono qua i pariggini.

Ci risentiamo quando torno.

domenica 5 agosto 2012

Terminal 9 - Aeroporto di Santiago de Compostela

Passo i controlli di sicurezza e mi avvio deciso al bar. Il nuovo aeroporto di Santiago è molto meglio di quello vecchio, che ora giace abbandonato e forse anche già dimenticato a mezzo chilometro di distanza. È alto e pieno di vetro, il nuovo aeroporto di Santiago, ed è grande, forse troppo, rispetto alle dimensioni della cittadina di cui prende il nome. Uno dei miei ultimi weekend spagnoli è appena terminato, e sto per prendere il volo Vueling per Parigi.
Due giorni prima io e L. abbiamo noleggiato una macchina e siamo andati a fare un giro lungo la costa, fino al Castro de Baroña. Sono i resti millenari di un accampamento celtico, le fondamenta di un piccolo gruppo di edifici rotondeggianti a pochi metri da uno strapiombo sull'oceano. Il cielo è grigio e c'è un po' di vento. Girelliamo tra i resti celtici e poi ci mettiamo seduti su uno scoglio a guardare il mare. L'oceano è bianco e grigio, fatto di onde che si frantumano sugli scogli. "Uh!" grida L. quando gli schizzi ci raggiungono. Prima dell'impatto con gli scogli, l'acqua a monte dell'onda diventa di un blu bellissimo, poi è tutta schiuma bianca e rumore che riempie tutto. "L.! Guarda che bel blu!", grido. "Uh!", mi risponde tra gli spruzzi, "non è blu, Manoel, è verde acqua!".
Prima di arrivare al bar incontro S., un'amica di L.. Anche lei vola a Parigi. È seduta di fronte alla porta di imbarco. Le lascio i miei bagagli e vado a prendere da bere per entrambi. Mi dispiace un po' rinunciare ai divanetti del bar*, dove di solito resto seduto fino all'ultima chiamata. Quindi, per compensare, mi prendo anche un gelato. Chiacchieriamo, con S., che è simpatica e sorridente, finché la signorina al desk avvicina la bocca al microfono e ci dice che stiamo per partire.
Dopo il Castro siamo scesi in una spiaggetta di sabbia bianca e sottile. Ci siamo arrotolati i pantaloni per bagnarci i piedi. Dobbiamo correre su e giù per la battigia quando arriva l'onda per non bagnarci i pantaloni. Io me li bagno lo stesso e inizio a brontolare, mentre L. ride e prende in giro la mia imbranataggine zampettando tra le onde. Un'ora dopo brontolo ancora, con i jeans bagnati, mentre risaliamo dalla spiaggetta verso la macchina. È un sentiero di terra battuta che sale tra la bassa vegetazione e gli alberi. Poi c'è una svolta e ci ritroviamo in un prato verde, dove qua e là erano sbocciati piccoli fiori blu.
Siamo alla porta di imbarco. La coda avanza lenta e composta. Al mio turno mostro passaporto, biglietto e sorriso alla signorina. Prima di entrare nel tunnel che porta all'aereo guardo in su, verso la grande vetrata che in realtà è tutta quanta la parete dell'aeroporto. E mi dispiace avere il telefonino scarico, perché avrei proprio voluto chiamare L. per dirle,
Hei! Hai visto che blu?


Niente male, il nuovo aeroporto di Santiago.

Due stelline e mezzo.

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* I divanetti nei bar sono uno dei grandi piaceri della vita aeroportuale.

giovedì 2 agosto 2012

Terminal 8 - Aeroporto Internazionale di Atene Elefthérios Venizélos

Vi è mai capitato di ritrovarvi a quattro zampe nel bagno degli handicappati di un aeroporto mentre cercate di acciuffare un gatto (che non caga né piscia da praticamente due giorni) che si è messo ad annusare il retro della tazza del cesso?

Ecco. A me è successo all'aeroporto di Atene.

Ma qui occorre fare un passo indietro e raccontare l'antefatto. Prima di tutto, nel mio caso non si trattava di un gatto, bensì di una gatta, che si chiama U., se proprio volete saperlo.

U. è la gatta di L., che* è quello schianto di donna che è la mia donna.

Riassumendo: a causa di un planning poco efficiente** e della sciagurata cancellazione di un volo, la povera U. era al terzo giorno consecutivo dentro alla gabbietta per trasporto animali. Era stata in libertà (e quindi in grado di fare pipì e pupù) solamente le due notti precedenti.

Insomma al mattino del terzo giorno, sapendo che ci aspettava un volo con cambio ad Atene ci siamo detti: povera U., non possiamo tenerla nella gabbietta per un altro giorno! E se si piscia addosso? Qui se ci becca il WWF siamo spacciati!

Quindi elaboriamo un piano.

Mettiamo in valigia un sacchetto di plastica pieno di sabbia da lettiera, e al cambio ad Atene ci mettiamo a cercare un posto in cui si potesse liberare U. senza timore di vederla fuggire. E, che ci crediate o no, l'unico posto chiuso di tutto l'aeroporto di Atene è il cesso degli handicappati. Mentre L. sta fuori a fare il palo, io entro nel cesso con grande nonchalance***, la gabbietta con dentro U. in una mano e il sacchetto pieno di sabbia nell'altra. Chiudo la porta, libero U., apro il sacchetto e lo metto per terra.

Piscia! Dico a U., cercando (invano) di non sentirmi pazzo. Piscia!

Ma lei non sembra intenzionata. Si ficca dietro la tazza del cesso e, orrore! orrore!, si mette ad annusarla tutta.

Schifatissimo, la prendo di forza e la metto a sedere sulla sabbia.

Piscia!

Si alza e torna dietro al cesso.

Provo con la psicologia inversa. Non faccio nulla, la ignoro, e aspetto sperando che pisci di sua spontanea volontà.

Ma U. continua ad annusare il retro della tazza del cesso.

Dopo 10 infiniti minuti, tascorsi per lo più nel terrore di incappare in un handicappato vero a cui scappasse la pipì, lascio perdere, raccolgo sacchetto e gatta e, triste e sconsolato, me ne vado.

FINE

Comunque, l'aeroporto di Atene fa abbastanza schifo.

Una stellina.

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* Come dovreste sapere.
** Eufemismo.
*** Con estrema nonchalanche.

giovedì 26 luglio 2012

Vita di M. (Capitolo 12)

VITA DI M. SUI MEZZI DI TRASPORTO

M. non sa dirvi quando ha imparato a gattonare, né tantomeno a camminare. Era troppo piccolo per ricordarsi. Però si ricorda molto bene quando ha imparato ad andare in bicicletta (senza le ruotine). Avrà avuto all'incirca 5 o 6 anni. Era al mare dai nonni, come tutte le estati. Per le prove di ciclismo era stata scelta la piazza del mercato che, in assenza del mercato stesso, altro non era se non un ampio piazzale senza auto*. Erano state tolte le ruotine alla bici, M. era in sella, coi piedini sui pedali, e suo padre, F., teneva una mano saldamente ancorata sotto la sella per tenerlo in equilibrio.

Vai!, disse F., e M. iniziò a pedalare, mentre F. lo seguiva tenendo sempre una mano sotto la sella.

C'era il sole ed era caldo, e M. fece mille prove fino a diventare abbastanza sciolto e tranquillo, conscio della mano di suo padre che lo sorreggeva. Poi, a un certo punto, M. pedalando si gira per dire qualcosa a F. e lo vede in piedi dietro di lui, con le braccia allargate. M. gli vede entrambe le mani, e nessuna di loro sta sotto la sella a sorreggerlo. M. sta pedalando da solo!

Si emoziona e cade. Ma sa di avercela fatta.

M. userà la bici per tanti anni. Specialmente per andare a scuola. Tutte le mattine, da settembre a giugno, per tanti anni. Ricorda il sonno del mattino e la scarsissima voglia di alzarsi per andare a scuola, che si ripercuotevano in una pedalata loffia loffia, in un incedere pericolante e lentissimo. Quello che M. ricorda di più di queste pedalate mattutine sono le vecchiette che gli passano accanto in bici, sfreccianti.

Se la bici si rompeva, M. andava a piedi per lunghissimi periodi. Il motivo era che per riparare la bici bisognava andare da B., il terribile meccanico delle biciclette, che aveva il negozio vicino a una delle porte della città. B. era un signore che soffriva tantissimo nel vedere biciclette maltrattate. Insomma, la volta che gli portavi una bici che secondo lui non era stata tenuta bene (cioè sempre), ti dovevi beccare una paternale di mezz'ora con tanto di urli e occhiatacce. Per cui M. tentennava un po' prima di andare da B., e per un po' andava a piedi.

Anche nei primi periodi dell'università, a Bologna, M. andava in bici. Poi la bici si ruppe**, venne riparata, si ruppe**, venne riparata, si ruppe di nuovo** e quindi M. si stufò e andò a piedi.

A Firenze, invece, furono gli anni del vespino. Che belli! Andare in giro col venticello addosso, in città e in collina. Peccato che la sua fidanzata di allora non sopportasse salire sul suo vespino perché il vento le scombinava i lunghi capelli***.

In Germania****, invece, M. acquistò un macchinone BMW di terza mano con più di centomila chilometri sul groppone. Special highlight: interni in velluto rosso che lo facevano assomigliare in maniera preoccupante a un pappone, puttaniere o che dir si volgia. Il macchinone gli costò, in riparazioni, molto più di quanto avesse pagato per acquistarlo, ma alla fine del periodo teutonico riuscì persino a venderlo a un trafficante d'auto che esportava catorci in paesi poveri e/o sottosviluppati*****.

A Dublino M. andò a piedi.

E a Parigi, beh... a Parigi c'è il metrò!

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* Più tardi diventò, ovviamente, un parcheggio.
** Non c'è che dire: il buon vecchio B. aveva ragione.
*** Sic.
**** Mi sono rotto le palle di usare le lettere al posto delle nazioni.
***** Il mio fido BMW ora corre sereno e felice su strade Kazache.

mercoledì 25 luglio 2012

Books I read 8 - All the pretty horses, Cormac McCarty

All the pretty horses inizia così:
The candle flame and the image of the candle flame caught in the pierglass twisted and righted when he entered the hall and again when he shut the door.
ed è un libro western di Cormac McCarty di 302 pagine.

Il libro inizia con un funerale. In un cimitero, da qualche parte in Texas, vicino alla frontiera con il Messico. C'è la bara, e attorno un po' di gente, seduta su sedie di tela. C'è un vento fortissimo, e il suo rumore copre le parole del predicatore, in piedi di fronte alla bara. Quando il funerale finisce, e i fedeli si alzano, le sedie di tela volano via, rotolando tra le lapidi delle tombe.

Penso che la forza di McCarty stia in queste immagini. Immagini semplici e allo stesso tempo solenni e epiche di cui sono pieni i suoi libri. All the pretty horses è un western in piena regola, un western classico, con sparatorie, furti di cavalli, fughe per amore e paesaggi sconfinati. Un western con buoni e cattivi. Ma nonostante questo, è un bellissimo libro. Sì, ho proprio scritto nonostante questo, perché sarei disonesto se non vi dicessi che avevo reagito con scetticismo e supponenza quando il mio amico di sempre M., di fronte a una birra nel pub a due passi da casa di mio padre, mi disse: Devi leggere McCarty, scrive western. E vedendo le mie sopracciglia sollevarsi e la mia fronte aggrottarsi alla parola western, aggiunse: Guarda, so a cosa stai pensando, ma leggilo lo stesso, McCarty. Scrive dei libri bellissimi.

Mi ci sono voluti diversi anni per vincere questo pregiudizio aprioristico (e inutile) da (finto) intellettuale, e ora McCarty è uno dei miei scrittori preferiti.

All the pretty horses è il primo volume della Trilogia della frontiera, e appena finito di leggerlo già sapevo che avrei letto anche gli altri due volumi: The crossing e Cities of the plain. Leggetelo.

lunedì 23 luglio 2012

Vita di M. (Capitolo 11)

VITA CINEMATOGRAFICA DI M.

M. non è mai andato molto al cinema, ma non sa spiegare bene il perché. Probabilmente il problema è che una birretta in un pub batte sempre un cinema, come proposta per una serata.

Due periodi della vita di M. fanno eccezione a questa regola.

Uno è il periodo universitario, specialmente i primi due anni, quando M. abitava vicinissimo a un cinema (l'Apollo) che proiettava film delle stagioni passate a mille lire (sì! lire! M. si sente così vecchio se ci ripensa...) a serata. All'Apollo M. ha sghignazzato vedendo Frankenstein Junior, ha dormito di fronte a Il cielo sopra Berlino*, ha espresso sdegnosa sufficienza dopo la sventurata proiezione di Braveheart, e ha sgranocchiato chili e chili di pop-corn.

Il secondo periodo è il periodo dublinese, dove M., spesso per mancanza di alternative culturali valide, si infilava con la sua amica L. all'IFI (Irish Film Institute), pressoché unico cinema cosy e non holliwoodiano della città. Lì ha visto il suo primo Truffaut (I quattrocento colpi), un'epica rassegna su Paolo Sorrentino (cortometraggi inclusi), il tarantinante Inglorious Basterds, l'Away we go sceneggiato da Dave Eggers (uno dei miti letterari di M.), e tanti altri.

Al momento, non è ancora stato girato nessun film, né è stata avanzata la proposta di girare un film, che abbia M. come protagonista. Non intendo M. come attore, ma proprio un film su M., con qualche attore (bellissimo, s'intende) che reciti nel ruolo di M..

M. è comunque abbastanza sicuro che prima o poi la cosa succederà. Pensa anche che prima o poi scriveranno pure un libro, su di lui. Perché M. è senza dubbio un tipo straordinario, e come disse Leo Longanesi:
Lo storico che fra cent'anni scriverà la storia di questo straordinario "Italiano", se pure in quel tempo userà ancora dedicarsi a una simile professione, dovrà essere un bel tipo. Solo un matto potrebbe intraprendere un tale lavoro; ma vedrete che il matto si troverà.
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* Ero molto stanco. Davvero. Wenders mi piace.