mercoledì 28 novembre 2012

Muri parlanti

Graffiti letti su un muro nei pressi della COOP Lame di Via Marco Polo, Bologna.
"Cosa guardi? Compra!!!"
"L'umanità ha più fantasie sessuali che capacità."

Stasera torno a Parigi. Ciao ciao Bologna...

martedì 27 novembre 2012

Bologna

E poi uno si ritrova tante vite fa. In un ristorantino abruzzese in Via Pietralata. E dopo gli arrosticini e le patate arrosto e la centerba si rotola in Via del Pratello per farsi due birre. E c'è Zap a un tavolo che disegna fumetti, e c'è la Contessa che beve al bancone, volgare e dolcissima. E l'amico di sempre C., e l'altro amico di quasi sempre M., e si beve e si parla e si ride. Si ride.

Poi si torna in albergo. E sulla porta si dice cazzo, si dice, cazzo, M., dobbiamo vederci più spesso, non facciamo passare tutti questi anni un'altra volta. Dobbiamo vederci più spesso. Sì, sì, a presto, a prestissimo, sì promesso. Promesso. A presto. Prestissimo. Promesso.

E poi c'è la stanza di albergo e L. dorme già, lassù nei paesi bassi, e quindi non c'è l'occhietto verde su skype di fianco al suo nome, perché L. dorme, dorme e forse sogna e allora non si può fare altro che ricopiare una per una sulla finestrella della chat che non risponderà le righe di quella canzone, quella canzone, quella canzone che diceva buonanotte. Diceva buonanotte fiorellino. Buonanotte. Perché il granturco nei campi è maturo. E io ho tanto bisogno di te.

La coperta è gelata, e l'estate è finita.

Buonanotte.

Questa notte.

È per te.


mercoledì 21 novembre 2012

Ciao

Ricordo ancora il giorno in cui pensai, per un istante, che la rivoluzione proletaria avesse portato il comunismo al potere.

Ero a Venezia, e all'aeroporto la signorina al banco delle informazioni mi aveva detto che il modo più facile per arrivare al mio hotel, a Rialto, era prendere il vaporetto. C'era il sole, e sul ponte del vaporetto la gente guardava Venezia. Poi una svolta nel Canal Grande e ci ritroviamo circondati da bandieroni rossi con tanto di falce e martello. Bandieroni che garrivano al vento con dietro il cielo blu. Ce n'erano dappertutto, lungo entrambi i lati del canale. Rossi.

Ricordo che mi guardai attorno, eccitato, e mi stupii di non riscontrare alcuna reazione sui volti dei miei compagni di vaporetto. Nulla. Possibile che il comunismo avesse raggiunto il potere nelle poche ore in cui ero in aereo, isolato dal mondo, e che quelle poche ore fossero bastate ad assuefare la gente al nuovo ordine da così poco costituito? Il vaporetto accostò proprio in mezzo a quel tripudio marxista, e fu per me un po' deludente leggere su un enorme striscione: "Festa di Liberazione", e capire che lì non si stesse affatto cambiando il mondo con la rivoluzione, ma più che altro si stesse cucinando salsiccia. In gran quantità.

In quel periodo vedevo una psicoterapeuta. Nel senso che ero in cura da, non uscivo con, una psicoterapeuta. Il mio problema era legato alla gente*. Una irrazionale claustrofobia accessoriata da mal di stomaco in situazioni affollate e senza via di uscita. Frau B., un sorridente donnone teutonico, nonché mia psicoterapeuta, si era messa in testa che io non parlassi abbastanza con la gente. "Devi parlare con la gente! Vai in un bar e parla a uno sconosciuto!" mi ripeteva.

Però non è per niente facile parlare a uno sconosciuto mentre dentro al tuo cervello c'è una voce, martellante, che grida: "Devi parlare a uno sconosciuto devi parlare a uno sconosciuto devi parlare a uno sconosciuto devi ecc ecc ecc". La difficoltà per me non era tanto parlare a uno sconosciuto, credo, ma era il farlo perché dovevo farlo. Perché sentivo di doverlo fare. Perché qualcun'altro mi aveva detto di farlo ed ora aspettava una risposta da me. Aspettava che gli dimostrassi qualcosa**. E la situazione, quella sera stessa, alla Festa di Liberazione, era proprio quella. Avevo mangiato la mia bella salsiccia leninista, e me ne stavo in mezzo alla gente, odiandola tutta, con in mano il mio bicchierone di plastica con dentro birra. Studiavo con disprezzo i possibili target, ma non sapevo decidermi. Mi sentivo un cretino e mi sembrava non avesse alcun senso mettersi a parlare a caso con qualcuno solo per dimostrare a una tedesca cicciona e con una pettinatura improbabile*** che ero capace di farlo.

Insomma, a un certo punto lasciai perdere. La smisi di cercare target per i miei approcci. Ero lì, in mezzo alla gente, a far finta di guardare il palco dove dei luridi e puzzolenti fricchettoni**** picchiavano sui loro lerci bonghi. Guardavo fisso di fronte a me. Sguardo torvo. Bicchiere di plastica con dentro birra tenuto rabbiosamente in mano. Eccetera.

E fu proprio a quel punto che sentii, vicino al mio orecchio sinistro, un "ciao!". Mi giro e trovo una ragazza, bionda, avrà avuto qualche anno in più di me. Anche lei tiene in mano un bicchiere di plastica proletario con dentro birra. È un po' sciupata e decisamente un po' brilla.

Non ricordo nemmeno di cosa parlammo, a parte Napoli, dove lei aveva vissuto, amandola e odiandola.

Poi tornai al mio hotel, riconciliato con tutti, Frau B., gente, marxisti, leninisti e persino fricchettoni, e mi addormentai subito.

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* Sì, è anche colpa tua!
** Chiaramente erano tutte seghe mentali. Frau B. dormiva sonni molto tranquilli e non aspettava alcuna risposta da me e men che meno voleva le dimostrassi qualcosa.
*** In realtà provo tanto affetto per Frau B., davvero.
**** Non ho nulla nemmeno contro i fricchettoni. Ma in quel momento sarei riuscito a irritare anche il Dalai Lama.

mercoledì 14 novembre 2012

Books I read 11 - The apprenticeship of Duddy Kravitz, Mordecai Richler

The apprenticeship of Duddy Kravitz inizia così:
What with his wife so ill these past few weeks and the prospect of three more days of teaching before the weekend break, Mr MacPherson felt unusually glum.
ed è un libro di 328 pagine di Mordecai Richler.

Nonostante questo sia solamente il suo terzo libro che leggo, Richler è già uno dei miei autori preferiti. Ben due dei suoi libri (La versione di Barney e Solomon Gursky è stato qui) riposano meritatamente nello scaffale dei libri essenziali che sta sopra al caminetto di casa mia, e che potete ammirare qui sotto*.

Il punto è che a me piacciono le storie, le belle storie raccontate bene, e Richler, in questo, è un gigante. Come per tutti i suoi libri (o perlomeno tutti quelli che ho letto fino ad ora) i protagonisti del romanzo fanno parte della comunità ebraica canadese. Quella di Montreal, per l'esattezza, raccolta nei dintorni di St. Urbain Street.

Duddy è un ragazzetto vispo e sfrontato. È orfano di madre, suo padre Max fa il tassista e il fratello, Lennie, studia all'università ed è la speranza di riscatto di una famiglia umile e semplice. Duddy cresce ascoltando il suo vecchio nonno, Simcha Kravitz, ripetere continuamente: "A man without land is nobody".

E il libro è la altalenante, rocambolesca e spericolata corsa di Duddy verso la ricchezza che gli consentirà di comprarsi la terra e poter così smettere di essere nobody. Pagine letteralmente esilaranti si alternano ad altre piene di lucida tristezza, e il tutto si mescola trascinato dal ritmo forsennato del narrare.

Un libro bellissimo.

Duddy ricomparirà, molti anni dopo, nell'ultimo romanzo di Richler, La versione di Barney, in un ammiccante, geniale cameo.




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* Sono pochi gli autori che possono vantare di avere più di un loro libro sullo scaffale dei libri essenziali di Manoel O. Dias. Per l'esattezza, sullo scaffale ci sono due libri di Fante, Franzen, Richler e Vonnegut, e ben tre libri di Calvino e Salinger.

giovedì 8 novembre 2012

Indipendentismi a confronto

Si parla molto di indipendenza e indipendenze in Spagna in questo periodo. Siccome mi trovo, per l'appunto, sul campo di battaglia*, ho deciso di sfruttare questo punto di osservazione privilegiato per apportare il mio umile contributo alla discussione, basato su esperienza diretta e informazioni di primissima mano.

È ufficiale. Dopo essere stato un milione di volte a Santiago de Compostela (Galizia) e un milione di volte a Barcelona (Catalogna) posso concludere che, al di là di ogni dubbio, in Galizia si mangia molto meglio che in Catalogna. Nettamente meglio. E costa anche molto meno.

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* Sono a Barcelona.

lunedì 5 novembre 2012

Punti di vista (confessione)

Per un motivo o l'altro, viaggio molto. La cosa a volte mi stressa un po'*, ma mi piace parecchio. Devo anche ammettere** che il fatto di vedere tanti posti mi fa sentire un po' speciale. Mi sento fico e, a tratti, forse addirittura me la tiro***.

Poi basta un pranzo con A. (la stessa del post precedente), che ha fatto per ben due volte la traversata dell'oceano atlantico in barca a vela (da destra a sinistra, e da sinistra a destra, rispettivamente), e la mia vita torna ad essere quello che è.


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* Ah ah ah ah ah! (Eufemismo)ª.
** Grazie alla immensa onestà intellettualeªª che mi contraddistingue.
*** Ma con grande gusto ed eleganza. Aristocraticamente.

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ª Manoel vi insegna le figure retoriche. Pazzesco.
ªª Resto comunque pur sempre una persona molto umileº.

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º Anche troppo umile, talvolta.

venerdì 2 novembre 2012

Primo!

Allora, c'è questo baretto giapponese a Barcelona che ha appena aperto, ma proprio appena aperto. Mi ci ha portato la mia amica A. (la stessa che comparve mesi e mesi fa qui), che vive per l'appunto a Barcelona.

Eccolo.

È un posto molto carino, una sala da te con qualche tapas giapponese (sic!) molto gustosa, più una selezione di birre giappe (Asahi, Kirin e Sapporo), Sake, Whiskey and so on. Ed è anche, allo stesso tempo, uno studio fotografico, quindi se volete potete anche comprarvi delle foto (non economicissime, ma alcune sono molto belle)*.

Ho ordinato i Gyoza al vapore e li ho divorati famelico.

Quando la proprietaria è venuta a riprendersi il piatto mi ha chiesto: "Erano buoni?". Io ho sollevato il pollice, le ho strizzato l'occhio e ho detto: "Molto buoni!".

"Sai, abbiamo appena aperto, e sei il primo che li ha mangiati!"

Ebbene sì.

Sono stato il primo al mondo a mangiarli.

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* Sono veramente un uomo di curtura. Avete visto che posti frequento?

giovedì 1 novembre 2012

Carnet de voyage

Avete mai notato che le bustine di zucchero che vi danno nei bar spagnoli sono le bustine di zucchero più grandi del mondo?

C'è forse carenza di affetto nella penisola iberica?

È forse un modo per compensare tale carenza?

Il mistero resta irrisolto.


[Sì, sono in Spagna.]