Sto un po' arrancando in questi giorni. Poco tempo per scrivere. E sono in partenza per un weekend in Borgogna con QSDDCÉLMD. Quindi mi duole comunicarvi che il blog chiude per ferie fino a lunedì (sera, almeno...).
Vediamo se riusciamo a superare i 100 commenti a questo post, tutti tra il disperato (nel migliore dei casi) al furente (nel peggiore).
Scatenatevi.*
Il commento più disperato vincerà un post carino dedicato all'autore del commento stesso, mentre quello più furente vincerà un post risentito.
_________________
* Se ricevo 0 (zero) commenti mi deprimo. Siete avvisati.
sabato 31 marzo 2012
giovedì 29 marzo 2012
Eroi
A me questo Marc Johns piace.
Poi oggi mi ha pubblicato - nello stesso post! - la saliera che legge Il giovane Holden:
e l'arancia che legge Infinite Jest:
Poi oggi mi ha pubblicato - nello stesso post! - la saliera che legge Il giovane Holden:
e l'arancia che legge Infinite Jest:
Salinger e Wallace. I miei eroi di quando ero (rispettivamente) adolescente e me stesso ora.
Come si fa a non ri-postare una roba così?
mercoledì 28 marzo 2012
Feste nerd
Allora, eravamo io, L.*, ed altri ad una festa. Una festa di compleanno. Di un collega di L., quindi di un fisico. Cioè uno che di lavoro fa il ricercatore in fisica.
Festa internazionale, perché noi scienziati siamo internazionali. Italiani, spagnoli, francesi, sudamericani, asiatici, eccetera. Festa un po' in sordina perché noi scienziati, oltre che ad essere internazionali siamo pure un filino nerd.
Ma è solo a una festa di compleanno piena di fisici e scienziati nerd che uno può origliare la conversazione di un matematico cinese che parla inglese con marcato accento americano e sentire la seguente frase, pronunciata come se si trattasse di una frase normale. Come se il pronunciarla non avesse implicazioni e conseguenze drammatiche e irreparabili. Come se l'articolare quelle parole non aprisse un baratro profondissimo e buio sul dolore e le ingiustizie del mondo intero. Eccetera. Insomma, è solo a una festa di fisici che uno può sentire un cinese meno che trentenne dire, anzi cinguettare, con aria scanzonata e inspiegabilmente serena:
Che cosa diamine mi starebbe a significare I don't know why?
Davvero X. (questa è la sua iniziale, ma non vi dico se autentica o no) non si era mai posto il problema fino ad ora? Sono stati l'invito e la partecipazione a una festa di compleanno (forse la prima?) ad aprirgli gli occhi sulla sua miseranda condizione? I suoi precedenti 25 o 30 anniversari del suo compleanno trascorsi in solitudine e serena consapevolezza non hanno fatto suonare una campanellina di allarme nella sua testolina?
A quanto pare, le risposte alle domande di cui sopra sono, nell'ordine: sì, sì e no.
Pensandoci meglio, comunque, l'I-don't-know-why del povero X. non è soltanto un razzo segnaletico di S.O.S. lanciato inutilmente da un canotto di salvataggio frustato da un mare in tempesta, in una notte così buia e tetra da rendere vano ogni tentativo di soccorso.*** L'I-don't-know-why riflette anche l'approccio dello scienziato. Il cosiddetto metodo scientifico.
1 - Mi faccio una domanda. 2 - Non capisco. 3 - Mi chiedo perché.
(1 - Ma davvero non ho mai fatto una festa di compleanno? 2 - Possibile? 3 - Perché?)
Poi, in un mondo ideale, ci sarebbe pure: 4 - E alla fine capisco. (4 - Perché sono uno sfigato!) Ma nella vita reale, nella vita vera, in realtà non ci si capisce mai un emerito cazzo.
_______________
* Questa è una dritta incredibile per voi, là fuori. Per voi assetati di verità. Per voi che siete alla caccia della vera identità di Manoel O. Dias! L. è Quello Schianto Di Donna Che È La Mia Donna (in breve: QSDDCÈLMD) della quale ho già parlato qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, e anche qui. L'iniziale è autentica. In pratica vi ho appena rivelato la prima lettera del suo nome. Se continuo di questo passo presto tutti sapranno chi sono...
** "Perché sei uno sfigato, tesoro...".
*** Non ci sono dubbi. Sono il re della metafora elaborata.
Festa internazionale, perché noi scienziati siamo internazionali. Italiani, spagnoli, francesi, sudamericani, asiatici, eccetera. Festa un po' in sordina perché noi scienziati, oltre che ad essere internazionali siamo pure un filino nerd.
Ma è solo a una festa di compleanno piena di fisici e scienziati nerd che uno può origliare la conversazione di un matematico cinese che parla inglese con marcato accento americano e sentire la seguente frase, pronunciata come se si trattasse di una frase normale. Come se il pronunciarla non avesse implicazioni e conseguenze drammatiche e irreparabili. Come se l'articolare quelle parole non aprisse un baratro profondissimo e buio sul dolore e le ingiustizie del mondo intero. Eccetera. Insomma, è solo a una festa di fisici che uno può sentire un cinese meno che trentenne dire, anzi cinguettare, con aria scanzonata e inspiegabilmente serena:
I never had a birthday party. I don't know why!Ora, a parte l'immane -davvero, immane- tristezza che mi è venuta pensando a questo povero cristo che mai in vita sua ha spento delle candeline su una torta mentre attorno a lui facce amiche intonavano tanti-auguri-a-te. A parte l'impulso, trattenuto a fatica, di dirgli che io una mezza idea ce l'avrei anche avuta, per spiegare il fatto che non avesse mai festeggiato un suo compleanno.** Insomma, a parte tutto questo, direi che la parte più tragica della faccenda è l'I-don-t-know-why.
Che cosa diamine mi starebbe a significare I don't know why?
Davvero X. (questa è la sua iniziale, ma non vi dico se autentica o no) non si era mai posto il problema fino ad ora? Sono stati l'invito e la partecipazione a una festa di compleanno (forse la prima?) ad aprirgli gli occhi sulla sua miseranda condizione? I suoi precedenti 25 o 30 anniversari del suo compleanno trascorsi in solitudine e serena consapevolezza non hanno fatto suonare una campanellina di allarme nella sua testolina?
A quanto pare, le risposte alle domande di cui sopra sono, nell'ordine: sì, sì e no.
Pensandoci meglio, comunque, l'I-don't-know-why del povero X. non è soltanto un razzo segnaletico di S.O.S. lanciato inutilmente da un canotto di salvataggio frustato da un mare in tempesta, in una notte così buia e tetra da rendere vano ogni tentativo di soccorso.*** L'I-don't-know-why riflette anche l'approccio dello scienziato. Il cosiddetto metodo scientifico.
1 - Mi faccio una domanda. 2 - Non capisco. 3 - Mi chiedo perché.
(1 - Ma davvero non ho mai fatto una festa di compleanno? 2 - Possibile? 3 - Perché?)
Poi, in un mondo ideale, ci sarebbe pure: 4 - E alla fine capisco. (4 - Perché sono uno sfigato!) Ma nella vita reale, nella vita vera, in realtà non ci si capisce mai un emerito cazzo.
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* Questa è una dritta incredibile per voi, là fuori. Per voi assetati di verità. Per voi che siete alla caccia della vera identità di Manoel O. Dias! L. è Quello Schianto Di Donna Che È La Mia Donna (in breve: QSDDCÈLMD) della quale ho già parlato qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, e anche qui. L'iniziale è autentica. In pratica vi ho appena rivelato la prima lettera del suo nome. Se continuo di questo passo presto tutti sapranno chi sono...
** "Perché sei uno sfigato, tesoro...".
*** Non ci sono dubbi. Sono il re della metafora elaborata.
lunedì 26 marzo 2012
venerdì 23 marzo 2012
Le grandi soddisfazioni della vita
Tenere questo blog è una fonte di infinite soddisfazioni.
E non mi riferisco solamente ai due premi appena ricevuti, dei quali parlerò diffusamente nei prossimi post.
Mi riferisco al fatto che poco fa qualcuno è finito tra le pagine del mio blog digitando su google:
E non mi riferisco solamente ai due premi appena ricevuti, dei quali parlerò diffusamente nei prossimi post.
Mi riferisco al fatto che poco fa qualcuno è finito tra le pagine del mio blog digitando su google:
preti vecchi con suore vecchie pornoIl trotskista superdotato Fulvio Abbate sarebbe fiero di me.
giovedì 22 marzo 2012
Books I read 7 - Zia Mame, Patrick Dennis
Zia Mame inizia così:
Il libro racconta di Patrick Dennis (l'autore del libro) che all'età di 10 anni resta orfano (e vi giuro che anche questa cosa è raccontata in modo divertente). Un anno prima di morire, suo padre, accusando già problemi cardiaci piuttosto seri, decide di fare testamento. Lascia tutto al figlio, e ne affida la tutela a sua sorella Mame. Patrick racconta di essere stato accompagnato da Norah, la domestica, al cospetto del padre
Da qui in poi il libro continua attraverso una serie di episodi, o meglio, avventure, che coprono tutta la vita di Patrick, dai 10 anni all'età adulta, in compagnia di zia Mame. Si inizia con la stravagante scuola moderna e alternativa alla quale Mame iscrive Patrick, dove "Si va a lezione nudi, e la classe è piena di lampade ultraviolette", per proseguire con le difficoltà economiche legate alla grande depressione risolte magistralmente con un matrimonio con un ricco sudista, e poi ci sono le sue imbarazzanti visite al campus universitario dove Patrick studia, e così via.
Tutto esilarante. Al punto da avermi fatto ridere più volte e ad alta voce su metro, aerei e altri luoghi pubblici, dove di solito cerco di comportarmi bene e non disturbare il prossimo.*
Bene. Per finire, sono andato a spulciare su Wikipedia** ed ho scoperto che in realtà Patrick Dennis è solamente uno dei vari pseudonimi utilizzati da Edward Everett Tenner III. Che questo Mr. Dennis/Tenner fosse un tipo bizzarro l'avevo intuito leggendo questo libro. Ma quando ho scoperto che, negli anni settanta, quando il successo dei suoi libri (venduti a milioni) era passato, Edward Everett Tenner III si era messo a fare il maggiordomo, senza dire peraltro ai suoi datori di lavoro che fosse un romanziere di grande successo internazionale, e che trovava la cosa estremamente divertente, ho capito che zia Mame non era l'unica ad essere così splendidamente fuori di testa.
_______________
* Sono davvero pochi i libri che mi hanno fatto ridere ad alta voce in luoghi pubblici. Uno è il capolavoro di Mordecai Richler, La versione di Barney, un altro è l'irresistibile Una cosa divertente che non farò mai più di David Foster Wallace.
** Perché io non sono di quelli che credono, con Croce (e Calvino), che di un autore contino solo le opere.
Aveva piovuto tutto il giorno. Di solito me ne infischio, se piove o no, ma quella volta avevo promesso di montare le tende e di portare il bambino in spiaggia.ed è un libro divertentissimo di 354 pagine.
Il libro racconta di Patrick Dennis (l'autore del libro) che all'età di 10 anni resta orfano (e vi giuro che anche questa cosa è raccontata in modo divertente). Un anno prima di morire, suo padre, accusando già problemi cardiaci piuttosto seri, decide di fare testamento. Lascia tutto al figlio, e ne affida la tutela a sua sorella Mame. Patrick racconta di essere stato accompagnato da Norah, la domestica, al cospetto del padre
...che con voce rotta ci aveva dato lettura del testamento. Quindi aveva aggiunto che essere affidato a una donna molto, molto particolare come zia Mame era un destino che non avrebbe augurato neanche a un cane, ma per disgrazia non avevo altri parenti e se uno era un derelitto come me non poteva fare tanto lo schizzinoso.Quindi, in mancanza di atri parenti, Patrick si trasferirà da Zia Mame, che scoprirà essere una ricca ed eccentrica signora dalle frequentazioni estremamente altolocate e intellettualoidi. Che vive a New York, naturalmente, in compagnia del fidato domestico giapponese, Ito. Inoltre, le suddette frequentazioni altolocate risulteranno ben presto essere praticamente l'unica occupazione di Mame, che può permettersi di vivere di rendita.
Da qui in poi il libro continua attraverso una serie di episodi, o meglio, avventure, che coprono tutta la vita di Patrick, dai 10 anni all'età adulta, in compagnia di zia Mame. Si inizia con la stravagante scuola moderna e alternativa alla quale Mame iscrive Patrick, dove "Si va a lezione nudi, e la classe è piena di lampade ultraviolette", per proseguire con le difficoltà economiche legate alla grande depressione risolte magistralmente con un matrimonio con un ricco sudista, e poi ci sono le sue imbarazzanti visite al campus universitario dove Patrick studia, e così via.
Tutto esilarante. Al punto da avermi fatto ridere più volte e ad alta voce su metro, aerei e altri luoghi pubblici, dove di solito cerco di comportarmi bene e non disturbare il prossimo.*
Bene. Per finire, sono andato a spulciare su Wikipedia** ed ho scoperto che in realtà Patrick Dennis è solamente uno dei vari pseudonimi utilizzati da Edward Everett Tenner III. Che questo Mr. Dennis/Tenner fosse un tipo bizzarro l'avevo intuito leggendo questo libro. Ma quando ho scoperto che, negli anni settanta, quando il successo dei suoi libri (venduti a milioni) era passato, Edward Everett Tenner III si era messo a fare il maggiordomo, senza dire peraltro ai suoi datori di lavoro che fosse un romanziere di grande successo internazionale, e che trovava la cosa estremamente divertente, ho capito che zia Mame non era l'unica ad essere così splendidamente fuori di testa.
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* Sono davvero pochi i libri che mi hanno fatto ridere ad alta voce in luoghi pubblici. Uno è il capolavoro di Mordecai Richler, La versione di Barney, un altro è l'irresistibile Una cosa divertente che non farò mai più di David Foster Wallace.
** Perché io non sono di quelli che credono, con Croce (e Calvino), che di un autore contino solo le opere.
lunedì 19 marzo 2012
Quello che tutti quanti aspettavamo
Carissimi, è con grande emozione che vi segnalo il ritorno di Fulvio Abbate e di Teledurruti.
Grazie Fuvio.
Grazie.
Grazie Fuvio.
Grazie.
sabato 17 marzo 2012
Per Dinci! Le avvincenti storie e mirabolanti avventure del PD che sarà (parte seconda).
Il punto era che non lo voleva fare nessuno.
La situazione era precipitata così tanto che nemmeno uno poco sveglio come Rutelli avrebbe alla fine accettato una proposta simile. Non si trovava nessuno in tutto lo schieramento di centro-centro-sinistra che volesse candidarsi alle elezioni presidenziali per il semplice motivo che era matematicamente impossibile vincerle. Non solo, non era nemmeno del tutto sicuro che l'alleanza di centro-centro-sinistra sarebbe riuscita a superare il ridicolo sbarramento del 3% necessario ad entrare in parlamento.
Il candidato naturale sarebbe stato, per ovvi motivi, il segretario del partito di maggioranza all'interno dell'alleanza. Il partito in questione era il PD, e il suo segretario era Massimo D'Alema, che tuttavia non aveva la minima intenzione di candidarsi. Ai colleghi di partito che lo imploravano: "Dai, Massimo, candidati tu!" rispondeva toccandosi vistosamente le parti intime e coprendoli di volgarissimi insulti. Ai giornalisti invece rispondeva con il solito "Ma mi faccia il piacere!" e col suo sorrisetto beffardo. E nient'altro.
Altri candidati non ce n'erano. In un primo momento si era pensato per l'appunto a Rutelli ("è l'unico coglione che potrebbe non rendersi conto che sarebbe un suicidio" dichiararono ai giornalisti tutti i maggiori esponenti del centro-centro-sinistra, chiedendo però che non venisse fatto il loro nome), ma poi qualcuno - forse la moglie, e senz'altro sotto suggerimento - gli disse: "Ah Francè, ma non lo vedi che te stanno a pijà per culo?" e quindi il Rutelli ritirò, seppur molto a malincuore, la candidatura.
Gli altri segretari di partito ed illustri esponenti dell'alleanza addussero ogni scusa immaginabile.
Di Pietro, rosso in viso, gridò qualcosa che nessuno riuscì a capire ma che venne interpretata come: "No".
Fassino farfugliò qualcosa senza capo ne coda, gli occhi pieni di terrore. Poi, messo alle strette, per salvarsi annunciò, così sui due piedi e con malcelato imbarazzo, la sua intenzione di passare al centro-centro-destra.
Franceschini disse di avere la suocera ammalata, a Ferrara.
Bersani disse qualcosa tipo: non siamo mica qui a smacchiare la pelle ai leopardi, o a pettinare le bambole, e venne mandato a cagare, e pure con grande sufficienza.
Nonostante nessuno si ricordasse da che parte stesse in quel momento, e per non lasciare nulla di intentato, la candidatura venne proposta pure a Clemente Mastella. Però lui pose come condizione la liberazione immediata di tutti i suoi parenti detenuti, condizione chiaramente inaccettabile dato che le stime più affidabili fissavano il numero di tali parenti attorno al centinaio solo nel carcere di Benevento.
Dal canto loro, i leader dei trentadue partitini di estrema sinistra decisero di non fare alleanze e correre individualmente presentando ciascuno un proprio candidato alla presidenza.
Niki Vendola, ormai indipendente da qualsiasi partito politico e seguace solamente della poesia, replicò con un periodo ipotetico di sesto tipo, stracolmo di ellissi, ossimori, epanalessi, litoti, sineddochi e altre quattro o cinque figure retoriche a caso. Tutti gli astanti si addormentarono prima della fine del discorso, e al loro risveglio Niki non c'era più. Quindi la cosa finì lì.
Pierferdinando Casini, contattato a tal proposito, rispose irritato: "Ma io sono di centro!". "Ah cazzo, è vero..." risposero i messi del PD inviati da lui per trattare la cosa. E se ne andarono mugugnando "Dio, che figura di merda...".
La situazione precipitò definitivamente quando Matteo Renzi, quasi cinquantenne, ufficializzò la sua candidatura dicendo: "Qui ci vuole uno giovane! Uno come me! Basta con questi vecchi bacucchi! Rottamiamoli! Qui siamo davanti a un bivio. E lo dico per davvero. Siamo a un bivio: o me o niente!".
Era l'unico disposto a candidarsi. Ma stava talmente sulle palle a tutti quanti che alla fine non se ne fece niente.
Il centro-centro-sinistra non aveva un candidato.
Nessuno, ma proprio nessuno, aveva pensato di chiedere a Uòlter. Lui c'era rimasto proprio male, e continuava a piagnucolare "Stronzi... Stronzi e cattivi..." e a consolarsi standosene sul divano, con un muso lungo così, a guardare tutti i film della serie "Vacanze di Natale" (gli unici che apprezzasse veramente). Piagnucolava, il povero Uòlter. Piagnucolava e continuava a tramare. Nell'ombra.
La situazione era precipitata così tanto che nemmeno uno poco sveglio come Rutelli avrebbe alla fine accettato una proposta simile. Non si trovava nessuno in tutto lo schieramento di centro-centro-sinistra che volesse candidarsi alle elezioni presidenziali per il semplice motivo che era matematicamente impossibile vincerle. Non solo, non era nemmeno del tutto sicuro che l'alleanza di centro-centro-sinistra sarebbe riuscita a superare il ridicolo sbarramento del 3% necessario ad entrare in parlamento.
Il candidato naturale sarebbe stato, per ovvi motivi, il segretario del partito di maggioranza all'interno dell'alleanza. Il partito in questione era il PD, e il suo segretario era Massimo D'Alema, che tuttavia non aveva la minima intenzione di candidarsi. Ai colleghi di partito che lo imploravano: "Dai, Massimo, candidati tu!" rispondeva toccandosi vistosamente le parti intime e coprendoli di volgarissimi insulti. Ai giornalisti invece rispondeva con il solito "Ma mi faccia il piacere!" e col suo sorrisetto beffardo. E nient'altro.
Altri candidati non ce n'erano. In un primo momento si era pensato per l'appunto a Rutelli ("è l'unico coglione che potrebbe non rendersi conto che sarebbe un suicidio" dichiararono ai giornalisti tutti i maggiori esponenti del centro-centro-sinistra, chiedendo però che non venisse fatto il loro nome), ma poi qualcuno - forse la moglie, e senz'altro sotto suggerimento - gli disse: "Ah Francè, ma non lo vedi che te stanno a pijà per culo?" e quindi il Rutelli ritirò, seppur molto a malincuore, la candidatura.
Gli altri segretari di partito ed illustri esponenti dell'alleanza addussero ogni scusa immaginabile.
Di Pietro, rosso in viso, gridò qualcosa che nessuno riuscì a capire ma che venne interpretata come: "No".
Fassino farfugliò qualcosa senza capo ne coda, gli occhi pieni di terrore. Poi, messo alle strette, per salvarsi annunciò, così sui due piedi e con malcelato imbarazzo, la sua intenzione di passare al centro-centro-destra.
Franceschini disse di avere la suocera ammalata, a Ferrara.
Bersani disse qualcosa tipo: non siamo mica qui a smacchiare la pelle ai leopardi, o a pettinare le bambole, e venne mandato a cagare, e pure con grande sufficienza.
Nonostante nessuno si ricordasse da che parte stesse in quel momento, e per non lasciare nulla di intentato, la candidatura venne proposta pure a Clemente Mastella. Però lui pose come condizione la liberazione immediata di tutti i suoi parenti detenuti, condizione chiaramente inaccettabile dato che le stime più affidabili fissavano il numero di tali parenti attorno al centinaio solo nel carcere di Benevento.
Dal canto loro, i leader dei trentadue partitini di estrema sinistra decisero di non fare alleanze e correre individualmente presentando ciascuno un proprio candidato alla presidenza.
Niki Vendola, ormai indipendente da qualsiasi partito politico e seguace solamente della poesia, replicò con un periodo ipotetico di sesto tipo, stracolmo di ellissi, ossimori, epanalessi, litoti, sineddochi e altre quattro o cinque figure retoriche a caso. Tutti gli astanti si addormentarono prima della fine del discorso, e al loro risveglio Niki non c'era più. Quindi la cosa finì lì.
Pierferdinando Casini, contattato a tal proposito, rispose irritato: "Ma io sono di centro!". "Ah cazzo, è vero..." risposero i messi del PD inviati da lui per trattare la cosa. E se ne andarono mugugnando "Dio, che figura di merda...".
La situazione precipitò definitivamente quando Matteo Renzi, quasi cinquantenne, ufficializzò la sua candidatura dicendo: "Qui ci vuole uno giovane! Uno come me! Basta con questi vecchi bacucchi! Rottamiamoli! Qui siamo davanti a un bivio. E lo dico per davvero. Siamo a un bivio: o me o niente!".
Era l'unico disposto a candidarsi. Ma stava talmente sulle palle a tutti quanti che alla fine non se ne fece niente.
Il centro-centro-sinistra non aveva un candidato.
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Nessuno, ma proprio nessuno, aveva pensato di chiedere a Uòlter. Lui c'era rimasto proprio male, e continuava a piagnucolare "Stronzi... Stronzi e cattivi..." e a consolarsi standosene sul divano, con un muso lungo così, a guardare tutti i film della serie "Vacanze di Natale" (gli unici che apprezzasse veramente). Piagnucolava, il povero Uòlter. Piagnucolava e continuava a tramare. Nell'ombra.
mercoledì 14 marzo 2012
Per Dinci! Le avvincenti storie e mirabolanti avventure del PD che sarà (parte prima).
L'aveva detto così, tanto per dire. Era una di quelle frasi da bar, dette con qualche bicchiere di vino rosso di troppo in corpo. Alle volte ti scappano, frasi così. Spacconate da pensionati. Facilonerie banali ed esagerate.
È sempre il solito discorso: i bar italiani sono pieni di esperti e tecnici in tutti i rami del fare e del sapere. Da sempre i bar italiani traboccano di Commissari Tecnici della nazionale di calcio, di ministri, politici e tuttologi, di grandi amatori esperti di kamasutra, o di strateghi della cooperazione internazionale (che se ne tornino a casa loro! è solitamente la filosofia dominante su quest'ultimo argomento). E il Bar Rita di Osteria Nuova non faceva certo eccezione a questa regola.
Certo, quella frase l'aveva detta, era indubbiamente una frase sua, una frase che aveva effettivamente pronunciato, ma il Signor Sergio Fabbri non si sarebbe di certo aspettato che quelle sue parole lo avrebbero cacciato in un simile casino.
Ciccio Venturi, da sempre gestore del Bar Rita, strofinava il bancone con un vecchio straccio, mentre la tv trasmetteva inutilmente il telegiornale. Erano infatti anni, oramai, che l'interesse generale verso la politica e l'attualità in genere era precipitato ai minimi storici, e il telegiornale non lo guardava più nessuno. Secondo AudiMedia, i notiziari raccoglievano uno share pari allo 0.8%, una frazione ridicola degli ascolti televisivi totali. Solo pochi nostalgici idealisti seguivano ancora la politica e guardavano i tiggì, e il Signor Fabbri era uno di loro. Ciccio Venturi lo sapeva, e sapeva anche che il Signor Fabbri non era l'unico tra i suoi clienti ad essere nostalgico dei vecchi tempi in cui la gente nei bar parlava e litigava di politica. Ce n'erano due o tre, di questi avventori nostalgici, presenze storiche del Bar Rita. Ed era stato proprio per rispetto verso la fedeltà di questi affezionatissimi avventori che Ciccio Venturi aveva mantenuto, al fianco della nuova pay-tv DigiMedia, un allacciamento alla vecchia tv in chiaro, la cosiddetta "digitale-terrestre", l'unica che ancora trasmettesse i notiziari: uno al mattino, e uno alla sera.
Insomma, quella sera c'era Massimo D'Alema al tiggì, coi suoi baffetti bianchissimi e quel sorrisetto da uno che la sa molto, ma molto più lunga di te. Il giornalista, considerato uno degli ultimi baluardi della libera informazione, gli aveva appena posto una domanda elementare di politica interna, e D'Alema stava rispondendo alla sua solita maniera, che era la frase "Ma mi faccia il piacere!", seguita da un sorrisetto beffardo e da assolutamente nient'altro. Era il suo marchio di fabbrica. Ciò a cui doveva la nomea di persona acutissima e intelligentissima. La nomea di uno che è impossibile prendere in castagna.
E fu proprio dopo quella frase tanto dalemiana che il Signor Fabbri pronunciò la sua, di frase, che era questa: "Eh! Saprei io come sistemarla, la politica interna! Se solo me ne dessero la possibilità gli farei vedere io!". La pronunciò circondato da un quasi totale disinteresse. Quasi tutti nel bar continuarono a fare quello che stavano facendo. Continuarono a suggerire formazioni per la nazionale di calcio, a bere caffè corretti e a spartirsi prese a tressette.
Disse proprio così, con pesante accento bolognese: "Eh! Saprei io come sistemarla, la politica interna! Se solo me ne dessero la possibilità gli farei vedere io!". E fu con grande sgomento che il giorno dopo il Signor Fabbri scoprì che, a causa di quella frase pronunciata di fronte al telegiornale della sera, e per tutta una serie di motivi abbastanza difficili da comprendere e ancor più difficili da credere, era diventato il candidato in pectore per le elezioni presidenziali dello schieramento politico di centro-centro-sinistra.
Nel frattempo, a molti chilometri da Osteria Nuova, nel buio di un cinema d'essai di Roma, l'ormai sessantottenne Walter Veltroni fingeva di interessarsi alle immagini mute e in bianco e nero del celeberrimo film cecoslovacco proiettato sullo schermo. Le scritte, per ovvie ragioni anch'esse cecoslovacche, si alternavano alle immagini sfocate e tremolanti. Ma Walter Veltroni, detto Uòlter, non vi prestava attenzione. Non gli era mai piaciuto davvero il cinema, figurarsi quello muto e cecoslovacco. Uòlter se ne stava lì seduto, senza seguire la trama del film. Perché aveva altro per la testa. Uòlter stava infatti tramando nell'ombra.
È sempre il solito discorso: i bar italiani sono pieni di esperti e tecnici in tutti i rami del fare e del sapere. Da sempre i bar italiani traboccano di Commissari Tecnici della nazionale di calcio, di ministri, politici e tuttologi, di grandi amatori esperti di kamasutra, o di strateghi della cooperazione internazionale (che se ne tornino a casa loro! è solitamente la filosofia dominante su quest'ultimo argomento). E il Bar Rita di Osteria Nuova non faceva certo eccezione a questa regola.
Certo, quella frase l'aveva detta, era indubbiamente una frase sua, una frase che aveva effettivamente pronunciato, ma il Signor Sergio Fabbri non si sarebbe di certo aspettato che quelle sue parole lo avrebbero cacciato in un simile casino.
Ciccio Venturi, da sempre gestore del Bar Rita, strofinava il bancone con un vecchio straccio, mentre la tv trasmetteva inutilmente il telegiornale. Erano infatti anni, oramai, che l'interesse generale verso la politica e l'attualità in genere era precipitato ai minimi storici, e il telegiornale non lo guardava più nessuno. Secondo AudiMedia, i notiziari raccoglievano uno share pari allo 0.8%, una frazione ridicola degli ascolti televisivi totali. Solo pochi nostalgici idealisti seguivano ancora la politica e guardavano i tiggì, e il Signor Fabbri era uno di loro. Ciccio Venturi lo sapeva, e sapeva anche che il Signor Fabbri non era l'unico tra i suoi clienti ad essere nostalgico dei vecchi tempi in cui la gente nei bar parlava e litigava di politica. Ce n'erano due o tre, di questi avventori nostalgici, presenze storiche del Bar Rita. Ed era stato proprio per rispetto verso la fedeltà di questi affezionatissimi avventori che Ciccio Venturi aveva mantenuto, al fianco della nuova pay-tv DigiMedia, un allacciamento alla vecchia tv in chiaro, la cosiddetta "digitale-terrestre", l'unica che ancora trasmettesse i notiziari: uno al mattino, e uno alla sera.
Insomma, quella sera c'era Massimo D'Alema al tiggì, coi suoi baffetti bianchissimi e quel sorrisetto da uno che la sa molto, ma molto più lunga di te. Il giornalista, considerato uno degli ultimi baluardi della libera informazione, gli aveva appena posto una domanda elementare di politica interna, e D'Alema stava rispondendo alla sua solita maniera, che era la frase "Ma mi faccia il piacere!", seguita da un sorrisetto beffardo e da assolutamente nient'altro. Era il suo marchio di fabbrica. Ciò a cui doveva la nomea di persona acutissima e intelligentissima. La nomea di uno che è impossibile prendere in castagna.
E fu proprio dopo quella frase tanto dalemiana che il Signor Fabbri pronunciò la sua, di frase, che era questa: "Eh! Saprei io come sistemarla, la politica interna! Se solo me ne dessero la possibilità gli farei vedere io!". La pronunciò circondato da un quasi totale disinteresse. Quasi tutti nel bar continuarono a fare quello che stavano facendo. Continuarono a suggerire formazioni per la nazionale di calcio, a bere caffè corretti e a spartirsi prese a tressette.
Disse proprio così, con pesante accento bolognese: "Eh! Saprei io come sistemarla, la politica interna! Se solo me ne dessero la possibilità gli farei vedere io!". E fu con grande sgomento che il giorno dopo il Signor Fabbri scoprì che, a causa di quella frase pronunciata di fronte al telegiornale della sera, e per tutta una serie di motivi abbastanza difficili da comprendere e ancor più difficili da credere, era diventato il candidato in pectore per le elezioni presidenziali dello schieramento politico di centro-centro-sinistra.
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Nel frattempo, a molti chilometri da Osteria Nuova, nel buio di un cinema d'essai di Roma, l'ormai sessantottenne Walter Veltroni fingeva di interessarsi alle immagini mute e in bianco e nero del celeberrimo film cecoslovacco proiettato sullo schermo. Le scritte, per ovvie ragioni anch'esse cecoslovacche, si alternavano alle immagini sfocate e tremolanti. Ma Walter Veltroni, detto Uòlter, non vi prestava attenzione. Non gli era mai piaciuto davvero il cinema, figurarsi quello muto e cecoslovacco. Uòlter se ne stava lì seduto, senza seguire la trama del film. Perché aveva altro per la testa. Uòlter stava infatti tramando nell'ombra.
domenica 11 marzo 2012
Pulirsi il culo a Parigi
Queste sono cose che succedono solo se uno scavalca le alpi, nelle terre barbare prive di bidet.
La settimana scorsa mi è venuto a trovare M., vecchio amico italiano che vive in Francia (non a Parigi) da più di 5 anni e all'estero da una quindicina d'anni.
Quindici anni senza bidet.
È entrato nel mio bagno e l'ho sentito urlare più volte "Il bidet! Il bidet!" e si è sciacquato le chiappe per una mezz'ora, continuando a gridare "Madò che bello il bidet! Aoh, il bidet! Ah, che bello! Non ci posso credere! Hai il bidet!".
Eccetera.
Son momenti davvero toccanti.
La settimana scorsa mi è venuto a trovare M., vecchio amico italiano che vive in Francia (non a Parigi) da più di 5 anni e all'estero da una quindicina d'anni.
Quindici anni senza bidet.
È entrato nel mio bagno e l'ho sentito urlare più volte "Il bidet! Il bidet!" e si è sciacquato le chiappe per una mezz'ora, continuando a gridare "Madò che bello il bidet! Aoh, il bidet! Ah, che bello! Non ci posso credere! Hai il bidet!".
Eccetera.
Son momenti davvero toccanti.
martedì 6 marzo 2012
La fetta d'ananas sul cazzo
Ah! Quante volte Fulvio Abbate, dagli schermi della compianta emittente monolocale Teledurruti, ha usato questa poetica espressione! La fetta d'ananas sul cazzo. Sì, la fetta d'ananas sul cazzo! Metafora del massimo del godimento e del relax aristocratico.
"Stendersi al sole con una fetta d'ananas sul cazzo". "Aggiustarsi una fetta d'ananas sul cazzo". E così via.
La fetta d'ananas sul cazzo è uno status symbol. Lo status symbol del benessere. Del benessere aristocratico.
Ora, io mi sono guardato praticamente tutti i video di Teledurruti degli ultimi due anni. Non ne ho perso nemmeno uno. E ne vado fierissimo. Li ho visti tutti. Ma non ricordo nessun video nel quale Fulvio Abbate spiegasse un po' in dettaglio la questione della fetta d'ananas sul cazzo.
Io la faccenda l'ho sempre interpretata così (e gli esperti di Teledurruti sono invitati a commentare e discutere la cosa a piacimento).
Immaginatevi una spiaggia bianca e meravigliosa. Un cielo di un indimenticabile international Klein blue*, con in mezzo un sole che grida. Giallo.
E il mare. Il rumore del mare. La linea dell'orizzonte, lontana e ricurva, che separa il blu di sotto dal blu di sopra.
E in mezzo alla lunga spiaggia bianca, non lontana dal mare, una sedia a sdraio, completamente reclinata, con sopra tu.
Tu.
Tu completamente nudo. Tu steso al sole. La pelle abbronzata e calda e ricoperta da minuscole goccioline di sudore che il sole spazza via, infuocato.
Ecco.
Ora immaginatevi una fetta d'ananas. Di quelle col buco nel mezzo. Immaginatevi che sia fresca di frigo. E immaginate di sollevare per un attimo -solo per un attimo- gli occhialini paraocchi a specchio marca GiorgioArmani, unico capo d'abbigliamento tra voi e il sole, per prendere una fetta d'ananas, una di quelle col buco nel mezzo, di introdurre il pene nel suddetto buco e di godere della frescura derivante dalla fetta d'ananas che si appoggia su inguine e testicoli.
Ecco. Io 'sta faccenda l'ho sempre immaginata così. Sbaglierò?
Dichiaro aperto il dibattito.
Dichiaro aperto il dibattito.
(Teledurruti adesso non c'è più. E mi manca tantissimo. Tantissimo.)
_______________
* Sì, me la sto menando gratuitamente. Anzi, aristocraticamente.
lunedì 5 marzo 2012
Books I read 6 - Breakfast of Champions, Kurt Vonnegut
Breakfast of Champions inizia così:
Breakfast of Champions inizia così:
Lo ammetto. Ho iniziato a leggere Vonnegut molto più tardi di quando avrei dovuto. Avevo sentito parlare molto bene e più volte di Slaughterhouse 5, ma alla mia domanda: "E di cosa parla?" mi ero sempre e invariabilmente sentito dire: "Della distruzione di Dresda durante la seconda guerra mondiale".
"Che palle" pensavo ogni volta, tra me e me.
Mi ero convinto, e la mia convinzione era assolutamente basata sul nulla, che Slaughterhouse 5 fosse un libro realista sulla guerra e i suoi orrori eccetera eccetera.* Poi l'anno scorso ne ho trovata un'edizione tascabile da Shakespeare and Co e l'ho comprata, e ora Slaughterhouse 5 è nello scaffale dei libri essenziali. Ho capito di avere davanti un libro completamente diverso da quello che mi aspettassi quando Billy Pilgrim, l'improbabile e inadeguato eroe del libro, ha iniziato a viaggiare su e giù nel tempo.** E poco più avanti, leggendo del suo rapimento da parte degli alieni (i Tralfamadoriani, per l'esattezza) ho dichiarato seduta stante Vonnegut uno dei miei miti assoluti.
La cosa che non ho mai capito è come mai nessuno, ma proprio nessuno, alla mia domanda riguardo al tema principale di Slaughterhouse 5, mi avesse mai risposto qualcosa tipo: "Parla della distruzione di Dresda durante la seconda guerra mondiale ma, nonostante questo, è un libro fantastico. Leggilo! Ci sono pure gli alieni! Pazzesco.". Quindi, ho imparato questa grande lezione. Quando dite a qualcuno quanto un libro vi sia piaciuto, subito dopo ditegli quanto davvero vi sia piaciuto. E se vi è piaciuto davvero tanto, ditegli che deve leggerlo. E siate sicuri che abbia capito, prima di parlare d'altro. I libri belli vanno spinti. Con entusiasmo.
Ma sto divagando. Torniamo a Breakfast of Champions, or Goodbye blue Monday.***
Come è tipico dello stile di Vonnegut, l'evento principale e cardine del libro viene anticipato già all'inizio. Per l'esattezza nella prima frase. Il libro parla dell'incontro di due persone. Kilgore Trout e Dwayne Hoover.
Kilgore Trout è un personaggio ricorrente nei libri di Vonnegut.**** È lo scrittore di fantascienza fuori di testa, che scrive centinaia di romanzi e racconti che nessuno legge, e che vengono pubblicati in riviste pornografiche che hanno bisogno di riempire pagine tra una wide-open beaver e l'altra.
Ora, nella prefazione, il fittizio autore del libro, Philboyd Studge, scrive:
Insomma, non credo ci voglia un critico letterario per capire che Philboyd Sudge, Kilgore Trout,***** e Dwayne Hoover sono tutti quanti Vonnegut, o hanno tutti quanti qualcosa di Vonnegut. E il risultato finale della loro interazione è un assoluto, caoticissimo, meraviglioso casino.
A impreziosire il libro, ci sono i disegni di Vonnegut, tantissimi, e ci sono le ossessioni di Vonnegut, come la ripetizione martellante di frasi o espressioni (come doodley-squat******), o la maniacale descrizione di parti anatomiche dei personaggi (lunghezza e diametro, per intenderci).
Bene. Concludo dicendovi questo: nel libro Palm Sunday, Vonnegut si è dato la pagella, mettendo voti a tutti i suoi romanzi. Breakfast of Champions si è aggiudicato una C. La sufficienza.*******
Boh.
Secondo me è un gran libro.
Divertentissimo.
Triste.
Oscenamente autobiografico.
Che non lascia scampo.
Leggetelo. Davvero, leggetelo. Leggete tutto quello che Vonnegut ha scritto.
____________
* Non c'è assolutamente niente di male nei libri realisti sulla guerra e i suoi orrori. Davvero. Solo che a me non ispirano. Tutto qui.
** "Listen: Billy Pilgrim has come unstuck with time" (Slaughterhouse 5, capitolo 2)
*** Si, diversi libri di Vonnegut hanno più titoli. In questo caso, il titolo alternativo è Goodbye blue Monday.
**** Appare anche in Slaughterhouse 5, per esempio.
***** In realtà il personaggio di Kilgore Trout era originariamente ispirato allo scrittore di fantascienza Theodore Sturgeon, amico di Vonnegut.
****** Che fa il verso al 'So it goes' di Slaughterhouse 5?
******* Per i curiosi: i due libri che hanno preso "A-plus" sono Cat's cradle e Slaughterhouse 5.
The expression 'Breakfast of Champions' is a registered trademark of General Mills, Inc., for use on a breakfast cereal product. The use of the identical expression as the title for this book is not intended to indicate an association with or sponsorship by General Mills, nor is it intended to disparage their fine products.ma in realtà questa è solamente la prima frase della prefazione dell'autore. Ma siccome la prefazione è firmata Philboyd Studge, e non Kurt Vonnegut, se ne deduce che il romanzo, la storia inventata, in realtà inizia già dalla prefazione. Comunque, nel caso in cui a qualcuno non piaccia far iniziare i libri dalla prefazione, riavvolgiamo tutto e ricominciamo.
Breakfast of Champions inizia così:
This is a tale of a meeting of two lonesome, skinny, fairly old white men on a planet which was dying fast.ed è un libro di 271 pagine che solo Kurt Vonnegut avrebbe potuto scrivere.
Lo ammetto. Ho iniziato a leggere Vonnegut molto più tardi di quando avrei dovuto. Avevo sentito parlare molto bene e più volte di Slaughterhouse 5, ma alla mia domanda: "E di cosa parla?" mi ero sempre e invariabilmente sentito dire: "Della distruzione di Dresda durante la seconda guerra mondiale".
"Che palle" pensavo ogni volta, tra me e me.
Mi ero convinto, e la mia convinzione era assolutamente basata sul nulla, che Slaughterhouse 5 fosse un libro realista sulla guerra e i suoi orrori eccetera eccetera.* Poi l'anno scorso ne ho trovata un'edizione tascabile da Shakespeare and Co e l'ho comprata, e ora Slaughterhouse 5 è nello scaffale dei libri essenziali. Ho capito di avere davanti un libro completamente diverso da quello che mi aspettassi quando Billy Pilgrim, l'improbabile e inadeguato eroe del libro, ha iniziato a viaggiare su e giù nel tempo.** E poco più avanti, leggendo del suo rapimento da parte degli alieni (i Tralfamadoriani, per l'esattezza) ho dichiarato seduta stante Vonnegut uno dei miei miti assoluti.
La cosa che non ho mai capito è come mai nessuno, ma proprio nessuno, alla mia domanda riguardo al tema principale di Slaughterhouse 5, mi avesse mai risposto qualcosa tipo: "Parla della distruzione di Dresda durante la seconda guerra mondiale ma, nonostante questo, è un libro fantastico. Leggilo! Ci sono pure gli alieni! Pazzesco.". Quindi, ho imparato questa grande lezione. Quando dite a qualcuno quanto un libro vi sia piaciuto, subito dopo ditegli quanto davvero vi sia piaciuto. E se vi è piaciuto davvero tanto, ditegli che deve leggerlo. E siate sicuri che abbia capito, prima di parlare d'altro. I libri belli vanno spinti. Con entusiasmo.
Ma sto divagando. Torniamo a Breakfast of Champions, or Goodbye blue Monday.***
Come è tipico dello stile di Vonnegut, l'evento principale e cardine del libro viene anticipato già all'inizio. Per l'esattezza nella prima frase. Il libro parla dell'incontro di due persone. Kilgore Trout e Dwayne Hoover.
Kilgore Trout è un personaggio ricorrente nei libri di Vonnegut.**** È lo scrittore di fantascienza fuori di testa, che scrive centinaia di romanzi e racconti che nessuno legge, e che vengono pubblicati in riviste pornografiche che hanno bisogno di riempire pagine tra una wide-open beaver e l'altra.
A wide-open beaver was a photograph of a woman not wearing underpants, and with her legs far apart, so that the mouth of her vagina could be seen.Dwayne Hoover è invece un ricco venditore d'auto. Marca Pontiac. Ci viene quasi subito fatto sapere che in seguito al loro incontro, Kilgore Trout diventerà uno degli esseri umani più rispettati e ammirati di sempre, mentre Hoover uscirà completamente di testa.
Ora, nella prefazione, il fittizio autore del libro, Philboyd Studge, scrive:
This book is my fiftieth birthday present to myself. I feel as though I am crossing the spine of a roof - having ascended one slope.Il libro è stato pubblicato nel 1973. L'anno prima Vonnegut compiva 50 anni. La madre di Philboyd Studge si è suicidata, come quella di Vonnegut. I libri di Vonnegut sono pieni di cose pazze che potrebbero essere catalogate come fantascienza. A un certo punto della sua vita, Vonnegut ha venduto auto (ma non Pontiac, bensì Saab).
Insomma, non credo ci voglia un critico letterario per capire che Philboyd Sudge, Kilgore Trout,***** e Dwayne Hoover sono tutti quanti Vonnegut, o hanno tutti quanti qualcosa di Vonnegut. E il risultato finale della loro interazione è un assoluto, caoticissimo, meraviglioso casino.
A impreziosire il libro, ci sono i disegni di Vonnegut, tantissimi, e ci sono le ossessioni di Vonnegut, come la ripetizione martellante di frasi o espressioni (come doodley-squat******), o la maniacale descrizione di parti anatomiche dei personaggi (lunghezza e diametro, per intenderci).
Bene. Concludo dicendovi questo: nel libro Palm Sunday, Vonnegut si è dato la pagella, mettendo voti a tutti i suoi romanzi. Breakfast of Champions si è aggiudicato una C. La sufficienza.*******
Boh.
Secondo me è un gran libro.
Divertentissimo.
Triste.
Oscenamente autobiografico.
Che non lascia scampo.
Leggetelo. Davvero, leggetelo. Leggete tutto quello che Vonnegut ha scritto.
____________
* Non c'è assolutamente niente di male nei libri realisti sulla guerra e i suoi orrori. Davvero. Solo che a me non ispirano. Tutto qui.
** "Listen: Billy Pilgrim has come unstuck with time" (Slaughterhouse 5, capitolo 2)
*** Si, diversi libri di Vonnegut hanno più titoli. In questo caso, il titolo alternativo è Goodbye blue Monday.
**** Appare anche in Slaughterhouse 5, per esempio.
***** In realtà il personaggio di Kilgore Trout era originariamente ispirato allo scrittore di fantascienza Theodore Sturgeon, amico di Vonnegut.
****** Che fa il verso al 'So it goes' di Slaughterhouse 5?
******* Per i curiosi: i due libri che hanno preso "A-plus" sono Cat's cradle e Slaughterhouse 5.
domenica 4 marzo 2012
Anticipazione
Questa immagine l'ho trovata su Facebook, purtroppo non so quale sia la fonte originale. Peccato.
E ora un'anticipazione pubblicitaria. Leggetemi domani (come dovreste fare ogni giorno) per la recensione di Breakfast of Champions di Kurt Vonnegut!
Buon fine weekend a tutti.
venerdì 2 marzo 2012
Contrordine compagni
Sono appena tornato dal Monoprix (supermercato francese). Non ci sono più le uova di pasqua. La settimana scorsa c'erano, adesso non ci sono più.
Delle due l'una: o questi leggono il mio blog, oppure la laicità francese ha davvero trionfato e s'è deciso di annullare la Santa Pasqua 2012.
Così.
Alla faccia del papa.
Buon weekend a tutti.
Delle due l'una: o questi leggono il mio blog, oppure la laicità francese ha davvero trionfato e s'è deciso di annullare la Santa Pasqua 2012.
Così.
Alla faccia del papa.
Buon weekend a tutti.
giovedì 1 marzo 2012
Lucio Dalla
Sono quasi le 8 e sono ancora al lavoro, un po' raffreddato e con un po' di tosse. Sono anche un po' stanco se devo dirla tutta. Ho avuto una settimanella bella piena e intensa, ma il weekend è vicino. Il weekend è vicino.
E domani arriva a Parigi quello schianto di donna che è la mia donna.
Sì. Domani sarà qui.
Siamo su Skype, adesso. Non c'è più nessuno qui in ufficio quindi l'ho chiamata. Prima parlavamo. È stanca anche lei e ci siamo detti le nostre stanchezze. Ma domani atterrerà a Orly, e io sarò li al Terminal col naso schiacciato contro il vetro per cercare di vederla appena sbuca dal corridoio. So già cosa farà appena sbucherà dal corridoio. Andrà in bagno a fare la pipì. Lo fa sempre. Conte aveva ragione, è vero che le donne han sempre voglia di far la pipì.
Prima parlavamo, ma adesso si è messa a fare la valigia, e io cerco di decidere se sia meglio andare a casa o finire di leggere un articolo pieno di formule troppo lunghe per le otto di sera di un giovedì. Lei si è messa a fare la valigia ma non ha chiuso Skype, quindi la sento. Sento i rumori delle cose che dall'armadio finiscono dentro alla valigia, sento lo zip della cerniera, i passi di lei che va dall'armadio alla valigia. E intanto vedo il muro di casa sua. Bianco. Con lo specchio, a sinistra, e la porta a destra. E la sedia un po' scostata dal tavolo.
Poi lei si mette a cantare e allora io decido che le formule sono decisamente troppo poco interessanti per le otto di sera di un giovedì, ma decido anche che andare a casa può aspettare. Andrò a casa quando finirà di cantare. Perché è bello stare qui col buio fuori dalla finestra, senza far niente, e sentirla cantare.
Canta con impegno. Ma forse non lo sa. Non canta bene (ma non diteglielo che è un po' permalosa) ma neanche male. Canta come se non ci fosse nessuno ad ascoltarla, che forse è l'unico modo serio per cantare.
Quindi io aspetto.
E poi sta cantando l'anno che verrà, quindi sarebbe davvero stupido andarsene.
E domani arriva a Parigi quello schianto di donna che è la mia donna.
Sì. Domani sarà qui.
Siamo su Skype, adesso. Non c'è più nessuno qui in ufficio quindi l'ho chiamata. Prima parlavamo. È stanca anche lei e ci siamo detti le nostre stanchezze. Ma domani atterrerà a Orly, e io sarò li al Terminal col naso schiacciato contro il vetro per cercare di vederla appena sbuca dal corridoio. So già cosa farà appena sbucherà dal corridoio. Andrà in bagno a fare la pipì. Lo fa sempre. Conte aveva ragione, è vero che le donne han sempre voglia di far la pipì.
Prima parlavamo, ma adesso si è messa a fare la valigia, e io cerco di decidere se sia meglio andare a casa o finire di leggere un articolo pieno di formule troppo lunghe per le otto di sera di un giovedì. Lei si è messa a fare la valigia ma non ha chiuso Skype, quindi la sento. Sento i rumori delle cose che dall'armadio finiscono dentro alla valigia, sento lo zip della cerniera, i passi di lei che va dall'armadio alla valigia. E intanto vedo il muro di casa sua. Bianco. Con lo specchio, a sinistra, e la porta a destra. E la sedia un po' scostata dal tavolo.
Poi lei si mette a cantare e allora io decido che le formule sono decisamente troppo poco interessanti per le otto di sera di un giovedì, ma decido anche che andare a casa può aspettare. Andrò a casa quando finirà di cantare. Perché è bello stare qui col buio fuori dalla finestra, senza far niente, e sentirla cantare.
Canta con impegno. Ma forse non lo sa. Non canta bene (ma non diteglielo che è un po' permalosa) ma neanche male. Canta come se non ci fosse nessuno ad ascoltarla, che forse è l'unico modo serio per cantare.
Quindi io aspetto.
E poi sta cantando l'anno che verrà, quindi sarebbe davvero stupido andarsene.
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