sabato 31 dicembre 2011

Leggerissima flessione

Carissimi,

da metà dicembre il numero di accessi al blog ha mostrato una leggerissima flessione verso il basso. Da una quarantina di accessi il 15 dicembre, giù giù fino allo zero (si, zero, "0") di oggi.

Sono le feste del Santo Natale o sono io che scrivo peggio? Mah... Aspetto con ansia la (Santa) Befana per vedere se gli accessi si ripigliano...

Comunque.

È con questi profondissimi dubbi e intricati interrogativi che vi auguro un buon anno.

giovedì 29 dicembre 2011

Terminal 6: Aeroporto di Parigi - Beauvais Tille

Sarò breve.

L'aeroporto di Parigi - Beauvais fa cagare. È uno dei posti più brutti del mondo. Ci vuole un secolo per raggiungerlo, è veramente in mezzo al nulla e tipicamente i voli che si prendono da lì ti portano in aeroporti che sono in  mezzo al nulla e per raggiungere i quali ci si mette un secolo.

E smettiamola con queste stupidaggini del tipo "Eh si, ma da lì ci sono i voli low-cost e vai ovunque con pochi euri!" perché: 1) nonostante questo l'aeroporto di Parigi Beauvais resta uno dei posti più brutti del mondo, e 2) la navetta che ti ci porta costa così tanto che ho sentito gente che per pagarla ha aperto un  mutuo a tasso variabile.

Basta.

Ho finito.

Zero stelline.

domenica 25 dicembre 2011

Che coss'è il Natal...?

Carissimi/e (o forse dovrei dire Carissime/i, ho come la vaga impressione che mi leggano più donne che uomini),

è da qualche giorno che non scrivo sul blog. Tutta colpa del Santo Natale. Il Santo Natale rischia ogni anno di diventare uno stress. Tutte le cose da finire prima di partire per tornare in Italie, la shopping matto e disperatissimo del 24 pomeriggio per comprare i regali a tutte le zie ecc ecc ecc, le mangiate apocalittiche, le bevute con gli amici e compagnia bella.

Insomma, il Santo Natale è una roba che porta via un sacco di tempo.

Comunque, vi racconto una cosa piccola piccola che è ormai diventata, per me, una routine natalizia. Una cosa di cui mi dimentico, puntualmente, ogni anno, e poi quando, puntualmente, ogni anno, inesorabile, accade, mi ritrovo a sorridere e ha pensare: "Eh, già, è proprio arrivato il Santo Natale...".

Allora, la prendo un po' larga. Ho iniziato a fare il lavoro che faccio nel 2001, circa 10 anni fa. Nel 2001, no forse nel 2002, mi son ritrovato per motivi di lavoro confinato per un mese in un posto assurdo sulle alpi al confine tra italia e francia. Lì ho conosciuto un collega australiano, che di nome fa Donald. Un tizio simpatico, di Melbourne. Era uno di quelli con cui la sera mi facevo un paio di birrette e un sacco di chiacchiere nel mio inglese primitivo e stentato (ah... i bei vecchi tempi andati...).

Circa un anno dopo, nel 2003 quindi, Donald passò per motivi di lavoro da Firenze, dove io vivevo all'epoca, e  lo ospitai per un paio di giorni chez moi. Poi lui partì, seguì un breve scambio di email, poi sapete come vanno le cose, le mail si diradarono e piano piano finirono del tutto.

Bene.

Succede. Anche con la gente simpatica. E' impossibile tenere i contatti con tutti ecc ecc ecc. Poi Donald ha cambiato lavoro e quindi anche le occasioni lavorative per incontrarsi non ci sono più state ecc ecc ecc.

Succede.

Però da allora, ogni anno, nel giorno del Santo Natale, io ricevo un mail da Donald intitolato sempre allo stesso modo: "Seasons Greetings". E' l'unico mail che ricevo da Donald durante l'anno ed ha una struttura che è rimasta assolutamente invariata negli anni.

Inizia sempre con: "Hello [Nome]!" (sospetto sia un mail che mandi in serie a più persone...), poi segue una domanda retorica, sempre leggermente diversa, me che significa invariabilmente qualcosa del tipo: "riflettiamo sull'anno 20XX e chiediamoci: cosa ci ha portato di buono?".

Poi segue il cuore dell mail, ovvero un elenco dei punti salienti professionali dell'anno appena passato. Siccome Donald ora lavora nel settore dell'energia geotermica di solito questa parte del mail comprende:

1) elenco di incarichi ricoperti in aziende o agenzie governative che operano nel settore del geotermico,

2) lista dei viaggi (di solito divisi in nazionali e internazionali) che Donald ha intrapreso per andare a visitare centrali geotermiche in giro per il mondo e/o per discutere con altri esperti del geotermico ecc ecc ecc,

3) commenti sull'importanza del geotermico per tutti noi,

4) prospettive future per lo sviluppo dell'energia geotermica, con note e commenti su quanto sia bella e utile, quest'energia geotermica.

Dopo questo elenco segue un breve paragrafetto (un paio di frasi, tre al massimo) sulla sua vita privata. Per esempio, quest'anno ho imparato che Donald si è "engaged" con una dolcissima e "davvero compatibile" (sto citando testualmente) ragazza che sposerà in febbraio. Se ho voglia di farmi un viaggio down-under (a Donald piace da matti definire l'Australia così, usa questa espressione ogni anno) sono chiaramente invitato.

La mail finisce con gli auguri di un sereno 20XX e un invito a scrivergli per raccontagli un po' come me la passo.

Ora. Magari vi sembrerà una roba un po' stucchevole ricevere ogni anno a Natale, e solo a Natale, una mail dove si parla sostanzialmente di energia geotermica. Però questa cosa per me è diventata ormai un'abitudine. E il fatto che me ne dimentichi puntualmente ogni anno, il fatto che ogni anno la mail geotermica di Donald mi prenda assolutamente alla sprovvista, è una cosa che mi mette sempre di buonumore.

"Ah! Ecco il vecchio Donald che mi scrive!" penso quando vedo nella inbox una mail intitolata Seasons Greetings, "Vediamo come se l'è passata quest'anno!" e capisco che l'anno è davvero finito e che magari Donald ha proprio ragione ed è il caso di fare qualche bilancio.

Gli rispondo sempre, a Donald. Non subito. Me la prendo un po' comoda. Di solito lo faccio qualche giorno dopo aver ricevuto la sua mail. E gli dico se ho cambiato casa, o posto dove vivo. Gli dico se sono single o accoppiato. Gli dico dove son stato in vacanza, e se mi son divertito o no.

Insomma, gli dico cose così.

mercoledì 21 dicembre 2011

Quanti siamo?

Ci sono alcuni dei post di questo blog che potrebbero benissimo far parte della rubrica sugli aeroporti, ma non ne fanno parte. Quello che sto per scrivere è uno di questi. Il fatto è che ho già recensito l'aeroporto di Parigi Orly, terminal Ouest, e non mi va di fare dei doppioni. Quindi eccovi un post su aeroporti, viaggi, pensieri, intitolato "Quanti siamo?".

Per amore della sintesi, l'espressione "Quello Schianto Di Donna Che È La Mia Donna" sarà abbreviata in quanto segue con: QSDDCÈLMD.

__________

Venerdì è arrivata a Parigi QSDDCÈLMD. Ecco com'è andata. È uscita di casa alle 6.45 di mattina, si è recata all'aeroporto X (che ancora non ho recensito), dopodiché tutto è andato male. Causa maltempo, volo in ritardo di un'ora abbondante. E mentre lei smadonna senza ritegno in aeroporto io entro in ansia (Oddio, arriverà? Ma quando arriverà?) e inizio una delle giornate lavorative meno produttive del millennio.

Il problema è che QSDDCÈLMD sarebbe dovuta partire dall'aeroporto X, fare scalo all'aeroporto Y, e atterrare alle 14 circa a Parigi Orly (terminal Ouest). Solo che il ritardo causa maltempo a X le ha fatto perdere la coincidenza a Y. Cazzo, cazzo, e cazzo. Mi tengo in contatto telefonico fittissimo, sia per capire la situazione, sia perché sono innamoratissimo (dio, che imbarazzo...). È in fila al desk della compagnia aerea per vedere se la mettono in un altro volo. Davanti a lei, trecento persone.

Insomma. Cancellano il volo successivo da Y a Paris. Scene di panico. Mille telefonate e sms. Poi finalmente l'annuncio. QSDDCÈLMD verrà imbarcata sul volo successivo-successivo (due voli dopo) a quello che avrebbe dovuto prendere. E arriverà a Paris con un ritardo di 5 ore.

Bene.

Un'ora prima del suo arrivo previsto esco dal lavoro per andare a prenderla in aeroporto. Decido di andare a prenderla in aeroporto sia perché mi sembra un gesto carino dopo un viaggio (suo) così assurdo, sia perché sono innamoratissimo (ulteriore imbarazzo...). Scendo giù sottoterra alla stazione della RER C, direzione Orly. C'è un sacco di gente sul marciapiede, un sacco di gente seduta per terra, gente seduta sui gradini che portano al marciapiede, gente che chiacchiera, gente incazzata, insomma gente dappertutto, più un po' di gente a testa in sù che guarda gli schermi sui binari che annunciano che tutti i treni (si, tutti) sono retardé.

Merda.

Chiedo. Mi dicono che a causa di un bagaglio sospetto abbandonato nella stazione Dio-solo-sa-quale hanno bloccato la circolazione sulla RER C. Però tranquillo, mi fa una signorina con la casacca della RATP che spande ottimismo sul marciapiede, tra poco si riparte.

Aspetto 10 minuti e non riparte niente.

Dopo 12 minuti una vocina annuncia che tutti i treni sono soppressi per un'altra mezz'ora.

Cazzo, cazzo, e cazzo.

Prendo la metro 14, direzione Chatelet. L'idea è cambiare lì per prendere la RER B che porta pure lei a Orly. Alla 14 c'è chiaramente un oceano di folla. Il marciapiede è stipato di corpi accalcati. La metro arriva e inizia il ritmico rito della gente che si apre a ventaglio sul marciapiede di fronte a ogni porta, lasciando spazio alla gente che scende dal vagone a scatti e sbuffi, come un getto d'acqua che esce da un tubo strozzato, poi il ventaglio si richiude disordinatamente, è tutto uno spingere e premere di corpi su corpi finché il vagone si riempie, la sirena fischia, le porte si chiudono, e qualcuno là fuori interrompe la sua corsa ormai inutile e rimane fermo sul marciapiede che pian piano si sta riempiendo di nuovo e guarda le facce senza espressione dentro ai finestrini del treno che se ne va. E  poi tutto ricomincia da capo.

Sono stipato in un vagone della 14, sento i corpi delle persone attorno a me premere sul mio. Braccia e pancie e spalle. Sulla RER B è la stessa cosa. Gente dappertutto. Vagoni stipati. Corpi e facce e occhi nel vuoto e nasi che respirano aria già respirata mille volte.

E mentre me ne sto li a sperare di arrivare in tempo penso - ma quanti siamo?

E penso a come sarebbe vederci tutti quanti da lontano, vederci dall'alto, muoverci frenetici su e giù per strade e scale e ascensori. Infilarci dentro macchine e bus e vagoni del metro. Muoverci in sgangherata raggiere verso o via da Chatelet, che è l'impero della folla.

E penso che lo so come sarebbe vederci tutti quanti dall'alto. Lo so perché l'ho visto.

Era notte ed ero a Tokyo. Uno di quei weekend sospesi tra due viaggi di lavoro e uno si ritrova a fare il turista solitario. Insomma giravo per Tokyo e la sera mi son ritrovato a Roppongi, un quartiere modernissimo con questo grattacielo enorme e ci son salito in cima, al grattacielo enorme.

Sono rimasto letteralmente senza fiato. Stordito dentro alla enorme vasca da pesci rossi dalla quale decine di persone guardavano giù, col naso appiccicato al vetro.

Mi son seduto a un bar, mi sono messo a un tavolino che guardava fuori. E non riuscivo a smettere di guardare tutta quella luce. Quei palazzi di fiamme giallo biancastre e quel groviglio di macchine in file indiane ordinate e bipedi, una serie infinita di coppie di occhietti illuminati che scivolavano sulle strade, e si fondevano con altre processioni, e si diramavano e congiungevano, un fiume di luce che avvolgeva i palazzi come se fossero sassi in un ruscello. Luce fluida. Luce liquida.

Sono rimasto immobile per più di un'ora a guardare la luce di Tokyo vista da sù. Non riuscivo a smettere. Davvero, non riuscivo a smettere. C'era un silenzio surreale dentro alla vasca da pesci rossi, lassù sulla torre di osservazione, c'era un silenzio surreale e io pensavo a quanto fosse bello tutto quanto. E pensavo - ma quanti siamo?

E non capivo, e non capisco nemmeno ora, come possa tutto questo funzionare. Come possano tutte queste cose incastrarsi tra loro, e funzionare.

Quando sono sceso dal grattacielo di Roppongi ero tranquillo. Era ancora notte, ma le notti viste dal basso sono diverse. Sono palazzi con finestre illuminata. Sono persone che camminano in silenzio in strade semivuote. Sono semafori che cambiano colore inutilmente. Sono insegne di bar che stanno sopra a porte illuminate. Porte di vetro appannato che illuminano un pezzetto di marciapiede, e che parlano mille voci e rumori mescolati assieme quando qualcuno le apre.

Non so perché, ma quando sono sceso dal grattacielo di Roppongi e camminavo in silenzio verso il metro ero davvero tranquillo.


martedì 20 dicembre 2011

Buoni propositi

Carissimi,

sono già quattro o cinque giorni che non posto nulla. Non è facile mantenere un ritmo costante di posting, specialmente quando c'è un weekend di mezzo, specialmente quando ci sono mille cose da finire prima del santo natale ecc ecc.

Ho ripensato alla rubrica sui libri presentata nell'ultimo post (e ancora ferma ai blocchi di partenza). Ho deciso di impormi un numero minimo di post per quella rubrica: uno al mese. Però ci sono anche dei mesi in cui io un libro intero non lo leggo (tipo questo mese sto lottando con un tomo da 900 pagine, e non è detto che riesca a leggerlo tutto prima del 31). Quindi ho deciso di affiancare alla rubrica "Books I read" una seconda rubrica, uguale per struttura e contenuti, che si intitolerà "Lo scaffale".

Nella rubrica "Lo scaffale" recensirò i libri essenziali, i libri fondamentali che ho letto nella trentina di anni di vita da lettore che ho vissuto. La rubrica si chiama così perché a casa mia, chez moi, c'è uno scaffale apposta per questi libri.

Bene. Però dovete aiutarmi a mantenere il ritmo regolare e costante. Quindi cazziatemi se non recensisco un libro al mese.

Inizio a gennaio con Underworld di De Lillo (sempre che riesca a finirlo...) oppure con Slaughterhouse 5 di Vonnegut (che sta sullo scaffale).

Ecco. Visto che bravo? Vi dò pure le anticipazioni...

Questo è il mio buon proposito (un altro!) per il 2012.

giovedì 15 dicembre 2011

Nuova rubrica: Books I read

Cari,

ho deciso che da questo momento un'altra rubrica affiancherà quella sugli aeroporti (qui).
La rubrica si intitolerà "Books I read". Seguirà il solito numero progressivo (esempio: Books I read 1, Books I read 2, ecc ecc). Il titolo della rubrica è in inglese e il motivo dell'inglese è piuttosto semplice: ho voglia di menarmela un po'. Ho voglia di far l'ammmericano.

Vi dico questo (il fatto che me la meno) perché sia chiaro a tutti che sono uno che se la mena un po' che però sa di menarsela, il che rende la situazione del tutto diversa da quella in cui uno se la mena e basta.

Comunque.

La rubrica verrà scritta ogni volta che finirò di leggere un libro e conterrà una breve recensione soggettiva (ma insindacabile!) del libro stesso.

La struttura del post/recensione sarà all'incirca così.

_____________

Autore: Nome Autore
Titolo: Titolo libro
Pagine: Numero pagine

La frase: Una frase bella presa dal libro

Breve recensione del libro.

Scaffale?     [  ] si     [  ] no     [  ] ci devo pensare un po'

_____________

Come vedete, niente stelline o classifiche. Troppo difficile per i libri. Vi dirò solo, alla fine del post, se il libro merita o meno di essere esposto sullo scaffale-dei-libri-essenziali che ho da qualche parte a casa mia.

Vi anticipo che ora sto leggendo Underworld di Don DeLillo che ha quasi 900 pagine. Sono a buon punto ma mi ci vorrà ancora un po'.

Abbiate pazienza.

martedì 13 dicembre 2011

Mille (si, ve l'avevo detto mille volte)

Cari,

mi prendo la liberà di scrivere un ennesimo post auto-referenziale, auto-celebrativo, egocentricamente incentrato sul blog e su me stesso, e che metta in luce ancora una volta (a beneficio di coloro che si siano sintonizzati in questo momento) la mia malata ossessione compulsiva per, nell'ordine: fama, successo, celebrità.

Bene. Procediamo senza imbarazzo.


È con malcelata emozione che vi comunico che:


Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno ha superato ieri i 1000 accessi.


Ve l'avevo detto, no? [Dio, che soddisfazione dire "ve l'avevo detto"... che sod-dis-fa-zio-ne...]

Comunque, questo grandioso risultato può essere interpretato solamente in un modo. Il blog è decollato. È inarrestabile. La strada verso la notorietà è diritta e larga (e pure in discesa). Presto, molto presto, B.L.O.G. sarà il blog più popolare d'Italia. [In realtà lo è già, ma in molti, in troppi!, ancora non lo sanno]. E presto sarà sulla bocca (e sui bookmarks) di tutti.

Bene. La strategia ormai è perfettamente delineata. Al fine di continuare a farmi leggere ogni giorno, basterà mantenere la qualità dei post stratosfericamente alta, come ho fatto fino ad ora.

Però a me piacciono le sfide. A me piacciono gli ostacoli da superare. Mi piace il vento tra i capelli, la musica di Wagner [musica di Wagner in sottofondo, a volume altissimo], e tutte quelle balle lì. Quindi lancio una sfida.

E la sfida è: 10,000 (si, avete capito bene, "diecimila") accessi entro la fine del 2012.

E ora copritemi di commenti pieni di stupore e meraviglia. Commenti che dicano, più o meno, ma com'è, caro Manoel, che con un blog così pazzescamente meraviglioso resti pur sempre umile e modesto?

Già.

Com'è?

domenica 11 dicembre 2011

Serioso post

La cosa più difficile e crudele nello scrivere un blog è che spesso ci si accorge di non avere niente da raccontare.

Mi sono successe un sacco di cose in questo weekend che è appena finito [NdR: era appena finito, al momento in cui mi sono messo a scrivere questo post...],  e ho visto un mucchio di gente. Belle cose e bella gente. Eppure non ho una storia da raccontare.

Il che mi fa pensare che non so bene che cosa sia, in fondo, una storia.

Tra tutte le cose che ci capitano durante una giornata, belle o brutte che siano, cos'è che fa alcune di queste cose diverse dalle altre? Cosa le rende adatte a diventare una storia? Ad essere raccontate?

Credo che uno dei punti cruciali sia semplicemente il piacere che dà una bella storia. Sia se la si racconta, sia se la si ascolta. E ho l'impressione che questo valga abbastanza universalmente: dai blog ai capolavori della letteratura. Raccontare è bello. Ascoltare storie pure.

Tra l'altro, il motivo per cui mi sono messo a scrivere questo blog senza dirlo a nessuno che mi conosca (si, si, ok, con l'unica eccezione di quello schianto di donna che è la mia donna) è proprio questo: voglio provare a raccontare storie che siano semplicemente storie, storie che qualcuno voglia leggere per il semplice gusto di leggere storie, storie non appesantite dal fatto che chi le legge conosce chi le ha scritte.

Ci ho pensato un po' su e ho concluso che una cosa, per diventare una storia, deve avere un inizio e una fine. Dev'essere in un certo senso confinata, limitata. Deve avere dei bordi, dei contorni precisi, ed è proprio la chiarezza di questi contorni che la rende raccontabile.

Ci ho pensato un po' di più e ho capito che la cosa non deve essere necessariamente limitata temporalmente. L'inizio e la fine non devono essere due istanti, fissati nel tempo. Ci sono storie bellissime che restano sospese, a galleggiare tra il prima e il dopo, storie delle quali non si sa né cosa ci fosse prima di pagina 1, né cosa ci sarà dopo l'ultima pagina. Prendete il monumentale capolavoro di David Foster Wallace, Infinite jest, e provate a chiedervi che cosa facesse Hal Incandenza prima e dopo gli sconclusionati inizio e fine (o fine e inizio?) delle 1300 pagine-fiume che compongono il romanzo. Impossibile dirlo. Però la storia resta lì, perfettamente definita (e meravigliosa!) nonostante sia un isterico e nebuloso  e spaesante groviglio.

Credo che sia più importante il bordo, per fare di una storia una bella storia, il confine che separa la storia da tutto il resto, qualunque esso sia.

Un'immagine. Ci vuole un'immagine chiara e definita. Forse è quello che ci vuole, per avere una storia da raccontare.

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Sto diventando troppo serio? Prometto un post frivolo al più presto. Magari uno di quelli autoreferenziali e ossessivo/compulsivi che vi fanno tanto arrabbiare (vedi qui, nel commenti).

venerdì 9 dicembre 2011

L'irritante pigrizia di Nick

Sono un po' arrabbiato con Nick Hornby.

Già.

Espongo la questione. C'è una rivista americana molto bella che si chiama The Believer. Parla di letteratura e altro. È proprio bella, sia come contenuti, che come design, e anche l'odore e la sensazione tattile delle pagine sono favolosi. Quindi, per tutti questi motivi, la compro quasi sempre.

Bene.

Nick Hornby tiene una rubrica fissa su The Believer che si intitola Stuff I've been reading (per esempio: qui). La rubrica parte con due liste: i libri che Nick Hornby ha comprato nel mese precedente e quelli che ha letto. Segue recensione dei libri letti. Devo dire che quando compro The Believer la prima cosa che faccio è sfogliare sfogliare e sfogliare fino alle liste dei libri...

Bene.

Nel numero di Ottobre 2010, ripeto: Ottobre 2010 (più di un anno fa!), Nick Hornby ha annunciato di aver acquistato Barney's version di Mordecai Richler. Per chi non lo sapesse, la versione di Barney è un libro clamoroso. Uno dei più belli che abbia mai letto. Sta nello scaffale dove tengo i libri essenziali per vivere. Superato lo stupore iniziale ("ma come? non lo ha ancora letto?") ho iniziato a pregustare l'imminente recensione.

Bene.

Il punto è che sto aspettando da più di un anno che Nick Hornby legga 'sto cazzo di libro e scriva qualcosa su Stuff I've been reading, e invece non lo fa...

Che cazzo.

Quindi, come dicevo più su, sono un po' arrabbiato con Nick Hornby.

martedì 6 dicembre 2011

Anagrafe schizofrenica

Allora. Esponiamo il problema.

Quello schianto di donna che è la mia donna c'ha la doppia nazionalità. Molti pensano sia un vantaggio ("Figo! Ma quindi c'hai due passaporti?") ma in realtà io lo definirei più che altro un incubo. Lo schianto di donna mi ha appena chiamato (viviamo in due nazioni differenti, merda, merda e merda!) in preda al panico totale. Per motivi di privacy e sicurezza nazionale, chiameremo le due nazionalità di quello schianto di donna che è la mia donna come nazionalità A e nazionalità B.

Bene.

Al momento la situazione è la seguente:
- lo schianto di donna ha due nazionalità: A e B;
- però risiede in una terza nazione: C;
- il fatto che lei risieda nella nazione C non è mai stato comunicato né alla nazione A, né tantomeno alla B;
- per la nazione A, lo schianto di donna è residente nella nazione B, e questa cosa è indicata nel passaporto della nazione A;
- per la nazione B, lo schianto di donna è residente nella nazione A (il cambio di residenza è stato comunicato agli uffici competenti), ma la carta di identità della nazione B non è stata aggiornata ed è rimasta al vecchio indirizzo (della nazione B!) dove lo schianto di donna risiedeva prima di C e A;
- lo schianto di donna è sprovvista di carta di identità della nazione A e pure di passaporto della nazione B;
- la carta di identità della nazione B è appena scaduta;
- il passaporto della nazione A è di quelli vecchi senza la foto digitale o come cazzo si chiama (per capirci, quella roba che adesso è obbligatoria se vuoi andare negli Stati Uniti ecc ecc) ed è prossimo alla scadenza.

Chiaro?

Bene.

Il punto è che lo schianto di donna, nel (vano, per ora) tentativo di capire chi sia e che minchia debba fare per avere dei documenti che siano perlomeno vagamente coerenti, si è accorta che le sta per scadere la patente (nazione B, credo) ed ha avuto una crisi isterica.

Ora ripete compulsivamente che la arresteranno per tutto questo e non mi lascia andare a letto (sono le ore 1.45 AM).

Ma io la amo lo stesso.

Tantissimo, tra l'altro.

sabato 3 dicembre 2011

Terminal 5: Aeroporto di Monaco - Franz Josep Strauss

Cosa volete che vi dica? Tutte le volte che atterro in Germania ho la sensazione di essere di nuovo a casa. Sarà perché in Germania ci ho vissuto per qualche anno e ci sono stato benissimo, sarà perché è stato il primo posto dove ho vissuto dopo aver lasciato l'Italia, saranno i ricordi degli anni forse più belli e difficili della mia vita, o forse è semplicemente il fatto che qui conosco le insegne dei negozi, le marche di biscotti e dentifrici, le divise dei poliziotti e dei controllori delle Deutsche Bahn, l'odore che c'è dentro alle panetterie, i sapori dei panini in vendita nei kiosk, le erre dure e gutturali che spuntano qua e là nelle conversazioni crucche...

Insomma, quando arrivo in Germania mi sento a casa. Mi sento tranquillo e felice.

La prima cosa da fare quando si arriva in Germania (a meno che non sia mattina presto e uno abbia ancora il sapore di latte e nesquik in bocca) è cercare la più vicina panetteria -ce ne sono ovunque, anche negli aeroporti- e mangiarsi un Bretzel. Il Bretzel è quel panino attorcigliato e buonissimo, con la crosta liscia e i pezzi di sale grosso sopra. Ecco, addentarlo e sentire il suo sapore pastoso mescolarsi con quello dei pezzetti di sale che si sciolgono in bocca è per me un'esperienza da madeleine proustiana. Sono i miei anni tedeschi, con tutti i ricordi, tutti quanti, tutti in una volta, stipati dentro quel sapore...

E se si aggiunge a tutto questo il fatto che tra poco sarò ai Weihnachtsmarkts, ai mercatini di natale di Monaco, a gironzolare tra le casette di legno che vendono bratwurst e patate fumanti e senape, a scaldarmi con un paio di tazze di glühwine, pigiato tra la gente e l'odore di cannella... Beh, se si considera tutto questo non posso fare altro che scrivere, qui sotto:

Tre stelline.

[L'aeroporto è grande e pieno di negozi e bar quindi non ci si annoia troppo nell'attesa. C'è pure l'immancabile supermercato; in Germania è abbastanza normale, dato che gli unici posti dove si possano tenere negozi aperti la domenica sono aeroporti e stazioni ferroviarie. Fanno ovviamente eccezione alla regola le panetterie e i chioschi dei distributori di benzina, ma qui la storia si fa lunga e tocca aspetti sociologici che sono stati descritti benissimo in un libretto che mi ero letto subito dopo il mio arrivo in Germania e mi era piaciuto un sacco: qui]

Terminal 4: Aeroporto di Madrid - Barajas

10 aerei in 10 giorni.

È il mio record personale, in quanto a frenesia viaggi. A dir la verità, tecnicamente non è ancora il mio record personale. Sono partito venerdì scorso e ho preso 7 voli. Adesso vi sto scrivendo ed è venerdì e tutto attorno a me c'è l'aeroporto di Madrid, e l'ottavo aereo mi aspetta, nasuto, da qualche parte al di là dal vetro. Questo significa che basterà un solo volo al giorno fino a domenica e il conteggio arriverà a un solenne e rotondo 10/10. Ecco, domenica avrò il mio record personale, in quanto a frenesia viaggi.

Per motivi che all'inizio non erano chiarissimi nemmeno a me, tutto questo spostarsi frenetico mi ha fatto pensare alle Lezioni americane di Italo Calvino. Le Lezioni americane sono un ciclo di lezioni che Calvino doveva tenere in non so più quale università americana (Harvard? Boh, potrei sbagliarmi...) e dovevano essere una specie di promemoria, un messaggio in bottiglia, per la letteratura del nuovo millennio, che è il nostro millennio, allora non ancora iniziato. Dovevano essere sei, le lezioni, ma Calvino è morto prima di scrivere l'ultima. Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e Consistenza (che è quella che non ha scritto).

In realtà quando le ho lette ho subito pensato che fossero un promemoria universale, un promemoria per tutto quanto, e non solo per la letteratura. E sono davvero un promemoria bellissimo. Insomma, in mezzo a tutto questo decollare e atterrare ho pensato spesso a loro.

La mia preferita è la prima, la Leggerezza, con quell'agile salto del poeta-filosofo che si solleva dalle pesantezze del mondo sapendo però che il segreto sta proprio lì, il segreto della leggerezza sta nascosto dentro alla pesantezza del mondo. Proprio così:


"Se volessi scegliere un simbolo augurale per l'affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l'agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla peasantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d'automobili arrugginite".


E allora, penso passeggiando su e giù da un tapis roulant all'altro cercando il bar giusto per ammazzare l'attesa, come si fa a non pensare alla leggerezza quando si vede un aereo decollare? Che cos'è che fa volare gli aeroplani, cosa tiene tra le nuvole questi enormi aggeggi nasuti se non la loro insospettabile e sofisticata leggerezza? Alla leggerezza avranno pensato, per forza!, i primi pazzi visionari che hanno immaginato di volare.

E continuo a camminare su e giù, cercando il mio bar e pensando al poeta-filosofo e ai suoi compari. Sì, perché in quelle bellissime pagine sulla leggerezza non c'è solamente il poeta-filosofo, ma c'è anche il barone di Münchausen che vola su una palla di cannone, c'è Don Quijote che infilza la pala del mulino a vento e viene scaraventato in aria, c'è il personaggio kafkiano che si libra in cielo a cavallo di un secchio vuoto che forse (?) non starebbe in cielo se vuoto non fosse, e c'è tantissimo altro...

E a leggerle, queste pagine, uno capisce che il vecchio Italo aveva capito un sacco di cose, uno capisce che il vecchio Italo la sapeva lunga...

Aveva capito che la leggerezza è una roba seria. Che non è poco.

E quanto al resto, quanto a rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e consistenza, mi pare che questa settimana non abbia scherzato per niente. In realtà mi pare che questi anni duemila-e-qualcosa non stiano scherzando per niente in quanto a queste cose... Ci ho pensato un po', e alla fine mi son detto che il vecchio Italo aveva azzeccato proprio tutto quanto.

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Il bar giusto non l'ho trovato, a Barajas, non ne ho visti di carini... L'aeroporto è ok, ma senza troppi diversivi, che avrebbero aiutato, dato che ci ho dovuto passare un bel po' di tempo...

Vabbè, và...

Due stelline.