domenica 8 dicembre 2013

Geografia

Giovedì sera. Thalys Parigi-Amsterdam. Il treno sfreccia ai 300 all'ora, nella buia campagna francese, e poi vallona, e poi fiamminga,  ed ecco che una voce gracchiante annuncia che stiamo per arrivare a Bruxelles.

La ragazza seduta vicino a me smette finalmente di smessaggiare e alza, per la prima volta da quando siamo partiti, gli occhi dal suo iPhone.

E mi guarda.

"Excuzes-moi?".

"Oui?" rispondo io, che mi chiamo Manoel O. Dias.

"Bruxelles è in Francia?".

Sento i miei occhi aprirsi leggermente più del normale, e le sopracciglia alzarsi di un paio di millimetri.

"Pardon?".

"Bruxelles è in Francia?".

Incredulità, occhi ancora più grandi, sopracciglia allo stato brado. Ho di fronte un volto composto e serissimo.

"Mi scusi, non ho capito la domanda...".

"Bruxelles è in Franica?".

Rassegnazione. Occhi sgranati come palle da biliardo. Sopracciglia dolenti.

Mi arrendo.

"Mi sta chiedendo se Bruxelles è in Francia?".

"Sì".

"No, non è in Francia".

"Merci".

E si rimette a smessaggiare coll'iPhone.


Seguono silenziose considerazioni sul chiaro fallimento del sistema scolastico e dell'idea stessa di Europa unita. Preoccupazioni identitarie. Confusione. Tutto un mescolarsi di patente europea, quote latte, turisti della democrazia, la moneta unica. Maastricht. Strasburgo.

Vince l'impulso pedagogico.

Le tocco la spalla. Alza un solo occhio dall'iPhone.

"E' in Blegio. Bruxelles è in Belgio".

"Ah. O.K.".

Ed è di nuovo iPhone.


Sipario.

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