VITA DI M. SUI MEZZI DI TRASPORTO
M. non sa dirvi quando ha imparato a gattonare, né tantomeno a camminare. Era troppo piccolo per ricordarsi. Però si ricorda molto bene quando ha imparato ad andare in bicicletta (senza le ruotine). Avrà avuto all'incirca 5 o 6 anni. Era al mare dai nonni, come tutte le estati. Per le prove di ciclismo era stata scelta la piazza del mercato che, in assenza del mercato stesso, altro non era se non un ampio piazzale senza auto*. Erano state tolte le ruotine alla bici, M. era in sella, coi piedini sui pedali, e suo padre, F., teneva una mano saldamente ancorata sotto la sella per tenerlo in equilibrio.
Vai!, disse F., e M. iniziò a pedalare, mentre F. lo seguiva tenendo sempre una mano sotto la sella.
C'era il sole ed era caldo, e M. fece mille prove fino a diventare abbastanza sciolto e tranquillo, conscio della mano di suo padre che lo sorreggeva. Poi, a un certo punto, M. pedalando si gira per dire qualcosa a F. e lo vede in piedi dietro di lui, con le braccia allargate. M. gli vede entrambe le mani, e nessuna di loro sta sotto la sella a sorreggerlo. M. sta pedalando da solo!
Si emoziona e cade. Ma sa di avercela fatta.
M. userà la bici per tanti anni. Specialmente per andare a scuola. Tutte le mattine, da settembre a giugno, per tanti anni. Ricorda il sonno del mattino e la scarsissima voglia di alzarsi per andare a scuola, che si ripercuotevano in una pedalata loffia loffia, in un incedere pericolante e lentissimo. Quello che M. ricorda di più di queste pedalate mattutine sono le vecchiette che gli passano accanto in bici, sfreccianti.
Se la bici si rompeva, M. andava a piedi per lunghissimi periodi. Il motivo era che per riparare la bici bisognava andare da B., il terribile meccanico delle biciclette, che aveva il negozio vicino a una delle porte della città. B. era un signore che soffriva tantissimo nel vedere biciclette maltrattate. Insomma, la volta che gli portavi una bici che secondo lui non era stata tenuta bene (cioè sempre), ti dovevi beccare una paternale di mezz'ora con tanto di urli e occhiatacce. Per cui M. tentennava un po' prima di andare da B., e per un po' andava a piedi.
Anche nei primi periodi dell'università, a Bologna, M. andava in bici. Poi la bici si ruppe**, venne riparata, si ruppe**, venne riparata, si ruppe di nuovo** e quindi M. si stufò e andò a piedi.
A Firenze, invece, furono gli anni del vespino. Che belli! Andare in giro col venticello addosso, in città e in collina. Peccato che la sua fidanzata di allora non sopportasse salire sul suo vespino perché il vento le scombinava i lunghi capelli***.
In Germania****, invece, M. acquistò un macchinone BMW di terza mano con più di centomila chilometri sul groppone. Special highlight: interni in velluto rosso che lo facevano assomigliare in maniera preoccupante a un pappone, puttaniere o che dir si volgia. Il macchinone gli costò, in riparazioni, molto più di quanto avesse pagato per acquistarlo, ma alla fine del periodo teutonico riuscì persino a venderlo a un trafficante d'auto che esportava catorci in paesi poveri e/o sottosviluppati*****.
A Dublino M. andò a piedi.
E a Parigi, beh... a Parigi c'è il metrò!
__________
* Più tardi diventò, ovviamente, un parcheggio.
** Non c'è che dire: il buon vecchio B. aveva ragione.
*** Sic.
**** Mi sono rotto le palle di usare le lettere al posto delle nazioni.
***** Il mio fido BMW ora corre sereno e felice su strade Kazache.
M. non sa dirvi quando ha imparato a gattonare, né tantomeno a camminare. Era troppo piccolo per ricordarsi. Però si ricorda molto bene quando ha imparato ad andare in bicicletta (senza le ruotine). Avrà avuto all'incirca 5 o 6 anni. Era al mare dai nonni, come tutte le estati. Per le prove di ciclismo era stata scelta la piazza del mercato che, in assenza del mercato stesso, altro non era se non un ampio piazzale senza auto*. Erano state tolte le ruotine alla bici, M. era in sella, coi piedini sui pedali, e suo padre, F., teneva una mano saldamente ancorata sotto la sella per tenerlo in equilibrio.
Vai!, disse F., e M. iniziò a pedalare, mentre F. lo seguiva tenendo sempre una mano sotto la sella.
C'era il sole ed era caldo, e M. fece mille prove fino a diventare abbastanza sciolto e tranquillo, conscio della mano di suo padre che lo sorreggeva. Poi, a un certo punto, M. pedalando si gira per dire qualcosa a F. e lo vede in piedi dietro di lui, con le braccia allargate. M. gli vede entrambe le mani, e nessuna di loro sta sotto la sella a sorreggerlo. M. sta pedalando da solo!
Si emoziona e cade. Ma sa di avercela fatta.
M. userà la bici per tanti anni. Specialmente per andare a scuola. Tutte le mattine, da settembre a giugno, per tanti anni. Ricorda il sonno del mattino e la scarsissima voglia di alzarsi per andare a scuola, che si ripercuotevano in una pedalata loffia loffia, in un incedere pericolante e lentissimo. Quello che M. ricorda di più di queste pedalate mattutine sono le vecchiette che gli passano accanto in bici, sfreccianti.
Se la bici si rompeva, M. andava a piedi per lunghissimi periodi. Il motivo era che per riparare la bici bisognava andare da B., il terribile meccanico delle biciclette, che aveva il negozio vicino a una delle porte della città. B. era un signore che soffriva tantissimo nel vedere biciclette maltrattate. Insomma, la volta che gli portavi una bici che secondo lui non era stata tenuta bene (cioè sempre), ti dovevi beccare una paternale di mezz'ora con tanto di urli e occhiatacce. Per cui M. tentennava un po' prima di andare da B., e per un po' andava a piedi.
Anche nei primi periodi dell'università, a Bologna, M. andava in bici. Poi la bici si ruppe**, venne riparata, si ruppe**, venne riparata, si ruppe di nuovo** e quindi M. si stufò e andò a piedi.
A Firenze, invece, furono gli anni del vespino. Che belli! Andare in giro col venticello addosso, in città e in collina. Peccato che la sua fidanzata di allora non sopportasse salire sul suo vespino perché il vento le scombinava i lunghi capelli***.
In Germania****, invece, M. acquistò un macchinone BMW di terza mano con più di centomila chilometri sul groppone. Special highlight: interni in velluto rosso che lo facevano assomigliare in maniera preoccupante a un pappone, puttaniere o che dir si volgia. Il macchinone gli costò, in riparazioni, molto più di quanto avesse pagato per acquistarlo, ma alla fine del periodo teutonico riuscì persino a venderlo a un trafficante d'auto che esportava catorci in paesi poveri e/o sottosviluppati*****.
A Dublino M. andò a piedi.
E a Parigi, beh... a Parigi c'è il metrò!
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* Più tardi diventò, ovviamente, un parcheggio.
** Non c'è che dire: il buon vecchio B. aveva ragione.
*** Sic.
**** Mi sono rotto le palle di usare le lettere al posto delle nazioni.
***** Il mio fido BMW ora corre sereno e felice su strade Kazache.