martedì 28 febbraio 2012

Come leggere libri belli

Allora, oggi vi spiego, anzi vi insegno come fare a leggere dei libri belli. È una tecnica che ho affinato negli anni, ed è ora giunta alla perfezione assoluta. Funziona. Funziona perfettamente. Quindi, se seguirete la procedura in 4 passi successivi che vi spiegherò, anzi vi insegnerò qui sotto, la vostra vita di lettori svolterà (in meglio, s'intende...).

Sentitevi liberi di inviarmi ringraziamenti (anche sotto forma di denaro) scrivendomi un messaggio sul nuovissimo account Facebook Manoel O. Dias (di modo che possa darvi le mie coordinate bancarie per il bonifico).

FASE 0 -- IL TEMPO

Per leggere dei bei libri, come prima cosa, bisogna avere il tempo di farlo. Se non si ha il tempo di leggere, uno può pure avere scaffalate e scaffalate di libri meravigliosi in casa, ma non ne leggerà nessuno. [Dite la verità, non vi aspettavate una roba così profonda e ragionata, eh? Mai sottovalutarmi! Mai!]

Io leggo in metro. Tutte le mattine e tutte le sere. Dal lunedì al venerdì. Quando vado al lavoro e quando torno dal lavoro. Sono circa 35 minuti all'andata, e lo stesso al ritorno. Devo cambiare linea a un certo punto, quindi i minuti effettivi sono di meno. Ma bastano.

FASE 1 -- L'ACQUISTO

Per leggere dei bei libri, è necessario acquistare, o prendere in prestito, dei bei libri. [Dite la verità, dopo quanto vi avevo detto sopra, non vi aspettavate di certo che la profondità e sagacia dei miei consigli potesse migliorare, vero?].

Io acquisto. Perché poi mi affeziono al libro e mi secca restituirlo. Però l'acquisto non è fondamentale, potete anche prendere i libri in prestito da un amico o un'amica, o andare in biblioteca. Insomma, fate un po' come cazzo vi pare.

Io acquisto molti libri usati. Non per tirchieria. Direi che è più che altro snobismo.

Per acquistare un libro bello il mio consiglio è questo: fidatevi. Fidatevi dei consigli della gente di cui ci si può fidare. Fidatevi dei pareri affidabili. Fidatevi delle dritte delle persone scaltre.

Vi faccio un paio di esempi.* Per esempio: se un libro ha vinto il Pulitzer Prize for Fiction, ci sono buone probabilità che non sia male. Altro esempio: se Pinco Pallino ha vinto il premio Noble per la Letteratura, non è da escludere che i libri di Pinco Pallino possano essere molto buoni. Poi: se tutte le riviste di letteratura intellettualoidi e fighette e puzza-sotto-al-nasate parlano bene di un libro, beh, potrebbe essere che il libro non sia da buttare via.

Eccetera.

Ecco. Questo intendo quando dico di fidarsi.

FASE 2 -- IL LUTTO POST LIBRO

Questa fase apparentemente inutile è in realtà estremamente importante. Il giorno che finisco un libro, proprio non riesco a iniziarne un altro. E questo non dipende nemmeno dall'ora in cui lo finisco, il libro. Non dipende da quanto mi sia piaciuto. Né da quanto fosse lungo, allegro, triste o whatever. Anche se finissi un libro alle 8 di mattina, so che non leggerei nient'altro fino alla mattina dopo.

Questo è il cosiddetto lutto post libro.

Se non lo fate già provateci. È bello. Dà tempo per rimuginare un po' sul libro appena letto. Per decidere quanto ci sia piaciuto. Eccetera eccetera.

Se aspettando il mattino dopo vi annoiate, fate altro. Giocate con l'iphone, mangiate cioccolata, o guardatevi a ripetizione video di Teledurruti.** Io faccio così.

FASE 3 -- LA SCELTA

La scelta del nuovo libro da leggere va fatta al mattino, appena sveglio. Mi alzo, mi faccio la doccia (ma non la barba), mangio uno yogurt (Activia, perché mi piacciono, non per stitichezza) e già pregusto il momento. Il momento in cui tutte le elucubrazioni della sera prima verranno spazzate via, tutti i "potrei leggere questo" avvenuti prima di adesso saranno ritenuti non validi, il momento in cui sarò lì in piedi di fronte allo scaffale a ispezionare le scritte su una fila di dorsetti colorati.

Succede sempre la stesa cosa. Scelgo il libro, lo infilo nella tasca della giacca, poi mi metto sciarpa e guanti, tracolla del laptop, apro la porta di casa e poi cambio idea. Torno allo scaffale, ai dorsetti colorati. Cambio libro. Così. Non so perché. E poi esco.

Di solito, il primo giorno che leggo un libro, mi dimentico di portarmi dietro un segnalibro. Succede quasi sempre, quasi tutte le volte. E me ne accorgo sempre alla fermata di Invalides, dove cambio metro. Merda! - penso richiudendo il libro e uscendo dal metro - il segnalibro! e cerco di memorizzare il numero della pagina perché - si sa - è vietatissimo fare le orecchie ai libri. Di solito me lo ricordo, il numero, perché è quasi sempre un numero basso e vicino al 10.

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* Illuminanti.
** Teledurruti mi manca tantissimo. Tantissimo.

lunedì 27 febbraio 2012

Buona Pasqua a tutti

Sabato sono andato al Monoprix. Che è un supermercato francese.

C'erano le uova di Pasqua. Scaffali pieni di uova di Pasqua, inquietanti schiere di teneri coniglietti svizzeri Lindt, montagne di retine dorate con dentro ovetti di cioccolata ripieni. Il tutto avvolto in stagnola colorata.

Insomma, uno schifo. Ce n'era abbastanza per farti odiare il mondo.

Che schifo, a volte, il mondo.

Specialmente per il fatto che sono una delle persone più vulnerabili al marketing e alla pubblicità che conosca. E quindi queste cose mi provano. Mi segnano. Sospetto che i pubblicitari quando creano slogan e reclamizzano prodotti lo facciano pensando a me*. Sono il target ideale per il nuovo prodotto. Per il "prova questo! prova quello!". Quindi è stato veramente difficile non tornare a casa con una scorta di cioccolata sufficiente a tirar su il morale a un esercito di depressi cronici.

A scanso di equivoci. Non sono un tipo da 3x2. Non ho tessere di fedeltà a supermercati. Non raccolgo punti per vincere pentole o asciugamani. Eccetera. Il mio problema non è di carattere economico. Il fatto è che mi basta veder scritto "nuova barretta di cioccolata molto più buona di tutte le barrette di cioccolata che sono state commercializzate fino ad oggi provala! provala! provala!" per catapultarmi allo scaffale delle barrette di cioccolata ed acquistare - immediatamente! - la barretta di cioccolata molto più buona di tutte le barrette di cioccolata commercializzate fino ad oggi la voglio! la voglio! la voglio!.

È così.

Specialmente con la cioccolata e le schifezze grasse in genere (il che mi fa venire in mente che ho visto la réclame di due hamburger limited edition di Quick** che non ho ancora provato...).

Maledetti.

Lo sanno e se ne approfittano. Fanno queste pubblicità tutte colorate e io acquisto.***

Maledetti.

Ecco. Avevo iniziato il post con l'intenzione di dire qualcosa di profondo, brillante e per nulla banale sull'ansia moderna che tutti ci affligge, sull'inadeguatezza del presente che ci fa sempre guardare bulimici il domani, sulla malsana frenesia che ci fa anticipare la Santa Pasqua di un mese e mezzo e tutto il resto.

E invece adesso ho solo voglia di una barretta di cioccolata. Una nuova. Una mai provata prima. Migliore di tutte le altre commercializzate fino ad oggi. E dell'hamburger limited edition di Quick.

Ho perso il filo.

Ho completamente perso il filo.

Questo post doveva andare da un'altra parte. Cazzo.

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* Consumatore credulone, eccessivamente entusiasta e senza alcuna difesa nei confronti di qualsiasi prodotto che venga presentato mediante utilizzo di colori sgargianti, musichine accattivanti e lustrini scintillanti.
** Catena di fast food francesi. Scusate, intendevo dire catena di restauration rapide francese. Quando, a un certo punto nel secolo scorso, ci si è messi d'accordo per eleggere l'inglese come lingua comune internazionale i francesi, evidentemente, non ne sono stati informati.
*** Cretino!

sabato 25 febbraio 2012

Che italiano sei?

Lo so, era da tempo che lo aspettavate. Lo avete atteso a lungo ma la vostra pazienza sarà ora premiata, perché è arrivato l'agognato, chiacchieratissimo, accuratissimo e infallibile test psicologico di Bisognerebbe Leggermi Ogni Giorno!

Eccolo.


TEST: CHE ITALIANO SEI?*


  • Hai un posto di lavoro fisso o sei un precario? 
    1. ho un posto fisso     [1 punto]
    2. sono un precario     [0 punti]
  • Guadagni più di 500 euro al mese? 
    1. si     [0 punti]
    2. no    [2 punti]
  • Ti sei laureato entro il 24-esimo anno di età? 
    1. si     [0 punti]
    2. no    [4 punti]
  • Vivi a meno di 500 metri dalla casa dei tuoi genitori? 
    1. si     [8 punti]
    2. no    [0 punti]
  • Non sarai mica omosessuale?
    1. si, lo sono             [13 punti]
    2. ma che scherzi?    [0 punti]

RISULTATI:


  • 0 punti ::: È estremamente probabile che tu abbia barato rispondendo alle domande. Oppure che tu viva all'estero. Oppure che sia gay latente. O che i tuoi genitori siano morti. O una qualsiasi combinazione di queste cose. Ti inviterei a rifare il test onestamente.
  • 1 punto ::: Dio che noia. Che monotonia. Che palle.
  • 2 punti ::: Sei uno sfigato.
  • 3 punti ::: Sfigato e annoiato. Il fatto che faccia rima non migliora minimamente la tua condizione di sfigato che conduce una vita pallosissima. Mi fai pena.
  • 4 punti ::: Sei uno sfigato.
  • 5 punti ::: Si veda la voce "3 punti".
  • 6 punti ::: Sei sfigatissimo. Davvero. Sfigatissimo.
  • 7 punti ::: Sei sfigatissimo e in più ti annoi. E probabilmente te lo meriti.
  • 8 punti ::: Sei il solito bamboccione.
  • 9 punti ::: Bamboccione annoiato.
  • 10 punti ::: Bamboccione sfigato.
  • 11 punti ::: Bamboccione annoiato e sfigato. Ma almeno non sei gay.
  • 12 punti ::: Si veda la voce "10 punti".
  • 13 punti ::: Frocio! E ricordati che fare il ricchione in pubblico è come scureggiare rumorosamente a teatro. Vergognati!
  • 14 punti ::: Ricchione annoiato.
  • 15 punti ::: Ricchione sfigato.
  • 16 punti ::: Ricchione sfigato e annoiato.
  • 17 punti ::: Si veda la voce "15 punti".
  • 18 punti ::: Si veda la voce "16 punti".
  • 19 punti ::: Ricchione sfigatissimo. Che schifo.
  • 20 punti ::: Ricchione sfigatissimo e annoiato. Difficile (ma non impossibile) fare peggio di così.
  • 21 punti ::: Un grande classico: il ricchione bamboccione. Chissà che dolore per le madri avere dei figli così.
  • 22 punti ::: Ricchione, bamboccione e annoiato. E qui le madri oltre che soffrire si annoiano anche. Poracce. Povere madri.
  • 23 punti ::: Ricchione, bamboccione e sfigato. Sarebbe in effetti alquanto strano se un ricchione bamboccione non fosse anche sfigato...
  • 24 punti ::: Ricchione, bamboccione, sfigato e annoiato. E a questo punto potresti non piacere persino a tua madre. 
  • 25 punti ::: Si veda la voce "23 punti".
  • 26 punti ::: Si veda la voce "24 punti".
  • 27 punti ::: Ricchione, bamboccione e sfigatissimo ma, per motivi misteriosissimi, la tua vita non è poi così noiosa. Ma dubito che la mancanza di noia possa compensare tutte la altre disgrazie che ti son capitate.
  • 28 punti ::: Se hai veramente risposto onestamente a tutte le domande allora significa che sei ricchione, bamboccione, sfigatissimo e che ti annoi pure. Sei probabilmente la persona peggiore del mondo. Voglio conoscerti immediatamente. Per poi prenderti a male parole.
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* Il test è stato ispirato da numerose recenti dichiarazioni di esponenti del mondo politico e sindacale. Non credo sia necessario citarle esplicitamente... Non credo neppure che sia necessario commentarle...

giovedì 23 febbraio 2012

Books I read 5 - Gilead, Marilynne Robinson

Gilead inizia così:
I told you last night that I might be gone sometime, and you said, Where, and I said, To be with the Good Lord, and you said, Why, and I said, Because I'm old, and you said, I don't think you're old.
ed è un libro delicato e commovente di 282 pagine.

Lo so, commovente è probabilmente l'aggettivo meno cool che si possa usare per descrivere un libro. Devo ammettere che ho cancellato e riscritto più volte la parola commovente qui sopra, per via dell'imbarazzo che mi provoca il vederla scritta, specialmente se a scriverla sono stato io. Le storie commoventi sono molto spesso di basso livello. Un po' ordinarie. Così come sono un po' ordinarie le persone che si commuovono troppo facilmente. Il commuoverci instilla in noi* (sedicenti persone di un certo livello) il sospetto di essere persone banali.

Comunque, chiusa questa parentesi sulla mia idiosincrasia per la parola commovente, vi confermo che Gilead è un libro che commuove per il semplice fatto che dentro ci sono scritte un sacco di cose belle. Semplici e belle.

Gilead è un paesino (immaginario) sperduto nelle praterie del midwest statunitense. È un paesino da qualche parte in Iowa. E il reverendo John Ames è un vecchio pastore congregazionalista al quale il medico ha appena comunicato che i suoi problemi di cuore non lo lasceranno vivere ancora a lungo. John Ames ha avuto un figlio in tarda età, da una donna molto più giovane di lui. Il figlio ha 7 anni, John Ames ha passato i 70. Le 282 pagine di Gilead sono una lunga lettera che il reverendo Ames scrive al figlio affinché, una volta adulto, possa leggerla e imparare e conoscere qualcosa sulla sua vita, sulla vita di suo padre, che avrà conosciuto solo da bambino. È il 1957.

Nella sua lettera, una via di mezzo tra delle memorie e un testamento spirituale, Ames racconta di suo padre e di suo nonno, anch'essi pastori e predicatori in quel paese perso nella prateria. Racconta dell'incontro con la moglie tanto più giovane di lui. Racconta le sue chiacchierate con l'amico di sempre, il reverendo Boughton. E racconta del figlio di Boughton, che dopo vent'anni torna a Gilead a trovare il padre, e di quanto il padre lo ami, nonostante non sia esattamente quello che si possa definire un figlio modello.

Ci sono tanti passi poetici e toccanti tra le pagine di Gilead. Sentite questo, per esempio, in cui il reverendo Boughton ricorda ad Ames una delle loro bravate di gioventù, e allo stesso tempo descrive in maniera squisitamente umana quale sia la sua immagine del paradiso:
Boughton says he has more ideas about heaven every day. He said: 'Mainly I just think about the splendors of the world and multiply by two. I'd multiply by ten or twelve if I had the energy. But two is much more than sufficient for my purposes.' So he's just sitting there multiplying the feel of the wind by two, multiplying the smell of the grass by two. 'I remember when we put that old wagon on the courthouse roof,' he said. 'Seems to me the stars were brighter in those days. Twice as bright.'


Gilead ha vinto il Pulitzer Prize for Fiction nel 2005.

Marylinne Robinson ha scritto solamente altri due romanzi. Housekeeping (1980), che a quanto tutti dicono è un capolavoro, e Home (2008), che è una riscrittura di Gilead, gli stessi eventi raccontati in Gilead, ma visti questa volta dal punto di vista del reverendo Boughton.

Penso che li leggerò entrambi. Sì, prima o poi li leggerò entrambi.

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* Ebbene sì, sto usando il pluralis maiestatis.

mercoledì 22 febbraio 2012

The shapes of stories

Kurt Vonnegut è un grandissimo. E qui ci spiega com'è che si scrive una bella storia.





E siccome oggi sono in un mood tremendamente Vonnegut-iano, vi copio e incollo qui un suo consiglio:

Try this.
Write a six line poem which is rhymed. Make it as good as you can. Really work on it. This is with nobody else around, and nobody else knows what you're doing. When you've got it in perfect shape, for you, tear it up in little pieces. Take these pieces and distribute them between widely separated trash receptacles. Please don't try to memorize the poem. Please don't ever tell anybody you wrote it. You'll still have gotten your complete reward. People are idiots not to write poems or try to paint pictures or to dance or to write a piece of music just because they can't make a living at it. Practicing the arts is not a way to make a living. It's a way to make your soul grow. 

Ok. ora scrivo 6 righe e poi vado a letto, con l'anima ingrassata di qualche chilo...

Buonanotte.

lunedì 20 febbraio 2012

Apertura mentale

Ecco. Ci ho pensato. Questa è l'unica critica che penso di poter accettare su questo blog senza perdere l'ottimismo.

[Sono tornato. Come promesso. Mancano 20 minuti alla fine di Lunedì e ora posto.]

giovedì 16 febbraio 2012

Blogroll 2bis - Primavera 2012

Mi sono accorto che nell'ultimo post sul blogroll* mi sono scordato di aggiungere un blog che vorrei seguire. Solo che mi son dato questa regola: aggiungere massimo tre blog a stagione, ed ho già aggiunto i tre blog invernali, e addirittura mi son portato avanti coi tre blog primaverili.

Facciamo così. Lo aggiungo lo stesso, questo blog che voglio aggiungere, e poi in estate ricordatevi(mi) che ne posso aggiungere solo due**.

Il blog è:


Poi ho aggiunto altri due link alla sezione Mai più senza. I video di Gipi di Santa Maria Video e quelli dell'Opinionista. Fanno m.o.r.i.r.e. dal ridere.

Bene.

E per chiudere, un avvertimento: non posterò fino a lunedì sera.

E poi non venite a dirmi che non eravate stati avvisati!

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* Parola orribile.
** Questo sì che è long term planning!
*** Parola orribile.

Stratagemmi

Carissimi,

voglio essere onesto fino in fondo con voi. Ve lo devo*.

Il post di ieri su Adriano Celentano era solamente un basso e squallido stratagemma. Un basso e squallido stratagemma suggeritomi da, udite! udite!, S.. Sì, proprio S., colui che per primo (e unico, al momento) ha smascherato l'autore di questo blog, scoprendone la vera identità (chi non capisce di cosa io stia parlando può provare a farsene un'idea qui).

La questione è sempre la stessa: essere famoso. Diventare famoso. Ed S., che è oramai a tutti gli effetti il mio assistente (nel senso di colui che assiste), si è davvero preso a cuore la faccenda. E quindi mi ha suggerito di postare sul blog qualcosa** riguardante la notizia più in voga del momento, la notizia che è in questi giorni sulla bocca di tutti, la notizia più letta e cliccata del web.

Adriano Celentano.

Il basso e squallido stratagemma consisteva nel convogliare ignari lettori sul mio blog. Subdolamente. Tramite Google. La logica era la seguente: la gente ora, in questo momento, usa Google per cercare cose del tipo: "adriano celentano sanremo", quindi io scrivo di Adriano Celentano a Sanremo e il mio blog appare sulle ricerche di milioni di persone. Alcune di queste persone cliccano sul link, arrivano qui, mi leggono, mi amano ed io avanzo di un altro passettino verso l'inevitabile ed oramai imminente notorietà.

Bene.

Al momento ho ricevuto 0 (zero) accessi al blog da persone che avevano cercato con google le parole "adriano celentano sanremo" o qualsiasi altra possibile variazione sul tema.

Quindi il basso e squallido stratagemma non ha funzionato.

E quando le cose non funzionano e ci si accorge di aver sbagliato tutto, di essersi piegati a logiche meschine, di aver accettato compromessi umilianti, di avere oltrepassato i limiti della decenza e di essere arrivati a mettere in seria difficoltà la propria autostima, beh, in questi casi c'è solo una cosa da fare: peggiorare.

Quindi ora provo con la parola "video porno", o "pornografico" che dir si voglia.

Vediamo se così funziona***.

Comunque: che vergogna****.

______________

* Perché?
** Qualsiasi cosa.
*** In caso funzionasse ho come il vago sospetto che si riequilibrerebbe il rapporto donne/uomini tra i lettori del mio blog (o meglio, le lettrici dato che al momento sono quasi tutte donne).
**** Questa è una considerazione generale. Che vergogna Celentano. Che vergogna Sanremo. Che vergogna i blogger che usano bassi e squallidi stratagemmi per convogliare (subdolamente) ignari lettori al proprio blog. Che vergogna.

mercoledì 15 febbraio 2012

Puntualizzazione

Vorrei chiarire qui una cosa. Non so di cosa abbia parlato ieri Celentano. Non lo so*. Ve lo giuro. E non leggerò nessun articolo di giornale che possa in qualche modo farmelo sapere. Perché la cosa mi fa venire sonno**.

Scusate, ma ci tenevo a puntualizzarlo.

(Non mi dispiacerebbe un applauso, a questo punto. Così, giusto per dare un boost al mio ego***.)

Ora, senza perder tempo, torno alla mia principale occupazione, che come ben sapete è diventare famoso.

__________

* Per i pignoli: dai titoli dei giornali e dai post su Facebook ecc ecc so che centrava la chiesa cattolica. E basta.
** Se ci fosse stata ancora Teledurruti allora sarebbe stata tutta un'altra storia. Avrei seguito attentamente il discorso di Celentano nella certezza che Fulvio Abbate lo avrebbe commentato in uno dei suoi video. Teledurruti mi manca molto...
*** Lo so, il mio ego non ne ha bisogno. Ma mi piacerebbe comunque e davvero tanto. Dai, applaudite.

Blogroll 2 - Primavra 2012

No, non sono impazzito. Non credo veramente che sia già primavera. Non è un effetto collaterale dell'ammore (sì, con due emme), che scalda il cuore ecc ecc. E nemmeno un inconscio desiderio di sole e tepore primaverile. Qui fa ancora un freddo maiale, il che significa che siamo ancora in pieno inverno. La situazione mi è chiarissima. È tutto sotto controllo.

Il punto è che avevo promesso di aggiungere alla lista degli "Altri BLOG che bisognerebbe leggere ogni giorno" un massimo di 3 nuovi link a stagione. E io sono uno che mantiene le promesse.

Insomma, avendo già indicato i BLOG dell'inverno 2011/2012 qui, ecco a voi quelli della primavera 2012. Lo so, lo so, è febbraio, ma non mi diventerete mica così pignoli! Che cazzo!

Bene. Procediamo. I tre BLOG della primavera 2012 sono:
L'ultimo blog della lista è il primo blog tenuto da un maschietto ad entrare a far parte della sezione "Altri BLOG che bisognerebbe leggere ogni giorno". Il che mi induce a una riflessione. Come mai tutte queste donne? È una mia impressione o le donne scrivono di più degli uomini? E se sì, perché? E se no, perché?

Bene.

Intanto che ci sono aggiungo pure un po' di link nella lista "Mai più senza". Dato che qui si parla di libri e che ci piacciono quindi i libri, beccatevi Bookshelf porn. Imperdibile. E poi beccatevi anche Wulffmorgenthaler, che è un distillato di demenza. Poi per ultimo vi beccate pure This isn't happiness, tante belle immagini. Una chicca, davvero.

E adesso basta.

martedì 14 febbraio 2012

Il Network è il futuro. Il futuro è il Network.

Networking è la parola d'ordine, oggi. Costruire connessioni, rafforzare relazioni, allargare gli orizzonti, alimentare e espandere la rete di contatti. Networking vuol dire possibilità. Più possibilità. Vuol dire idee che si muovono, che viaggiano dentro fibre ottiche, codici binari che sfrecciano da un angolo all'altro del globo, portando con sé informazione. Zero uno zero uno zero uno. All'infinito. Networking significa idee che si incontrano. Idee che si confrontano e mutano e crescono e cambiano il mondo. Networking è rapidità. Networking è razionalizzazione, efficienza, ottimizzazione. Dinamismo. Velocità.

Networking è futuro. E non c'è futuro senza networking.

Per quello ci sono i social network professionali. Come Linkedin. Per aprire le porte. Per far diventare la realtà un caleidoscopio di opportunità. Per dirci e farci capire che il futuro è adesso, e che siamo giovani, sì!, giovani, perché il futuro può essere nostro. Adesso.

Bene. Ma ora basta con le puttanate. Parliamo seriamente.

Oggi, annoiatissimo di Facebook, ho cliccato su Linkedin e ho visto, tra i suggerimenti:
F.G., pensionato.
Just joined Linkedin.
1 connection.
F.G. è il mio babbo. Ha quasi 69 anni. E a quest'ora (11.56pm) molto probabilmente dorme (russando) sul divano davanti alla TV. Lui probabilmente non lo sa, ma con questo gesto eversivo ha polverizzato Linkedin. Lo ha frantumato. Ha gridato che il re è nudo.

Linkedin, statemi bene a sentire, è roba da pensionati!

Mi sono fatto una grandissima risata e gli ho chiesto il contatto. Che un pensionato nel Network non fa mai male.

Non so a voi, ma a me questa cosa è sembrata meravigliosa.

E il mio babbo è un genio (e questo lo sa).

lunedì 13 febbraio 2012

L'educazione dei fanciulli

Leggendo questo post di volevofarelarockstar mi è venuta in mente una cosa.

Quando io e mio fratello P. eravamo piccoli, quindi un bel po' di tempo fa, ad un certo punto in casa mia cominciarono a sentirsi troppe parolacce. Sostanzialmente, a parte mia mamma, tutti dicevamo un sacco di parolacce. E si sa che non è bello esporre e/o abituare giovini animi candidi allo sproloquio. Quindi, in un apprezzabilissimo sforzo moralizzante, mia mamma istituì una multa di 50 lire per ogni parolaccia pronunciata. Il ricavato di questa campagna moralizzante sarebbe stato devoluto a non meglio identificati "bambini poveri".

[Permettetemi qui una breve divagazione. Ricordo che avevamo un barattolo di vetro a testa, io e mio fratello, da bambini. Sul barattoli erano appiccicate le figurine, ritagliate dalle pagine di Topolino, dei nostri rispettivi personaggi preferiti della Disney. Questi barattoli avevano dentro delle monete, che erano i nostri risparmi. Poi c'era un terzo barattolo, un po' più grande se non ricordo male, che era per i non meglio identificati "bambini poveri" di cui sopra. Per una questione di equità e cortesia, era stato deciso di appiccicare anche su quel barattolo una figurina ritagliata da Topolino, che era, immagino, quello che a nostro avviso sarebbe dovuto essere il personaggio Disney più popolare in orfanotrofi, baraccopoli, case popolari e così via. Non ricordo cosa ci fosse sul mio barattolo, né su quello di mio fratello, ma su quello dei bambini poveri c'erano Qui, Quo e Qua. Ricordo anche che una volta mia mamma dovendo uscire per fare la spesa aprì il portafoglio e si accorse di non avere contante. Ricordo anche che il mio suggerimento, "prendi i soldi dei bambini poveri!", non fu preso in considerazione.]

Insomma, l'idea era unire due nobili intenti: la purificazione del linguaggio utilizzato attorno al focolare domestico e aiutare i bisognosi. Chiaramente, trattandosi di soldi, serviva un tesoriere. Un amministratore. Ed essendo mio fratello il più piccolo della ditta, e quindi anche presumibilmente l'animo più puro, venne affidato a lui il compito di riscuotere i pagamenti. Aveva pure un foglietto dove segnava a matita le parolacce di ogni componente della famiglia ("Maaaammaaaa! Deficiente è una parolaccia?"). Le multe venivano riscosse e depositate nel barattolo di vetro con sopra Qui, Quo e Qua.

La cosa non funzionò. Probabilmente a causa della scarsa pressione esercitata da una sanzione di 50 lire. Diciamocelo, 50 lire sono uno scarso disincentivo. Anche per un bambino di 7 anni. Comunque, ricordo benissimo che quando mio babbo si incazzava cercava mio fratello, lo trovava e, con gli occhi iniettati di sangue e fuori dalle orbite, gli sbatteva sul tavolo 50 lire e poi (dopo, lo faceva dopo, gesto ammirevole!) sparava una gran parolaccia. Talvolta servivano anche più monete. Nel caso mio fratello non fosse a portata di mano poteva anche capitare che mio babbo urlasse, da un piano all'altro della casa dove vivevamo un: "P.! Segna!" e poi giù con la parolaccia (sempre chiaramente udibile dalle vergini orecchie di P., che allora avrà avuto 7 o 8 anni, e dalle mie, di un anno più anziane).

Devo dire che ci siamo divertiti.

Alle volte mia mamma, la furia moralizzatrice, si incazzava pure lei di fronte a queste palesi violazioni della legge domestica da lei (inutilmente) introdotta, però altre volte semplicemente scappava da ridere anche a lei. E non riusciva a nasconderlo. Quindi poi ridevamo tutti.

È stato un momento molto educativo. Davvero. Lo dico seriamente.

Però non ho mai capito dove finissero i soldi che mettevamo nel barattolo di Qui, Quo e Qua.

sabato 11 febbraio 2012

Books I read 4 - La ragazza dai capelli strani, David Foster Wallace

La ragazza dai capelli strani inizia così:
È il 1976. Il cielo è basso e pieno di nubi. Le nubi grigie sono bitorzolute, increspate e lucenti. Il cielo ha un aspetto cerebrale. Sotto il cielo c'è un campo, nel vento.
ed è un libro di racconti di 319 pagine di David Foster Wallace.

Non è facile scrivere o dire qualcosa su David Foster Wallace senza sentirsi banali. O, per lo meno, non lo è per me. E forse è per questo che quando ne parlo, di David Foster Wallace, e mi succede spesso - i miei amici appena mi sentono pronunciare il suo nome alzano con rassegnazione gli occhi al cielo e sbuffano - mi ritrovo sempre a parlare di me, di quanto mi sia piaciuto qualcosa che ha scritto, di quanto mi sia piaciuto come lo ha scritto, di quanto mi abbia fatto ridere, o fatto felice, o triste. O della tranquillità surreale e spaesante che ho sentito dopo aver letto l'ultima frase del suo monumentale capolavoro, Infinite Jest. Parlare di quello che mi è successo e mi succede quando leggo David Foster Wallace è l'unico modo che ho per parlarne ed evitare di sentirmi volgarmente banale. È l'unico modo onesto che ho di parlarne.

Quindi salterò tutta la parte di recensione in cui si dovrebbe forse dire che questo scrittore è un genio e parlare dell'immane contributo che ha dato alla letteratura bla bla bla e vi dirò che per me David Foster Wallace è lo scrittore che ha scritto quello che probabilmente considero il romanzo più travolgente che abbia mai letto in vita mia, che è Infinite Jest. Vi dirò che sono venuto a conoscenza dei libri di Wallace pochi anni fa, quando lui già non c'era più, e il suo non esserci più mi è sembrata (con mio stupore) una cosa assurda e molto triste. E vi dirò, perché è questo di cui devo parlare qui, che i racconti che compongono la raccolta La ragazza dal capelli strani sono dei racconti che non so descrivere in altro modo se non dicendo che mentre li leggevo mi sentivo a casa. Perché il modo in cui sono scritti, nella sua estrema e non convenzionale bellezza, è di una incredibile e fluida e assurda naturalezza. Sono racconti poetici, nevrotici e spericolati. Leggeteli.

Il primo racconto della raccolta si intitola Piccoli animali senza espressione e parla di Julie Smith, ragazza ventenne che stravince più di settecento puntate consecutive di un quiz a premi televisivo massacrando con furia tutti gli avversari, ma si accartoccia e ripiega su se stessa non appena le luci dello studio televisivo si abbassano e lo show finisce.

Poi c'è il racconto che dà il titolo al libro, dove un giovane e ricchissimo repubblicano si accompagna a un gruppo di sbandati punk-rockers, e racconta in prima persona, facendo dubitare il lettore della sua completa sanità mentale, le avventure di questa sconclusionata e incongrua gang che si reca a un concerto di Keith Jarret:
Keith Jarret è un negro che suona il pianoforte. A me piace moltissimo vedere i negri esibirsi in tutti i campi delle arti dello spettacolo. Trovo che siano una razza talentuosa e incantevole di artisti, che sono spesso molto divertenti. In particolare mi piace guardare le esibizioni dei negri da una certa distanza, perché da vicino spesso hanno un odore sgradevole.
Un'altro tra i racconti che più mi sono piaciuti è Lyndon, storia romanzata della presidenza americana di Lyndon Johnson, raccontata da uno dei suoi assistenti personali:
"Mi chiamo Lyndon Baines Johnson. Quel cazzo di pavimento che hai sotto i piedi è mio, ragazzo."
E l'ultimo racconto del libro, È tutto verde, sono semplicemente tre pagine di delicata poesia. Lei, Mayfly, è seduta e guarda verso la finestra, lui, invece, guarda lei:
Da dov'è seduta sta guardando fuori, e io guardo lei, e c'è qualcosa in me che non si riesce a chiudere, nel guardarla. Mayfly ha un corpo. E lei è la mia mattina. Dite il suo nome.





venerdì 10 febbraio 2012

Cose

È strano, ma a volte è l'intensità di certe giornate a ricordarti, sottovoce e a tarda notte (ebbene sì, proprio come farebbe il vecchio Marzullo) che è arrivata l'ora di avere sonno.

Ok.

Cose importanti, sparse, ma in ordine cronologico:

  1. L'omino svogliato con la paletta rossa "Stop Scuola" che sta in mezzo alla strada deserta, nel quartiere dove lavoro, ad aspettare bambini, grembiulini e cartelle che non arriveranno mai (perché sospetto che la scuola più vicina sia a svariati chilometri di distanza) ha un'aiutante. Ebbene sì. Un donnone grosso e nero che oggi aveva enormi difficoltà a infilarsi un microscopico giubbetto giallo fluorescente con su scritto una roba tipo "Servizio scuole parigine". Insomma, non solo li umiliano mettendoli a fare gli attraversatori pedonali per scolaretti in una strada senza macchine e lontana mille miglia dalla scuola più vicina, ma li ridicolizzano pure con delle mises sgargianti di svariate taglie troppo strette. Non resta che sospirare tristemente: "Perché tanto odio?"*.
  2. Oggi ho ricevuto una delle mail lavorative più assurde di ogni tempo. Diceva più o meno così: "Salve Egregio Manoel, a proposito della conferenza a cui lei è stato invitato come relatore volevamo dirle che siamo nella merda più totale. Sa com'è. La crisi che attanaglia l'Europa e specialmente la nostra adorata Spagna, paese in cui, per l'appunto, si svolgerà la conferenza alla quale lei è stato invitato. Insomma. Siamo imbarazzati. Vorremmo offrirle, come ovviamente si fa con tutti i relatori invitati, di non pagare il registration fee per la suddetta conferenza. Però se lei preferisse pagarlo (sarebbero 300 euro) glie ne saremmo davvero molto grati. Chiaramente se non lo vuole pagare non c'è nessun problema. Troveremo il modo. Ma se lei potesse... Insomma, faccia lei. Mettiamola così. Diciamo che è opzionale!". Opzionale? Mi stanno davvero dicendo che posso pagare 300 euri oppure no? Che posso scegliere liberamente tra pagare 300 euri e non pagarli? Bene, cari amici, ora spremetevi le meningi e suggeritemi una risposta che, in quanto ad assurdità possa competere con una mail così. Un premio a chi suggerisce la risposta più assurda.
  3. Ho preso una birretta con S., il tizio che (per primo, e fino ad ora unico) mi ha smascherato (maledetto!). Mi ha chiesto spiegazioni sul perché cazzo non usi il mio cazzo di nome per questo cazzo di blog. Gli ho risposto.
  4. Ho appena parlato per circa settecento ore su Skype® con quello schianto di donna che è la mia donna e abbiamo litigato e discusso e ci siamo accusati e non capiti e stufati e irritati e imbronciati e incattiviti e arrabbiati e spaventati e angosciati e anche un po' gridati e forse insultati. E abbiamo concluso che ci amiamo davvero tantissimo. Che non è poi così male, come buonanotte.
Fine.

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* Chi capisce la citazione si merita un post tutto per lui/lei su un argomento a sua insindacabile scelta.

mercoledì 8 febbraio 2012

Premio (meritatissimo)



Alex V e Midori sono due donne meravigliose. Probabilmente le due donne più meravigliose che si possano incontrare bazzicando tra i blog. Sono simpatiche, intelligenti e bellissime. Persone di classe, raffinate, di gusto. E sexy. Super sexy. Da lasciarti senza fiato. Eccetera.*

Insomma, Alex V e Midori in questo loro post, per il quale le ringrazio sentitamente, mi hanno premiato come "Versatile blogger" (facile da tradurre in italiano, basta invertire l'ordine delle parole: blogger versatile). È chiaro che questo è destinato ad essere il primo di una lunghissima serie di premi che questo blog riceverà durante il (rapidissimo, non ci sono dubbi) cammino verso la popolarità e notorietà assolute. Verso l'inevitabile celebrità. Verso la gloria. Eccetera.**

Ora, se non ho capito male, il premio funziona così: devo dire 7 cose su di me, e poi devo scegliere altri vincitori (e informarli).

Procediamo con ordine.

Sette cose su di me:

1) Manoel O. Dias, in realtà, non si chiama Manoel O. Dias.
2) Manoel O. Dias non vi dirà mai e poi mai come si chiama veramente (a meno che non lo scopriate voi, non so negare l'evidenza).
3) Manoel O. Dias è innamorato e felice.
3) Manoel O. Dias vive a Parigi da un paio d'anni.
4) Manoel O. Dias mangia troppa cioccolata, ma non si sente in colpa per questo. Anzi, la ritiene una bella cosa.
5) Manoel O. Dias presto sarà famoso.
6) Inspiegabilmente, e nonostante tutto, Manoel O. Dias è una persona tutto sommato modesta.
7) Riassumendo, Manoel O. Dias è una persona meravigliosa.


Premio Versatile Blogger:

Mi è stato detto che non si può premiare chi ti ha premiato, quindi non posso mettere nella lista dei premiati (come vorrei) quelle due bombe sexy di Alex V* e Midori*, per cui la lista si riduce a un solo blog.



FINE

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* Mi hanno chiesto di ringraziarle per ciò che segue. Spero basti.

** Sento già alcuni di voi sbuffare e dire Ma basta con questa fissa della notorietà! Basta! e invece no, sono in fissa e ci resto, voglio essere famoso, ok? Me lo merito, perdio!

martedì 7 febbraio 2012

Stop scuola

Da un paio d'anni lavoro vicino al bordo sud di Parigi, a poche decine di metri all'interno del Boulevard Peripherique. È un quartiere che, mi hanno detto, fino a pochi anni fa praticamente non c'era. Quindi un sacco di edifici moderni, architetture bizzarre e colorate. Vetro, tanto vetro sulle pareti di banche parallelepipedeggianti e sonnecchianti al bordo della strada. E poi una scultura fatta di tanti grossi massi messi un po' a caso, che mi  è sembrata piuttosto insignificante fino al giorno in cui sono inciampato sulla targhetta di bronzo che ne annuncia il nome, "Hommage à Charlie Parker". E tutto allora mi è sembrato diverso.

Dunque, una città moderna è quello che si vede uscendo dalla stazione della RER, una città sfavillante, lucente, dinamica.

Ma questa è, come spesso accade, solamente metà della storia. Sì, perché se uscendo dalla stazione della RER invece di guardare dritto si guarda a destra, il nulla. Non c'è nulla. Transenne di cantieri edili, il cielo grigio d'inverno, e uno scheletro di casa in costruzione in lontananza, dolmen grigio su sfondo grigio. Anche la strada, che sulla sinistra sfreccia diritta tra i palazzoni, a destra sembra perdere sicurezza e determinazione e dopo qualche decina di metri si rassegna e muore.

Signore e signori, Parigi finisce qui. È un po' come essere alla fine del mondo. Ma il mondo vecchio, quello piatto, che aveva un bordo brusco,  dove tutto spariva all'improvviso.

Insomma, c'era questo signore, di colore, tarchiato e con la faccia larga e serena, che incontravo spesso al mattino, uscendo dalla stazione della RER, alla fine di Parigi. Un'età tra i trenta e i quaranta, e stava sempre lì, in mezzo alla strada, tutto coperto da un piumino, una sciarpa e una berretta calata fino alle sopracciglia. Stava in mezzo alla strada, di fianco alle strisce pedonali, e stringeva in una mano una paletta rotonda e rossa con su scritto "Stop scuola".

Ora, io vi posso giurare che sono due anni che attraverso quella strada ogni mattina e non ho mai visto uno, dico uno!, scolaretto col la cartella in spalla. Se poi si aggiunge il fatto che io (scandalosamente) vado al lavoro alle 11, la cosa diventa ancora più incongrua. Per quale motivo ci si dovrebbe aspettare lo sgambettare di cartelle e zainetti a quell'ora?  E poi: ma a cosa serve un lollipop-man nella strada meno trafficata di Parigi? Passano davvero pochissime macchine da lì. La strada non porta da nessuna parte, quindi praticamente zero macchine. Perché mai, quindi, qualcuno dovrebbe aver bisogno di un attraversatore pedonale? Per fare attraversare chi?

E infatti non ho mai visto nessuno aspettare il segnale del mio amico lollipop-man per attraversare quella strada. Anarchia totale. Anarchia senza sensi di colpa: ognuno passa quando vuole. E alle volte sembrava quasi che fosse lui ad inseguire i passanti, un po' in apprensione, per essere pronto, in posizione - le braccia allargate e l'inutilissima paletta agitata al vento - al momento del loro attraversamento.

Nessun scolaretto all'orizzonte. Mai. Una scena surreale. Ma, nonostante tutto, lui era lì. Serio in maniera quasi solenne. Serio e ligio, convinto e contento di fare bene, e apparentemente incurante della spaesata comicità del tutto. La faccia ferma ma sorridente, e la paletta rossa. Si vedeva che ci metteva dell'impegno, tutto qui.

Ora c'è un altro tizio, alle strisce pedonali. Bianco, tra i quaranta e i cinquanta, piccoletto, magrolino e annoiato. Si vede che non si impegna. Si vede che è svogliato e tira via. Si vede che non ci mette l'anima.

Peccato. Non è più la stessa cosa.

giovedì 2 febbraio 2012

Books I read 3 - Q, Luther Blisset

Q inizia così:
Sulla prima pagina è scritto: Nell'affresco  sono una delle figure di sfondo.
ed è un libro di 643 pagine che ho letto in pochi giorni ma mi ha lasciato un po' perplesso.

Per prima cosa alcune piccolezze estetiche che, pur nella loro piccolezza estetica, importano. Prendete la prima frase, per esempio. La lettera maiuscola dopo i due punti. Poi un uso eccessivo dei punti esclamativi, a volte multipli (!!!), altre volte affiancati a punti interrogativi, con (! ?) o senza (!?) spazio interposto. Poi dialoghi che iniziano con un "Oh!", a scimmiottare (un po' grossolanamente) il parlato colloquiale. Mi darete del fissato, ma penso che l'estetica della pagina stampata sia importante. E non penso di essere un purista, non credo che ci sia un modo di scrivere le cose (maiuscole dopo i punti, virgolette a cingere i dialoghi, eccetera). Credo che lo stile, anche tipografico, possa far parte dello stile di uno scrittore. Prendete Saramago, per esempio, o McCarthy, che mescolano i dialoghi al narrato, o Celine che sembra mettere le virgole a caso, o Vonnegut che infila disegnini tra le pagine dei suoi libri. Tutta questa roba è esteticamente impeccabile. Dà piacere. Sfogliare quelle pagine è bellissimo. Le pagine di Q, invece, a mio parere non lo sono, impeccabili, e queste sbavature a volte (mi) irritano un po'.

Q è un romanzo storico, ambientato nel periodo della riforma e controriforma Luterana. Quasi 40 anni di storia, e come scenario le città europee che ne sono state protagoniste, prima in Germania, poi in Olanda e infine in Italia. Il protagonista è un eretico che si ritrova coinvolto, talvolta come combattente e talvolta come fuggiasco, in tutte le principali sollevazioni, lotte e complotti religiosi dell'epoca: la rivolta dei contadini, la presa e la caduta di Münster, la persecuzione degli eretici anabattisti, la stampa e la diffusione di libri messi all'indice dalla chiesa di Roma. In tutte queste vicende il protagonista si imbatte, senza però mai incontrarlo, in Q, Quoèlet, una spia itinerante al servizio del cardinale Gian Pietro Carafa, che da Roma coordina la repressione dei movimenti eretici in tutta Europa e allo stesso tempo cerca di contrastare le idee Luterane. Per gran parte del libro Q compare solamente attraverso le lettere che lui stesso scrive a Carafa, lettere che contengono i resoconti delle sue investigazioni. Q scrive anche ai capi dei movimenti anabattisti, e si infiltra tra di loro, fingendosi amico e complice e inducendoli a commettere errori fatali.

Dunque l'eretico anabattista e i suoi compagni sono i buoni, Q è il cattivo. E i loro reciproci inseguimenti da un capo all'altro d'Europa sono raccontati col ritmo incalzante che costituisce indubbiamente l'aspetto migliore del libro. Molto, forse tutto, si gioca sul mistero dell'identità di Q, e devo dire che, benché la tensione resti sempre altissima per tutto il libro, la rivelazione finale sulla sua vera identità appare un po' deludente, quasi incongrua.

Il punto è che in Q i "buoni", qualsiasi cosa questa parola significhi, spesso sono buoni in maniera un po' stucchevole e caricaturalmente idealista, mentre i "cattivi", qualsiasi cosa questa parola significhi, lo sono in maniera molto meno irritante. Quindi, come ha detto saggiamente e simpaticamente N., il rischio è di ritrovarsi, ad un certo punto, a tifare per Q e desiderare la morte di tutti gli anabattisti. Cosa che, tra l'altro, più o meno avviene.

mercoledì 1 febbraio 2012

Blogroll 1 - Inverno 2011/2012

Allora, ho deciso di aggiungere dei blog nel blogroll qui di fianco.

Siccome blogroll è una parola che trasuda stronza giovinezza e indisponente coolaggine, e per la quale, di conseguenza, io provo assoluto orrore, ho deciso di tradurre liberamente questa schifosa parola inglese con la frase in italiano: "Altri BLOG che andrebbero letti ogni giorno".

Ne aggiungerò fino a un massimo di 3 a stagione (mi piace da matti darmi un sacco di regole che poi forse non rispetterò...). Ecco quelli dell'inverno 2011/2012.

  • Vediamo, dai ::: È stata la prima Pazza Furente, e inoltre mi fa ridere specialmente quando parla del clash culturale Italo-Austriaco (io ho vissuto quello Italo-Tedesco, molto simile, e mi piace sempre tanto ripensare a quegli anni). 
  • Tè agli elefanti ::: Alex V e Midori, studentesse, lavorano sotto copertura. Proprio come me. E poi son carinissime tra esami da preparare e vita da coinquiline.
  • Machedavvero? ::: Forse un BLOG un po' troppo atteggiato, in carriera e professionale, ma è vero che sono entrato nel giro commentando i suoi post, che si lasciano leggere molto gradevolmente.

Ecco. Fatto.